Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

E' uscito ed è disponibile nei migliori negozi di dischi e su tutte le piattaforme digitali il nuovo disco: Il male e' dentro il terzo album dei Mutzhi Mambo, band fiorentina fondata nel 1998,...

Prima di sorbirci i vostri noiosi mugugni, dichiariamo subito che DINO RISI non è Pulp e che lo sappiamo benissimo!
A parte il fatto che l'Almanacco è nostro e ci mettiamo chi ci pare, dovrete convenire però che, in fatto di cattiveria, cinismo e capacità di rappresentare il peggio dell’umanità, il grande regista romano non era secondo a nessuno!
I suoi “mostri”, cari amici dei Mutzhi Mambo, sono mostri davvero, peggio dei peggiori serial killer o gangster!
Non c’è vampiro o zombi che possa rivaleggiare all’orrore che suscitano i suoi personaggi grotteschi, meschini, malvagi davvero.
Non c’è splatter o gore che faccia venire il ribrezzo e il voltastomaco che provocano le abbiette azioni dei suoi “italiani”.
E tutto ciò chiudendo con una grassa risata.
Perché i suoi film facevano pensare, indignare ma soprattutto ridere!
Merito suo, certo, ma anche dei grandi attori che ha avuto a disposizione: Gassman, Sordi, Tognazzi, Trintignant, Manfredi…
Risi, di solito, partiva dai libri, anche non facili, interiorizzando la vicenda e cercandone le qualità cinematografiche; poi girava, spesso a basso costo...
Miracolosamente, però, la maggio parte delle volte le pellicole andavano così bene da far incassare ai suoi produttori, nel giro di pochi mesi, delle belle cifre!
Accusato spesso di "inconsistenza" dai critici cinematografici, era invece un maestro nel saper coniugare episodi divertenti a momenti di spietata crudeltà morale.
Satira, costume, passione, verità, menefreghismo, indifferenza, gags e parolacce, qualunquismo: riusciva a sfiorare tutto, pungendo, creando ambiguità, scendendo nel grottesco.
Ridiamo ancora per i suoi sguaiati film-barzelletta ma meditiamo ancora quando ci troviamo di fronte a quei temi che sovente ci riproponeva, inquadratura per inquadratura: la linea di confine fra normalità e follia, la diatriba fra l'autorità - spesso militare - e l'anarchismo indignato, il rapporto fra le generazioni, l'educazione, la follia della guerra, la solitudine, il bisogno, quasi la necessità, della tenerezza e l'immancabile mancanza d'amore.
Le sue regie hanno segnato la più felice stagione del cinema tricolore, quello che gli altri nel mondo si sognavano di fare.
Ora, non per fare i soliti patiottardi nostalgici ma era la stagione dei Risi, dei Monicelli, dei Salce; e poi Freda, Bava, Leone, Fulci, Argento, Corbucci, Sollima, Di Leo, Brass…
Altro che cinema di genere, quello sì che era Grande Cinema con la “C” maiuscola!
Dalla commedia all’orrore, dal poliziesco al western, dal giallo all’erotico, eravamo i meglio di tutti! E in tutti i generi!
Per non parlare dei registi cosiddetti “seri”, che allora c’erano Fellini, Antonioni, Pasolini, Germi...
Eravamo i migliori perché sapevamo, eravamo consapevoli di essere i peggiori.
E Risi lo sapeva più di tutti che siamo i peggio, era il più “italiano” di tutti!

