NOSTALGIE DA(L) PARRUCCHIERE
Si possono immaginare gli anni ’60 senza le ridicole acconciature di DUSTY SPRINGFIELD?
Certo che no, cari amici dei Mutzhi Mambo, i capelli gonfi della magnifica cantante inglese “sono” gli anni ’60, come la minigonna, come la “Swingin’ London”, come le camicie a fiori, come il beat…
Dusty Springfield è stata la più grande diva del pop britannico e la più bella voce bianca di soul della sua epoca, un’interprete senza pari rispetto ai suoi contemporanei.
Anche se è diventata un’icona glamour e camp (anche all’eccesso) con le sue capigliature “beehive” torreggianti e l’occhio bistrato dal troppo mascara nero, non va mai dimenticata che la sua eccezionale abilità vocale, la sua capacità unica nel comunicare l'intimità dei sentimenti e l'urgenza della passione vanno al di là del semplice fashion.
È stata l’interprete del “soul dagli occhi blu” che cantava come le grandi artiste di colore: sembra infatti che la sbornia per la musica nera se la fosse presa dopo un viaggio a Nashville…
Ed ha cantato di tutto, la nostra Springfield, con la sua magnifica voce da mezzosoprano: ballate struggenti, pop lussuosissimo, canzoni d’autore, fino ai peggiori R&B da discoteca.
Ma tutto con una raffinatezza e profondità senza pari.
Però fu una vita triste la sua, a dispetto delle riviste di moda e dei successi in classifica, dove il talento assoluto fu accompagnato dall’assoluta infelicità.
Alcolizzata («il mio colore preferito è quello della vodka», si trovò ad ammettere), affetta da depressione, insicura (pur essendo un’imitatissima icona della moda, lei continuava a vedersi bruttissima, «sembro un omone, assomiglio a Burt Lancaster»), torturata dal disturbo ossessivo-compulsivo di cui soffriva fin da ragazza, costretta dai sensi di colpa a tenere celata la sua omosessualità (fino all’ultimo meditò di fare coming out, cambiando sempre idea all’ultimo momento), non era tutto così splendente come sembrava…
Una ex compagna disse di lei una cosa tristissima: «voleva essere etero, nera, e una buona cattolica e non era nessuna delle tre cose»!
Una vita fatta da amori infelici e crisi di nervi con teiere e tazzine che volavano nei camerini, bottiglie di vodka ordinate nel backstage, le esibizioni tristissime degli anni ’80 nei bar cantando sopra il vociare degli avventori, la disintossicazione dall’alcol finalmente riuscita quando era ormai troppo tardi, la sua forte influenza sulle cantanti degli anni successivi (Amy Winehouse in testa), la sua riscoperta negli anni finali della vita grazie ai Pet Shop Boys che la coinvolsero in “What I have done to deserve this” e a Quentin Tarantino che usò “Son of a preacher man” per sottolineare una scena centrale di Pulp Fiction, quella in cui Travolta conosce Uma Thurman.
Era insomma un vero “personaggione”...
Mary O'Brien (così all’anagrafe) nasce in West Hampstead, un sobborgo residenziale a nord – est di Londra, il 16 aprile del 1939.
Eredita dai nonni la passione per la musica e ascolta classica e jazz, innamorandosi di Peggy Lee.
Cresce nel sobborgo di Ealing e già da bambina si guadagna il soprannome di “Dusty” per il suo atteggiamento da maschiaccio.
Dopo aver finito le scuole gestite dalle suore, nel 1958 smette di studiare e, rispondendo a un annuncio su un giornale, si unisce al gruppo delle Lana Sisters.
Grazie a questa esperienza impara l'armonia vocale, le tecniche di microfonia e di registrazione, si esibisce in spettacoli dal vivo, incide alcuni singoli (fra i quali anche una versione inglese di “Tintarella di luna”) e fa anche le prime apparizioni televisive.
Nel 1960 lascia le “Sorelle” e va a cantare insieme a suo fratello Dion O'Brien e il suo amico Tim Feild nel trio folk Springfields, adottando il nome Dusty Springfield; grazie ad una serie di successi tra cui "Breakaway", "Bambino" e "Say I Won't Be There", il gruppo ben presto diventa uno dei best-seller nel Regno Unito.
Infilano pure un brano nella Top 20 USA nel 1962 con "Silver Threads and Golden Needles”, e vengono così inviati a Nashville per registrare un album (“Folk Songs from the Hills”), .
Durante il loro soggiorno negli States, Dusty conosce e ascolta la roba che incidono i nuovi gruppi vocali femminili di colore.
Questo diventerà quasi una “rivelazione” per la nostra, un’influenza determinante nella sua successiva produzione musicale.
Nel 1963 “Say I Won't Be There” sarà l'ultimo singolo registrato dagli Springfields: il trio sa di non poter reggere l'impatto della nuova ondata beat e, dopo l'ultimo concerto tenuto l'11 ottobre al London Palladium, decide di sciogliersi.
Dusty, consigliata anche dal fratello, intraprende così la carriera da solista.
