PARIGI NUN FA' LA STUPIDA STASERA
Ah Paris, Paris, la Ville-Lumière, capitale della bellezza, del romanticismo, dell'ammmore...
Ma Parigi non è solo questo, cari amici dei Mutzhi Mambo, è anche una metropoli ricca di mistero e di lati oscuri, marci, pericolosi...
Una città nebulosa, magnetica, spesso crudele, dove le squallide periferie popolari e i lussuosi quartieri borghesi possono nascondere in egual misura crimini e nefandezze.
Come ci ha mostrato con maestria l'eccentrico LÉO MALET, uno dei padri del noir d'Oltralpe!
Considerato uno dei maggiori autori del romanzo poliziesco fra gli anni '40 e i '50, Léo Malet è stato spesso paragonato e messo a confronto al contemporaneo e ben più celebrato Georges Simenon, il papà di Maigret, neanche fosse un epigono di minor valore: paragone improprio e ingiusto per un bel po’ di motivi.
Innanzitutto a distinguerli inequivocabilmente è proprio la biografia: diverse classi sociali d’appartenenza, diverse l’infanzia e l’adolescenza, le letture, le passioni, gli amici...
Malet era un proletario orfano, venuto su nei bassifondi, che cercava di amalgamare, con impegno e ispirazione altalenante, filosofia anarchica, surrealismo, letture raffinate accanto a roba Pulp, noir e hard boiled; un “anarchico conservatore”, come si definiva lui stesso: un po' ribelle da operetta, un po' conformista, sperimentatore ma anche fedele ai dettami stilistici e contenutistici di genere, che fondamentalmente scriveva per mangiare, ma riusciva come pochi a rendere determinate atmosfere, proprio perché le aveva vissute.
Simenon, al contrario, era un borghese cresciuto con una mamma ingombrante, con letture più sofisticate, il cui mondo era lo squallido malessere e la fondamentale ipocrisia della classi agiate, che sapeva descrivere in modo secco ma sempre raffinato e con capacità di introspezione maggiori.
Nestor Burma, infatti, il principale protagonista delle storie di Malet, sembra quasi l'opposto del serafico commissario Maigret: è cinico, sarcastico, individualista, tombeur de femmes, perennemente insoddisfatto, forse perché spesso e volentieri le persone scomparse che doveva ritrovare, erano già cadaveri..
Malet era un vero outsider rispetto al panorama letterario francese: inizialmente partecipò al movimento surrealista che tuttavia lo criticherà ferocemente quando diventerà chiaro dai suoi primi libri che era più intressato alla cruda descrizione dell'aspra realtà di un paese affollato di faccendieri, delinquenti di mezza tacca, pavidi conformisti, che all'invenzione letteraria tout court.
Il nostro non esitò a mescolare con sfrontatezza l'argot dialettale con citazioni coltissime, ritratti sommari e raffinatezze psicologiche, descrizioni realistiche della Parigi del dopoguerra e fughe oniriche, fino a risultare a volte forzato, frettoloso e ripetitivo nelle trame.
Malet non era uno di quelli che scrivevano spinti da un demone, da una necessità interiore: alle volte si divertiva a scrivere ma talvolta si annoiava anche se, come tutti, dei soldi aveva bisogno e quindi scriveva comunque...
Non si sentiva investito dalla sacra missione del letterato né aveva una determinata visione del mondo che aveva l'urgenza di trasmettere ma questo non gli ha impedito di ritrarre, alle volte con grande efficacia, la realtà circostante.
Per la critica questa sua fondamentale svogliatezza è stata il suo piu grande limite: né impegno civile, né cura stilistica, ma nemmeno un vero cinismo noir; dove si colloca Malet?
Diciamo che chi cerca in un autore solido mestiere, padronanza dei trucchi della narrativa di genere e grande consapevolezza che alla fine quello che ha da offrire è solo dell'ottimo e onesto intrattenimento, troverà in Malet l'uomo che fa per lui.
Senza contare che almeno la sua "Trilogia nera" rimane fondamentale per conoscere le origini del Pulp come lo conosciamo oggi...
Dopotutto basta guardarlo in faccia, nelle varie foto che lo ritraggono con quell'espressione divertita, sorniona, sempre sorridente, di uno che ne ha viste tante e ha capito come funziona la vita, per capire che lui era il primo a non voler essere preso troppo sul serio come autore e che non è il caso di prenderci troppo sul serio noi, come lettori...
Léo Malet nasce a Montpellier il 7 marzo del 1909.
La vita gli mostra fin da subito il suo lato crudele: a due anni perde il padre, impiegato, per tubercolosi e un anno dopo tocca a sua madre, sarta, sempre per la stessa malattia.
È quindi il nonno prendersi cura del piccolo Léo, passandogli una grande passione per la lettura.
A sedici anni, la natia Montpellier gli sembra già piccola e inadatta ai suoi grandi sogni: vuole diventare un cantante e scappa a Parigi, nei cabaret di Montmartre, a cercare fama e gloria.
