SGUARDO MORBOSO
Ah, l'Italia, l'Italia, patria di santi e di eroi, di geni e naviganti...
Ma il nostro Paese non ha esportato solamente bellezza e creatività, ma anche tante, tante schifezze!
E non parliamo solo della malavita organizzata: parliamo di cinema orrido, putrido, estremo, trash, controverso, la vera spina dorsale del Pulp che all'estero ci invidiano peggio del Rinascimento...
Effettivamente, soprattutto durante gli anni '60 e '70, abbiamo prodotto veramente di tutto e, visto che di quattrini per i kolossal non ce n'erano ma la voglia di fare film e di andare al cinema sì, la maggior parte delle produzioni era roba di genere a basso budget: il famigerato cinema "bis", nato per sfruttare, senza troppe pretese, i filoni che di volta in volta andavano per la maggiore.
Naturalmente non si trattava solo di mere imitazioni "cheap": tanti registi in questo periodo ci hanno regalato opere innovative, di valore assoluto, che hanno cambiato il modo stesso di fare il cinema e sono diventate pietre miliari dell'arte dello scorso secolo, ma in giro non c'erano solo autori come Argento, Bava e Di Leo (tanto per citare i più noti...).
A stare poco attenti poteva infatti capitare di incappare in qualche pellicola del morboso RINO DI SILVESTRO, e allora erano guai, cari amici dei Mutzhi Mambo, grossi guai...
Perché Rino Di Silvestro non solo ha diretto pellicole brutte ma pure disturbanti.
Il danno e la beffa, insomma!
Ma questa, in fondo, è la ragione che rende i suoi film interessanti e di culto, per quanto francamente mal realizzati, tanto da divenire proverbiali come esempi di cinema spazzatura...
Dotato di una profonda cultura e di modi di fare alquanto eccentrici, Di Silvestro è stato in primo luogo un regista, ma anche sceneggiatore, scrittore, pittore: un artista curioso, a tutto campo, sempre pronto a cimentarsi in nuove forme espressive ma che col cinema ha avuto un rapporto quanto meno conflittuale.
Infatti nei suoi film spesso coesistono temi intriganti, intuizioni geniali, sprazzi di ottima regia, insieme ad abissi di goffaggine tecnica e pressapochismo realizzativo che francamente hanno pochi rivali: se non fosse così raffazzonata, per la sua opera si potrebbe quasi parlare di exploitation "d'autore".
Ma i suoi, seppur meritevoli e coraggioisi, tentativi di analisi psicologica o denuncia sociale, naufragano nel compiacimento guardone e nella confezione che spesso definire approssimativa sarebbe fargli un complimento...
Comunque, se esiste un filo rosso che accomuna la sua limitata filmografia, sembrerebbe proprio il sesso, specie quello saffico, declinato sempre in situazioni limite, malate, estreme.
Che si tratti di licantrope arrapate o di prigioniere in un lager, di giovani prostitute tossiche o di sfortunate detenute, le donne nei film di Rino, volenti o meno, sono sempre sottoposte ad abusi fisici e psicologici, costrette a torture e rapporti brutali.
Un cinema quindi che, al netto dei video porno (che fanno categoria a sé) o di certa filmografia orientale, oggi sarebbe improponibile ma che rappresenta appieno l'immaginario sadico e voyeur di quegli anni...
Dopotutto, lo ribadiamo, la roba davvero-davvero Pulp non è mai stata esattamente quella che il vecchio Walt Disney avrebbe approvato...
Salvatore Di Silvestro (a.k.a. Rino Di Silvestro, Alex Berger, Axel Berger, Rino DeSilvestro, Dario Di Silvestro, R.D. Silver, Cesar Todd) nasce a Roma il 30 gennaio del 1932, da una famiglia di proprietari terrieri siciliani.
Giovanissimo, fonda la sua compagnia teatrale d'avanguardia, producendo la commedia "Op Bop Pop Nip" negli anni '60, rappresentata al teatro delle Muse di Roma dal 1962 al 1966.