Il suo primo singolo, "Only I Wanna Be With You", vanta un arrangiamento degno di un pezzo di Phil Spector, e rapidamente entra nella Top 5 inglese
La sua più grande hit americana, "Wishin 'and Hopin' “, è il primo di una serie di tormentoni della Springfield scritti da Burt Bacharach e Hal David; in seguito interpreterà altri classici di Bacharach / David tra cui "Anyone Who Had a Heart" e "I Just Don't Know What to Do With Myself," superata solo da Dionne Warwick come miglior interprete delle canzoni del duo.
Inoltre, alla fine del 1964, con successi come "Stay Awhile" e "All Cried Out" è probabilmente la più importante cantante pop britannica, vincendo il primo dei quattro riconoscimenti consecutivi come miglior cantante femminile all’ NME.
Nello stesso anno, fa scandalo la sua espulsione dal Sud Africa per essersi rifiutata di suonare di fronte a un pubblico razzialmente segregato.
Tornando in Inghilterra, nel 1965, la Springfield conduce lo speciale televisivo “The Sound of Motown”, uno spettacolo seminale per la promozione dei suoni del nuovo soul presso i giovani inglesi, e continua a piazzare hit come "Losing You", "Your Hurtin 'Kinda Love" e "In the Middle of Nowhere".
Nel 1966, ottiene il suo più grande successo internazionale con la devastante ballata "You Don't Have to Say You Love Me", che sbaraglia le classifiche britanniche e raggiunge la Top Five negli Stati Uniti.
"All I See Is You", un'altra ballad strappalacrime su un amore non corrisposto, presto raggiunge anche la Top Ten britannica; questa viene seguita da "The Look of Love", un classico di Bacharach/David dalle sonorità bossa nova e dalla sensualità onirica.
Nel 1968, tuttavia, le fortune commerciali di Springfield sono in netto declino: sulla scia della psichedelia e dell' “estate dell'amore”, viene imposto un altro “modello" di cantanti.
Ora la nostra deve fare i conti con delle “ribelli” come Janis Joplin o Grace Slick, e il suo modo così elegante di porsi fa un po’ demodè.
Per tutta risposta, firma con la storica etichetta rhythm’n’blues Atlantic e nel 1969, pubblica il suo capolavoro: “Dusty in Memphis”, un perfetto connubio di pop e soul.
Anche se il singolo "Son of a Preacher Man" (pezzo scartato da Aretha Franklin) va dritto nella Top Ten, l'album stesso si rivela però un altro fiasco commerciale, così come il suo seguito del 1970, “A Brand New Me”, registrato a Philadelphia nonostante la rodata coppia di autori Kenny Gamble e Leon Huff ad orchestrare il tutto.
Dopo aver completato “See All Her Faces” nel 1972, la Springfield trasloca a New York, per poi stabilirsi a Los Angeles.
Lì firma per la ABC e registra l’album “Cameo” (1973), un altro successo di critica che però non vende un cazzo.
Dopo non aver finito il seguente “Longings”, a parte un duetto registrato insieme ad Anne Murray, la Springfield trascorre la metà degli anni '70 fuori dai circuiti musicali, a combattere i suoi problemi di autolesionismo depressivo e di abuso di alcol e droga.
Ritorna finalmente nel 1978 con “It Begins Again”, prodotto da Thomas Baker, seguito da “Living Without Your Love”: entrambi attirano poca attenzione, ma il singolo "Baby Blue" diviene un piccolo successo britannico nel 1979.
Certo non l’aiuta l’aver scelto il tremendo suono synth-pop prevalente dei suoi tempi…
Registra ancora qualche duetto negli anni ’80 ma il declino sembra essere irreversibile.
Nella primavera del 1987, Dusty viene contattata dai Pet Shop Boys, suoi grandi fans, per incidere il duetto "What Have I Done to Deserve This?", singolo che diviene un blockbuster globale e le regala una nuova platea di giovani appassionati.
Il gruppo accetta poi di produrre una manciata di brani per “Reputation”, l’album della Springfield del 1990, che risulta il suo più venduto dagli anni ’60.
Il seguente, “A Very Fine Love”, influenzato dal country nel 1995, viene registrato proprio a Nashville.
Durante le session per l'album, però, le viene diagnosticato un cancro al seno: dopo mesi di radioterapia la malattia viene giudicata in remissione ma, nell'estate del 1996, il cancro torna all’attacco e il 2 marzo 1999, Springfield muore a soli 59 anni.
Solo dieci giorni dopo, viene inserita nella Rock and Roll Hall of Fame.
Ci manca la sua classe, ci manca la sua voce.
Ci mancano pure i suoi capelli, che tanto ci ricordano le vecchie foto delle nonne..
Ci manca Dusty Springfield!
Onore a Dusty Springfield!
“Billy-Ray was a preacher's son
And when his daddy would visit he'd come along.
When they gathered round and started talkin'
That's when Billy would take me walkin'
A-through the backyard we'd go walkin'.
Then he'd look into my eyes
Lord knows to my surprise:
The only one who could ever reach me
Was the son of a preacher man.
The only boy who could ever teach me
Was the son of a preacher man.
Yes he was, he was
Ooh, yes he was…”
Dusty Springfield - Son of a preacher man