Dino Risi nasce a Milano il 23 dicembre 1917.
Dopo aver frequentato il prestigioso liceo-ginnasio Berchet, incontra il cinema grazie ad Alberto Lattuada che lo fa scritturare come assistente alla regia di “Piccolo mondo antico” (1941) di Mario Soldati e lo promuove aiuto per il suo “Giacomo l'idealista” (1943).
Dopo l'8 settembre viene internato a Murren, nell'Oberland bernese, dove conosce Claudia Mosca, che diverrà poi sua moglie e madre dei due figli Claudio e Marco.
Tornato a Milano, si laurea in medicina nel 1945 ma rinuncia a specializzarsi in psichiatria e non esercita la professione.
Comincia invece a scrivere articoli, racconti e recensioni cinematografiche per testate come "Il giorno", "La fiera letteraria", "Milano sera" e "Tempo illustrato".
Sempre nel dopoguerra incontra il produttore Gigi Martello, per il quale girerà numerosi documentari d'ispirazione neorealista.
Dopo aver venduto il cortometraggio “Buio in sala” (1950) ‒ una sorta di favola sul suo amore per il cinema ‒ al potente produttore Carlo Ponti, su invito di quest'ultimo si trasferisce a Roma, dove ben presto esordisce con il lungometraggio, “Vacanze col gangster” (1952).
In questo film come anche nel successivo “Il viale della speranza” (1953), la sua vena appare ancora acerba, caratterizzata solo da una acuta attenzione ai problemi adolescenziali.
Con “Il segno di Venere” (1955), invece, Rosi perfeziona il suo senso della comicità popolare sulle tonalità di una commedia più elegante ed eccentrica.
Sempre nel 1955 realizza “Pane, amore e...”, terzo e ultimo capitolo della fortunata seri con De Sica.
Il suo primo, grande successo è “Poveri, ma belli”, commedia di travolgente vitalità ma un po’moralista che viene subissato di critiche dagli opinionisti "impegnati".
Risi sfrutta la sua crescente autorevolezza per passare dalla farsa provinciale o giovanilistica alla commedia di costume fondata sulla satira del boom economico.
Lo humour nero di “Il vedovo” (1959) inaugura alla grande la galleria dei “suoi” mostri: un impagabile Sordi nel ruolo di un marito vessato da una ricca e imperiosa imprenditrice milanese (Franca Valeri), che se ne vuole sbarazzare!
La morale è ambigua, “immorale”: alla fine non si può non parteggiare per il candidato uxoricida.
Il coevo “Il mattatore” (1960) punta più sul protagonismo di Gassman e sulle sue doti di trasformista istrionico.
In “Una vita difficile” il regista realizza la parabola di un tipico vigliacco tra la Seconda guerra mondiale e la fatidica svolta del 1960: partigiano suo malgrado, giornalista comunista dopo la Liberazione nonché intellettuale squattrinato, marito abbandonato negli anni Cinquanta e infine portaborse di un signorotto neoarricchito.
Il protagonista (Sordi) interpreta gli eterni principi della contraddizione nazionale, tra gallismo e vita di coppia, astrattezza delle idee e urgenza del sopravvivere, eventi storici e prosaicità quotidiane.
Un italiano inguaribilmente “normale”, che non appena s'indirizza su una scelta univoca, definitiva, finisce rovinosamente con lo svergognarla.
Subito dopo “La marcia su Roma” (1962), cinica e irresistibile satira sugli albori del fascismo, Risi gira il capolavoro, “Il sorpasso”, scritto da Scola e Maccari e diventato il manifesto di una società cialtrona e provvisoria, avida di benessere e votata all'autodistruzione.
Storia on the road della breve vita felice del timido Roberto (Jean-Louis Trintignant), trascinato alla scoperta di sé dal mefistofelico Bruno (Gassman), campione di tutta la furbizia ed esuberanza che il Paese offriva agli albori degli anni Sessanta.
Nei venti episodi che compongono “I mostri”, Risi si fa beffe allo stesso modo di ricchi e poveri, borghesi e sottoproletari, vincenti e perdenti della vita: il suo "cinismo" riesce così a trasformarsi in uno sguardo oggettivo che accomuna i personaggi tratteggiati dalla sarabanda dei travestimenti di Gassman e Tognazzi nella stessa isterica danza sul vuoto dei moderni valori mistificati.
Nel corso del decennio e fino alla metà degli anni Settanta, Risi alterna regolarmente le repliche della commedia come show dei vizi nazionali a film dove la formula risulta "commerciale": alla prima tipologia appartengono “Il tigre” (1967), “Il profeta” (1968), “Vedo nudo” (1969), mentre “Il giovedì” (1964), con un grande Walter Chiari, “L'ombrellone” (1965), bonario per quanto malizioso tratteggio delle smanie vacanziere, e “Straziami, ma di baci saziami” (1968), melodramma canzonettistico, gli consentono di mostrare propensioni nostalgiche o crepuscolari.
Dopo “La moglie del prete” (1970) con la coppia Loren-Mastroianni, molto più incisivo, quasi rabbioso apparve a pubblico e critica “In nome del popolo italiano” (1971), giocato sul duello senza esclusione di colpi truccati tra l'industriale becero e corrotto (Gassman) e l'integerrimo quanto fanatico magistrato di sinistra (Tognazzi), amaro apologo che lascia al pubblico la facoltà di dividersi sul giudizio etico.
Nel 1974 gira “Profumo di donna”, dal romanzo di Arpino, interpretato da un Vittorio Gassman in stato di grazia: l'itinerario verso il suicidio del capitano Fausto, cieco in seguito a un'esplosione, viene modificato dall'ingenuità e dalla voglia di vivere del soldatino-studente che lo accompagna.
Possono considerarsi tra i titoli più riusciti della terza stagione “La stanza del vescovo” (1977), irridente inno alla libertà, “Sono fotogenico” (1980), che rievoca il triste mondo dei “cinematografari” con spietata verosimiglianza, e “Fantasma d'amore” (1981), thriller čechoviano immerso nelle spettrali strade di Pavia sul filo di un'insanabile ferita d'amore.
Nel 1984 ha iniziato a cimentarsi con i serial televisivi, tutti professionalmente impeccabili, ma sostanzialmente lontani dalla straordinaria originalità inventiva degli anni migliori.
Il grande regista milanese ci lascia a Roma, il 7 giugno 2008.
Dicevano che i suoi film fossero troppo esagerati, che rappresentassero un Paese irreale, deformato e grottesco.
A vedere come siamo finiti, bisogna ammettere che ci vedeva lungo.
Più lungo di tutti!
Anzi, a conti fatti era pure ottimista...
Onore a Dino Risi!

“Ma che sei matto? Te voi impiccia’ con le testimonianze, voi passa’ il Ferragosto al commissariato?”


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