In coppia con Giovanni Maria Russo, dirige alcuni spettacoli teatrali sperimentali, tra cui "L'Église", adattamento di un dramma di Céline, e "Coriolano", rivisitazione in chiave moderna della vita dell'omonimo condottiero romano.
Come ghostwriter, scrive oltre 200 sceneggiature, prima e dopo il suo debutto come regista cinematografico.
Il suo esordio sul grande schermo, senza avere la minima cognizione tecnica né uno straccio di esperienza sul campo, avviene col tremendo "Diario segreto da un carcere femminile" (1973), capostipite nostrano del genere "women in prison".
In realtà la trama dovrebbe essere una via di mezzo fra un classico "mafia movie" (la protagonista va in carcere per scagionare il marito, accusato di traffico di stupefacenti) e una denuncia della condizione delle detenute ma si risolve in una noiosa sequela di lesbicate e umiliazioni.
Segue lo squallido "Prostituzione" (1974), tentativo maldestro di realizzare un "film - verità" che parte come un giallo, poi scivola verso il comico, poi presenta stupri e vendette con allegati goffi inseguimenti degni del peggiore dei polizioteschi, nudi a profusione, con tanto di inserti hard in post-produzione, e moralismo d'accatto, il tutto assemblato in una confezione davvero poveristica.
Arriva poi il brutto nazisploitation "Le deportate della sezione speciale SS" (1976), uno dei più cupi, estremi e malati di questo genere, già di per sé cupo, estremo e malato, e il film che darà la notorietà al nostro, ovvero l'horror soft-core "La lupa mannara" (1976).
Autentico cult movie per le atmosfere che mischiano film "de paura", rape & revenge e scene sexy davvero spinte, si segnala per il risibile make up e la trama delirante e sconclusionata, degna del peggiore Ed Wood.
Tra l'altro verrà citato da quello snob di Nanni Moretti nel film "Io sono un autarchico" come esempio di cinema spazzatura: e questa volta, per quanto Moretti venga da noi apprezzato come una ditata in un occhio, non possiamo dargli tutti i torti...
Dopo tre anni di silenzio, il nostro ci riprova col pruriginoso "Baby Love" (1979), una sorta di sexy favola dai risvolti deliranti, in cui solo la mancanza di scene esplicitamente hard lo distinguono da un porno, vista la confezione ai limiti dell'amatoriale (e non è detto che una versione "francese" all'epoca non sia circolata...).
Farsa scollacciata non troppo spinta è invece la successiva "Bello di mamma" (1981), uno degli ultimi, stanchi esempi di commedia sexy all'italiana, che gode di una regia un po' più curata del solito e vanta nel cast un Philippe Leroy anche se leggermente spaesato.
Le due ultime prove del nostro Di Silvestro sono "Hanna D. - La ragazza del Vondel Park" (1984), chiaramente ispirato a "Christiane F.", a cui collabora anche Bruno Mattei, forse il miglior prodotto del regista romano per la capacità di esplorare senza filtri l'abiezione a cui puo condurre la tossicodipendenza, e il grossolano peplum sexploitation "Sogni erotici di Cleopatra" (1985).
Dopo questa modesta pellicola, Rino si ritira dalle scene: "Megalopolis", il progetto di un film che avrebbe dovuto girare insieme a Luigi Pastore, una vicenda altamente drammatica sulla scia di "Hanna D.", se possibile, ancora più disperata e violenta, non vedrà mai la luce...
Come scrittore, si segnala con il saggio "Le muse dell'arte comica nel sublime delirio della commedia umana" (2009), un'analisi interdisciplinare sul valore del riso nella storia umana.
Il regista muore di cancro, il 3 ottobre del 2009.
Che dire?
Ci manca un regista come questo?
Forse no, ma ci manca tanto quel cinema lì!
Onore a Rino Di Silvestro!
"Ammazza quanto puzza sto sapone: ma che è, merda?"
Diario segreto da un carcere femminile