RUGGISCE IL LEONE
Felici, orgogliosi, goduti, fieri, grati, sublimati, gratificati, appagati: questi e altri di questo tenore, cari amici dei Mutzhi Mambo, sono i nostri sentimenti di fronte all'onore e all'onere di celebrare oggi il Maestro dei Maestri, il mistico SERGIO LEONE, uno dei più grandi registi di sempre!
Definito da Quentin Tarantino ”il primo regista post-moderno”, Leone non ha mai vinto premi a Cannes, Hollywood o Venezia e non tutti i suoi film furono capiti al loro tempo.
Ma ora Leone è considerato uno dei Maestri del cinema, grazie ai suoi western così diversi dagli altri, per i primi piani estremi, per i tempi dilatati, per le scene a ritmo di musica (e non viceversa), per gli stalli alla messicana, per i grandi silenzi, per alcune delle più grandi frasi della storia del cinema, per la profondità di certe trame, per la ritualità di certe attese e per la teatralità di certi momenti, per come reinventò quello che c’era stato prima e per il segno che ha lasciato su quello che è stato fatto dopo.
Innovatore e manierista, profondo e avvincente, brutale e raffinato, Leone è la quintessenza del cinema d'avventura e sicuramente fra i tre o quattro registi italiani più fondamentali e stimati.
Peccato solo che la sua produzione sia stata così esigua perché noi, i suoi film, non ci stancheremo mai di guardarli e riguardarli...
Sergio Leone nasce a Roma il 3 gennaio del 1929, figlio di Roberto Roberti (nome d'arte di Vincenzo Leone), un regista ed attore originario della provincia di Avellino, considerato uno dei pionieri del cinema muto italiano, e di Bice Waleran, un'attrice romana, nata da una famiglia milanese di remote origini austriache.
Leone inizia a lavorare nell'ambiente cinematografico già all'età di diciotto anni.
Ha infatti una piccola parte, come comparsa, in "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica (è uno dei preti tedeschi sorpresi dalla pioggia).
Successivamente, Leone comincia ad interessarsi del genere peplum, detto anche "sandaloni", e i primi lavori di un certo rilievo lo vedono come assistente regista o direttore della seconda unità (non accreditato) in alcune produzioni hollywoodiane di grande importanza, girate agli studi di Cinecittà a Roma, nel periodo della cosiddetta Hollywood sul Tevere, tra cui "Quo vadis?" di Mervyn LeRoy (1951) e soprattutto il colossal "Ben-Hur" di William Wyler (1959).
Nel 1959 subentra a Mario Bonnard, colpito da una malattia che lo costringe ad abbandonare il set, alla regia di "Gli ultimi giorni di Pompei", al quale aveva collaborato alla sceneggiatura.
Tuttavia i titoli di apertura del film non riportano il suo nome ma solo quello di Bonnard.
Come risultato, quando finalmente ha la possibilità di debuttare da solo come regista con "Il colosso di Rodi" (1961), grazie alla lunga esperienza, Leone riesce a produrre il film a un basso budget ma che sembra spettacolare quanto un vero e proprio kolossal di Hollywood.
La pellicola non è un grande successo e così viene retrocesso a assistente regista collaborando con Giorgio Bianchi alla realizzazione di alcune scene del film "Il cambio della guardia" (1962), con la coppia Fernandel-Cervi, e con l'americano Robert Aldrich come direttore della seconda unità di ripresa di "Sodoma e Gomorra" (1962); storici furono i malintesi, i litigi e le incomprensioni fra i due.
Nonostante ciò qualcuno punta comunque su di lui per un nuovo peplum (che non sarà mai realizzato) dal titolo "Le aquile di Roma".
Peccato che a Sergio non interessi, dato che le sue intenzioni sono quelle di passare ai western.
Nei primi anni sessanta infatti la richiesta di peplum si è già esaurita, e Leone è tanto lungimirante (e fortunato) da essere tra i primi pionieri del genere che prende il loro posto nelle preferenze del largo pubblico: il western.
Il nostro dà anzi vita proprio a l’importante sottogenere di matrice italiana, noto con il nome di spaghetti-western, il cui modello di stile è naturalmene "Per un pugno di dollari" del 1964, uno dei più famosi della storia del cinema.
Il film ricalca in gran parte la trama de "La sfida del samurai" (1961) di Akira Kurosawa.
Infatti Leone viene accusato di vero e proprio plagio dal regista nipponico, che vince la causa ottenendo come risarcimento i diritti esclusivi di distribuzione di "Per un pugno di dollari" in Giappone, Corea del Sud e Taiwan, nonché il 15% dello sfruttamento commerciale in tutto il mondo (quindi ad Akira gli va mooolto bene).