Prima della notorietà incontra però la povertà e un’esistenza fatta di mille umilissimi lavoretti, una vita di espedienti, di nottate a dormire sotto i ponti e di qualche soldo guadagnato facendo lo strillone (non è proprio-proprio come fare il cantante ma vabbé..) e il magazziniere, il clochard e l’impiegato, il manovale e il giornalista.
Come artista del cabaret, però, non c'è verso, non riesce a sfondare...
In questo periodo sviluppa un sentimento anarchico, anche se non sara mai troppo coerente nelle sue idee, e passa dal cabaret alla poesia, abbracciando nel frattempo il Surrealismo, André Colomer in particolare, e poi Breton, Dalí, Tanguy, Prévert... ma anche questa, a lungo andare, sara un adesione scarsamente sentita, tanto che, nel 1949, lo espelleranno dal movimento con l’accusa di essere diventato “seguace di una pedagogia poliziesca”.
Si sposa con Paulette Doucet e insieme alla moglie fonda il "Cabaret du Poète Pendu".
Ma nemmeno alla poesia è troppo interessato e infatti i suoi componimenti non hanno granché successo e si ricordano più per le ambizioni e per i bizzarri titoli delle raccolte ("Ne pas voir plus loin que le bout de son sexe" del 1936 e "J’Arbre comme cadavre" del 1937) che per l’efficacia delle rime.
Il destino però si dimostra ancora ben poco benevolo e gli riserva un duro internamento in un campo di concentramento nazista.
Fortunatamente, con l’uscita dal lager, finiranno pure le tribolazioni per il nostro, quando scopre che con la scrittura si può anche racimolare qualche soldo, basta non aver grosse pretese intellettualoidi: allora via coi polizieschi e gialli, in primis, ma anche romanzi cappa e spada e altri generi popolari.
Dal 1941, Malet comincia a scrivere e non si ferma più, usando alla bisogna vari pseudonimi: John Silver Lee, Omer Refreger, Lionel Doucet, Leo Latimer, Louis Refreger, Jean de Selneuves e, in particolare, Frank Harding.
Con quest’ultimo nome fittizio firma una decina di titoli aventi come protagonista il reporter newyorkese Johnny Métal (il cui cognome è l'anagramma dell'autore stesso), romanzetti non certo immemorabili ma che rappresenteranno la necessaria palestra per arrivare al suo personaggio piu noto, l'investigatore privato Nestor Burma.
Protagonista di una trentina di titoli a partire da "120, rue de la Gare", apparso nel 1943, Burma è, oltre un classico (ma non troppo) "private eye", lo specchio del suo creatore.
Sensibile al fascino femminile, titolare dell’agenzia Fiat Lux, è spesso “in coma finanziario”.
E’ un duro solitario, amante delle donne, legato da un’amicizia particolarmente confidenziale con la sua segretaria Hélène, ed il suo rapporto con gli sbirri è spesso controverso.
Ispirata alla letteratura hard boiled di Oltreoceano, intrisa di atmosfere anni'30, questa serie conoscerà un ottimo successo di pubblico, varie trasposizioni cinematografiche, una serie televisiva di ben 85 episodi nella quale il protagonista è interpretato da Guy Marchand e diventerà anche il protagonista di alcuni ottimi fumetti, sceneggiati e disegnati da Jacques Tardi prima e in seguito da Emmanuel Moynot.
La critica impiegherà un po’ più tempo del pubblico a capire il reale valore di uno dei nomi più importanti del genere per almeno vent’anni, ma alla fine ce la farà anche lei.
Comunque il suo capolavoro indiscusso rimane la "Trilogia Nera" composta da "La vita è uno schifo" (1947), "Il sole non è per noi" (1949) e "Nodo alle budella" (1969): romanzi cattivi davvero, violentissimi, senza speranza ma ricchi di fascino, che hanno dato battesimo al noir più classicamente francese e hanno prefigurato il Pulp a venire.
Fra i suoi romanzi "fuori serie" si segnala "L'ombra del grande muro" (1943), una solida e sordida crime novel ambientata fra i gangster americani.
Come suoi eredi letterari non si possono non citare autori come Fred Vargas, Serge Quadruppani o Jean-Claude Izzo: tutti gli devono qualcosa più di qualcosa...
Il grande scrittore muore a Parigi il 3 marzo del 1996.
In Italia i libri di Malet hanno avuto una vita editoriale un po' caotica e le traduzioni (complice anche il gergo usato dallo scrittore) spesso sono state orrende; per fortuna la casa editrice "Fazi" sta ripubblicando, in modo coerente e con traduzioni più curate, le opere di questo fantastico e seminale autore.
Quindi non avete più scuse per non leggerlo...
Onore a Léo Malet!
"La vita non era che un ordito di contraddizioni. La vita era uno schifo. Non era «vivere» il termine da usare, ma «schifare», «urlare» e «vomitare»"
Léo Malet - La vita è uno schifo