21-01-2004 - Mescalina. I Mutzhi Mambo hanno registrato questo disco verso la fine del 1999 e lo hanno pubblicato nel 2001 con la Nicotine Records, distribuzione White And Black. Noi lo recensiamo solo dopo aver assistito all´esibizione della band al M.E.I. 2003. Citando una delle loro canzoni, si potrebbe discutere questa recensione, obiettando che "è come un cancro visto dall´interno / è come il latte andato a male", ma anche sulla distanza, sia quella temporale che li separa dalla data d´esordio, sia quella della durata dell´album, i Mutzhi Mambo colpiscono senza badare molto alla differenza tra studio e live, tra passato e presente. Il loro è un rock ruvido e irriverente, una miscela di rockabilly, surf, garage, che viene innescata con un´energia molto noir. I Mutzhi Mambo travalicano gli schemi della rock band come siamo abituati, almeno in Italia: dissacrano senza essere demenziali, divertono senza ammiccare e picchiano le canzoni senza sbavarle. "La terra brucia" è un cd con "solo" dieci pezzi, poco più di trenta minuti di musica, ma basta e avanza, perché qua ci sono l´immediatezza bruciante dei Ramones, le sincopi inarrestabili degli Stray Cats e la profondità cavernosa dei Thin White Rope. Un gruppo così sarebbe piaciuto al Tarantino di "Pulp fiction" o di "Dal tramonto all´alba" per l´approccio punk e molto hard boiled, che li avvicina a certe pellicole violente, cult-movies di serie B. 
Ma c´è di più, perché i Mutzhi Mambo pescano a piene mani dagli anni ´50 italiani: atmosfere, suoni e testi sono tutti adeguatamente maltrattati, come fossero materia fresca, degna di essere lapidata nella sua presunta innocente attualità. "Donna pitone" raspa come il Tom Waits più turbato e "Una cotta" rende lugubre il passo di "State trooper", proprio come "Mamma son tanto felice" spoglia delle sue belle vesti la canzone italiana per farle indossare quelle sporche e vissute del punk. È come se Cramps e Pussy Galore si fossero messi a suonare a piede libero nel nostro paese cambiando i connotati a Celentano e a Buscaglione. 
Alle cover la band dovrebbe aver nel frattempo sopperito con del nuovo materiale: nulla da eccepire comunque sul blues cavernoso di "Alligator wine" o sulla loro versione di "Personal Jesus" (finalmente qualcuno riesce a tirare fuori la tensione rock di questo pezzo). Ma i pezzi di produzione propria sono quelli più efficaci, almeno a sentire gli stacchi e i giri di "Verde luce" o il sax stridente di "Chicken John". Addirittura "Rosy Ñano" si porta dentro un rifacimento in chiave surf de "Il barbiere di Siviglia". 
"La terra brucia" potrebbe sembrare un gioco di citazioni in cui storie di pusher, di omicidi e di violenze casalinghe si sussegguono con la stessa frequenza con cui stili e generi vengono aggrediti e violentati. Già così non sarebbe male, ma ciò che i Mutzhi Mambo mettono in atto è una vera e propria vendetta nel nome del rock´n´roll, senza pietà per nessuno. Quindi la stessa sorte non può che toccare a chi continui ad ignorare un esordio del genere.

di Christian Verzeletti