Il remake italiano, anche grazie alle leggendarie interpretazioni di Clint Eastwood e Gian Maria Volontè, al lavoro di Tonino Delli Colli alla fotografia e all'immensa colonna sonora di Ennio Morricone, fa rivivere l'epoca d'oro di questo genere che aveva avuto successo tra gli anni trenta e cinquanta.
Inoltre, con questo film, Leone introduce quelle che sono le principali caratteristiche del suo cinema: l'uso della soggettiva, l'alternanza in fase di montaggio di sequenze con campi molto lunghi e brevi flash di primissimi piani, la cura coreografica nella rappresentazione della violenza estrema, il concepire le scene già con l'accompagnamento della colonna sonora ma soprattutto l'uso innovativo del silenzio, creato fra parentesi di musiche incalzanti e piene di suspense.
E pensare che, quando vede Clint Eastwood, al regista capitolino quasi viene una sincope.
Ma come, lui aveva chiesto il divo Henry Fonda e la produzione gli manda questo sconosciuto giovanottone serio e inespressivo?
Ma per fortuna fa di necessità virtù: gli ficca un mezzo sigaro toscano in bocca (a lui che non fuma neanche le paglie!), gli mette addosso un vecchio poncho e da lì nasce la leggenda!
Dopo l'inaspettato quanto straordinario successo di "Per un pugno di dollari", Leone entra in una paralisi creativa dovuta alla consapevolezza che ottenere nuovamente un exploit simile sarebbe stato quasi impossibile.
Per ovviare a questo inconveniente, il regista cerca di intraprendere strade differenti dal western, come il thriller e il biografico.
Ma abbandonati questi progetti, Leone decide di puntare nuovamente sul genere che aveva fatto la sua fortuna e, ottenuto un produttore disposto a finanziare anche i suoi capricci, ha fretta di iniziare il lavoro vero e proprio: si tiene dunque una prima riunione, tra Sergio Leone, Duccio Tessari e Fernando Di Leo, per decidere il soggetto del film.
La storia che si sta delineando è quella di due cacciatori di taglie, uno giovane e uno anziano, che si alleano per catturare un bandito. Successivamente, Tessari esce dal progetto, e Di Leo termina la prima stesura con l'aiuto di Enzo Dell'Aquila.
I due propongono al produttore Grimaldi un soggetto intitolato "Il cacciatore di taglie", pensando di farsi un nome grazie al nuovo film di Leone.
Il regista rimane colpito dal soggetto, e chiede a Grimaldi di comprarlo ma a patto che i nomi di Dell'Aquila e Di Leo non appaiano.
Il ruolo del cacciatore di taglie è, ovviamente, pensato fin dal principio per Eastwood mentre per il Colonnello Douglas Mortimer viene scelto un attore in ritiro, Lee Van Cleef, dopo i rifiuti del solito Henry Fonda e di Lee Marvin.
Il bandito messicano viene di nuovo interpretato dall'immenso Volontè: nasce così il secondo capitolo della "trilogia del dollaro", il fantastico "Per qualche dollaro in più" (1964).
Inutile dire che anche questo ha un successo esorbitante che spiana la strada al terzo capitolo.
Il regista, per sfuggire ancora una volta al rischio di ripetersi, aumenta di nuovo il numero dei protagonisti, da due a tre, collocando la trama nel contesto storico della guerra di secessione americana.
Il titolo "Il Buono, il Brutto, il Cattivo", nato per caso, rispecchia appieno il pensiero di Leone che vuole abbandonare il classico manicheismo dei film americani, presentando personaggi ambigui e, in una dichiarata denuncia della follia della guerra, demistificando la storia stessa degli Stati Uniti d'America, mostrandone il lato violento e brutale, di solito edulcorato dal mito tradizionale dell'epopea western.
Leone ripropone il cliché dell'uomo senza nome interpretato da Clint Eastwood, ma lo rende ancora più ambiguo, a metà strada tra il cacciatore di taglie e il bandito.
Affiancano Eastwood, nella parte dei protagonisti, Lee Van Cleef (anch'egli reduce da "Per qualche dollaro in più", qui però in un ruolo molto diverso da vero e proprio villain) ed Eli Wallach che spicca su tutti col personaggio di Tuco, soprattutto perché approfondito nel suo vissuto e nella sua dimensione interiore, e perché dotato di un lato umoristico irresistibile che mette in luce il talento comico di Wallach.
Oltre alla sceneggiatura di ferro (di Age e Scarpelli) che fa passare in un baleno la lunghezza monstre del film, classica dei classici è la scena del cosiddetto "triello" (uno stallo alla messicana) nel finale del film che è rimasta esemplare sia per la ripresa, sia per il montaggio, sia per l'uso sapiente della colonna sonora di Ennio Morricone, che la sottolinea in modo esclusivo, aggiungendovi tensione e potenza evocativa.
Il film all'inizio divide la critica, ma è un enorme successo di pubblico.
La sua popolarità perdura inalterata e l'ha reso ormai un classico citatissimo nel cinema, nella musica e nei fumetti.
Basandosi su questi successi, nel 1967 Leone dirige quello che nelle intenzioni dovrebbe essere il suo ultimo western (anzi non voleva fare manco questo): "C'era una volta il West".
Girato negli scenari della Monument Valley, in Italia e in Spagna, il film risulta come una lunga, violenta e quasi "onirica" meditazione sulla mitologia del West.
Al soggetto collaborano anche due altri grandi registi, Bernardo Bertolucci e Dario Argento; quest'ultimo, all'epoca, ancora quasi completamente sconosciuto.
La sceneggiatura viene invece scritta da Sergio Donati, insieme a Leone.
In realtà il regista romano accetta di girarlo quando la Paramount Pictures gli offre un budget generoso mettendo sul piatto pure Henry Fonda, il suo attore preferito, con cui aveva voluto lavorare per quasi tutta la sua carriera.
È una delle prime volte in un film western dove il cattivo viene interpretato dall'attore principale.
Leone inizialmente offre il ruolo di Armonica di nuovo a Clint Eastwood ma quando rifiuta, Sergio assume Charles Bronson, che a sua volta, all’epoca, aveva rifiutato la parte dell'uomo senza nome in "Per un pugno di dollari" (anche James Coburn viene contattato per Armonica, ma chiede troppi soldi...).
Nel ruolo della ex prostituta Jill McBain risplende la meravigliosa Claudia Cardinale, mai così bella e sensuale.
Prima dell'uscita nelle sale, tuttavia, il lavoro di Leone viene accorciato e modificato dai responsabili dello studio, spaventati dalla smisurata durata del film; infatti ne fanno uscire una versione di circa 165 minuti ed è un mezzo fiasco al botteghino. La pellicola viene riscoperta e rivalutata solo anni dopo, con il montaggio del regista che dura complessivamente circa 175 minuti, e ora è giustamente considerata come un capolavoro.
Il successivo "Giù la testa" del 1971 è ambientato nel Messico del 1913, durante la rivoluzione, con protagonisti Rod Steiger, James Coburn e Romolo Valli.
È il secondo film della cosiddetta trilogia del tempo, preceduto da "C'era una volta il West" e seguito da "C'era una volta in America".
Il titolo previsto è "Giù la testa, coglione!" ed è il film più "politico" realizzato da Leone: vi vengono citati Francisco Indalecio Madero, Pancho Villa, Emiliano Zapata e Victoriano Huerta.
Le vicende sono da collocare nel periodo seguente l'assassinio di Madero da parte di Huerta, nel corso del tentativo della guerriglia, guidata da Villa e Zapata, di uccidere il nuovo dittatore.
Il film inizialmente doveva essere diretto da Sam Peckinpah, per la ferma volontà del regista romano di fermarsi col western e di potersi dedicare a quello che da tempo sognava di realizzare, cioè "C'era una volta in America", ma sono i due attori protagonisti Coburn e Steiger a rifiutare Peckinpah; i due accettano di recitare a cachet ridotto solo a patto che a dirigere sia lo stesso Leone.
Il ruolo di Juan Miranda era stato inizialmente pensato per Eli Wallach, ma la produzione americana impone invece Rod Steiger, forte della recente vittoria dell'Oscar come miglior attore per “La calda notte dell'ispettore Tibbs”.
Tale decisione lascerà sempre fortemente indispettito Wallach, malgrado le scuse del regista romano.
Invece per la parte di John H. "Sean" Mallory viene inizialmente preso in considerazione John Wayne, successivamente scartato da Leone, sia perché ritenuto non adatto alla parte, sia perché si ritiene che un nome tanto altisonante nel cast avrebbe potuto spostare eccessivamente l'attenzione sul personaggio di Mallory.
Superfluo dire che anche questo quinto western leoniano ha un successo strepitoso (anche se in misura minore di quelli della “trilogia”).
Leone successivamente non rimane completamente inattivo: scrive varie sceneggiature e soprattutto dirige — per sua stessa ammissione — varie sequenze del film di Tonino Valerii "Il mio nome è Nessuno" con Terence Hill e Henry Fonda ma, si fa accreditare solo come produttore esecutivo e soggettista.
Collabora inoltre, nello stesso periodo, con il regista Damiano Damiani nella pellicola "Un genio, due compari, un pollo" (1975), sempre con Terence Hill e con Klaus Kinski in un piccolo ruolo, girandone le scene iniziali e diventandone assieme a Claudio Mancini il produttore esecutivo.
Anche durante la lavorazione di questo film, il nome di Sergio Leone non viene accreditato nei titoli di apertura.
Successivamente con la sua casa di produzione Rafran produce anche "Il gatto" (1977) di Luigi Comencini e "Il giocattolo" (1979) di Giuliano Montaldo.
Dopo aver rifiutato un'offerta per dirigere "Il padrino" (ed era un'offerta che non si poteva rifiutare...), Leone produce due film di Carlo Verdone: "Un sacco bello" (1980) e "Bianco, rosso e Verdone" (1981).
Infatti il regista è molto amico del padre di Carlo: Mario Verdone, noto critico di cinema.
E come un padre, Leone aiuta Carlo nella realizzazione dei suoi primi due film, consigliandolo nelle sue scelte da regista.
Certo, dal “Padrino” a Verdone (con tutto il rispetto)...
Dalla seconda metà degli anni sessanta fino agli anni ottanta Sergio Leone lavora incessantemente a un proprio progetto epico, questa volta incentrato sull'amicizia di due gangster ebrei a New York: "C'era una volta in America" (1984).
È un'idea nata prima ancora di "C'era una volta il West". La trama definitiva viene in mente al regista solo alla metà degli anni settanta, quando legge il romanzo "The Hoods" di Harry Grey.
Il romanzo era stato firmato dall'autore con uno pseudonimo per poter nascondere la sua identità visto che si tratta dell'autobiografia di un vero gangster negli anni del proibizionismo che si chiama proprio David Aaronson.
Leone rimane molto colpito dal libro e sceglie di trarne ispirazione per il suo film, arrivando a definire la trama del libro come quella che va cercando ormai da un decennio.
Il film tuttavia lascia spazio a un finale diverso, aperto, e si presta a diverse interpretazioni.
L'alto significato allegorico, la perfezione tecnica, l'atmosfera e il suo modo di trattare le più grandi emozioni come amicizia, amore e malinconia la rendono una pellicola unica e inarrivabile.
Il film ha un grande successo di pubblico e critica in tutto il mondo, tranne che negli USA, in cui viene proposta dalla produzione una versione ridotta nella durata (140 minuti anziché 220) e sconvolta nella struttura temporale.
Il rimontaggio dell'opera causa dunque il flop sul mercato americano (cui invece è principalmente indirizzato).
Col passare del tempo, però, il film viene definito da una maggioranza sempre più ampia "un capolavoro assoluto", uno dei migliori lavori cinematografici del secolo, anche grazie alle grandi e intense interpretazioni di Robert De Niro e James Woods.
Nel 1986 Sergio Leone si ritrova di nuovo a lavorare con l'amico Carlo Verdone, questa volta nella realizzazione del film "Troppo forte" con lo stesso Verdone, Mario Brega e Alberto Sordi protagonisti.
Leone ne scrive il soggetto e la sceneggiatura assieme a Verdone e a Rodolfo Sonego.
Quando muore il 30 aprile del 1989 per un attacco di cuore a 60 anni, il regista è al lavoro su un progetto che avrebbe dovuto riguardare l'Assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale.
Il Maestro dei Maestri, il Michelangelo del Western, ci ha lasciato con un vuoto che nessuno, e sottolineiamo nessuno, potrà mai colmare.
Onore al Leone!
Permetteteci di omaggiare il Maestro con una citazione tratta da un pezzo nostro, a lui espressamente dedicato:
"Un caldo infernale, mi fa male la ferita,
Sono anni che ti cerco, la mia canna è ben pulita.
Caro Biondo sto arrivando, devo fare pulizia
Scappa pure se ti pare, la mia ossessione è ormai follia!
Ho un cavallo bianco, decorato di scalpi
Un sorriso scuro, sapore di brandy
Un colpo solo mi ha reso impotente
Ora ho un gusto solo: le morti violente!..."
Mutzhi Mambo - Biondo