I suoi fans sparsi in tutto il mondo si autodefiniscono scherzosamente “dickheads”, “teste di minchia”.
È un gioco di parole basato sul cognome che sicuramente non rende il dovuto onore al gigantesco PHILIP K. DICK, “l’uomo che ricordava il futuro”, uno dei maggiori autori di fantascienza di sempre.
Precursore del cyber-punk, Philp K. Dick è stato proprio dei più grandi veggenti del secolo scorso, le cui “visioni” deliranti ma al contempo lucidissime continuano a condizionare la nostra aspettativa del futuro.
Ed è una visone assolutamente inquietante, la sua, che per ora, purtroppo, non trova smentite...
Philip K. Dick è universalmente noto ai più per essere l’autore del romanzo “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?”, a cui si sono ispirati il cult fantascientifico di Ridley Scott “Blade Runner” e il sequel di Denis Villeneuve, ma sono una caterva i film tratti (più o meno fedelmente, più o meno efficacemente) dalle sue opere.
In vita il nostro ha avuto un'esistenza inquieta e disordinata, al limite dello psichiatrico ma sempre lucida dal punto di vista letterario, fin dagli esordi.
È stato al centro, dopo la morte, di un clamoroso caso di rivalutazione letteraria: sottovalutatissimo in vita, dopo il decesso ha visto un notevole risveglio di interesse nei suoi confronti, fino ad essere considerato uno dei talenti più originali e visionari della letteratura americana contemporanea.
La sua è un'opera che si presta sia ad una lettura immediata, di consumo, sia a riflessioni più profonde, esistenziali; parecchi dei suoi lavori sono ormai considerati degli autentici classici della cultura tout court.
Le tematiche della sua sregolata, ma geniale produzione narrativa vertono sulla droga e i suoi effetti sulla personalità, sulle realtà apparenti e soggettive, sulla difficoltà di definire il Divino ed il Reale; e, all'interno del Reale, il rapporto fra umano e artificiale e il controllo occulto sugli individui.
Spunti fantastici che gli vengono forniti da una profonda conoscenza della fisica e della teologia.
Umani e androidi, alieni e terrestri, Parmenide egli Atti degli Apostoli, Dio e Satana: tutto viene miscelato per ottenere paesaggi metafisici originalissimi, cari amici dei Mutzhi Mambo, capaci di stupire e di disorientare deliberatamente il lettore.
Notte dopo notte, restava seduto davanti alla tastiera della sua macchina da scrivere, cercando di attingere a quel vasto deposito di allucinazioni che si formava grazie all’assunzione smodata di droghe; il tutto permeato da quell'alone di tragico pessimismo che l'autore si porterà dietro tutta la vita.
Cresciuto con una madre possessiva e nevrotica e un padre assente, Dick svilupperà una personalità contraddittoria, caratterizzata da atteggiamenti ambivalenti nei confronti del sesso femminile.
Non è quindi un caso che i suoi rapporti con le donne saranno particolarmente difficili.
A tutto questo si aggiungano problemi fisici e psicologici, come l’asma, la tachicardia e l’agorafobia (probabilmente di origine psicosomatica), e il quadro di una personalità geniale e disturbata da manuale è presto fatto…
Un genio, ma anche un po' "testa di minchia", quindi...
Philip Kindred Dick nasce a Chicago il 16 dicembre 1928.
È l’epoca del proibizionismo, poco prima del crollo di Wall Street: la madre, è una accesa femminista, il padre, un funzionario governativo.
Sono entrambi genitori affettuosi, ma angosciati dalla morte prematura della sorella gemella, deceduta per mancanza di denaro e di cure.
Dopo il trasferimento della famiglia a Washington, Philip inizia a soffrire di disturbi mentali che gli bloccano perfino la deglutizione.
Diagnosticati come una forma di isteria acuta, il piccolo viene rinchiuso in un collegio per bambini “problematici” dove si dimostra svogliato e oppositivo.
Appena undicenne si imbatte in un libro che cambierà il corso della sua vita: “Il meraviglioso mago di Oz” di L. Frank Baum: tre anni dopo, il suo interesse per il genere fantasy si trasforma in una vera e propria fissazione per la fantascienza.
Nel 1943, insieme all’amico Pat Flannery, cura un giornaletto artigianale in cui vengono narrate le imprese di un supereroe, “Future-Human”, uno spietato cacciatore di criminali.
Conseguito privatamente il diploma di liceo, Philip si iscrive alla Berkeley High School e sbarca il lunario riparando elettrodomestici nel negozio di Herb Hollis, un commerciante bonario e di larghe vedute.
Sfibrato da ricorrenti esaurimenti nervosi, è costretto a ricoverarsi in una clinica psichiatrica di San Francisco.
Lì entra in contatto per la prima volta con Carl Jung e le sue idee sui fenomeni paranormali, che lasceranno un traccia indelebile nei suoi scritti.
Alla fine degli anni Quaranta, le università americane sono centri di reclutamento militare e di propaganda contro il comunismo sovietico ma Dick non si arruola e decide di abbandonare l’ateneo californiano, per le sue convinzioni pacifiste e per il rifiuto a partecipare alla guerra in Corea.
Pur avendo abbandonato l’università, non smette di studiare da vorace autodidatta, anche testi complessi come il trattato di Spinoza “Deus sive Natura”.
Si sposa con Kleo Apostolides, una giovane studentessa ultraradicale.
Sarà il primo di cinque matrimoni (da cui avrà tre figli).
Nel 1953 vede finalmente la luce un suo racconto breve, “Ruug”: sarà l’inizio di una produzione forsennata che durerà un trentennio.
Dal negozio di riparazioni, viene licenziato per i suoi ripetuti atteggiamenti ostili nei confronti dei clienti, non più tollerati nemmeno dal buon patron Hollis.
Cerca quindi di integrare la modesta indennità di disoccupazione con gli introiti delle sue pubblicazioni.
Quando non scrive, legge in modo compulsivo: Flaubert, Joyce, Maupassant, Stendhal, ma anche Wilhem Reich e L. Ron Hubbard, il fondatore di “Scientology”.
La teoria “dianetica” formulata da quest’ultimo, una sorta di disciplina della mente di carattere scientista con corollari mistico-deliranti, appare subito a Dick come grottesca e potenzialmente dannosa.
Non esiterà pertanto a ridicolizzarla nella “Ruota cosmica” (1954), una satira della dottrina esoterica seguita da una fantomatica e elitaria setta dei bardi.
A metà degli anni Cinquanta il suo talento viene notato dalla casa editrice inglese Rich and Cowan, che raccoglie quindici dei suoi racconti in un’antologia dal titolo “Una manciata di tenebra”.
Nel 1955 la Scott Meredith Literary Agency pubblica il suo primo romanzo, “Lotteria nello spazio”, in cui sono anticipati i temi centrali della sua narrativa: il potere divinatorio sfruttato cinicamente dai leader religiosi, il problema del libero arbitrio, i labili confini tra vero e falso, la concezione del tempo che non scorre ma semplicemente “è”, per cui il futuro già esiste.
Risale a questo periodo, sebbene sia spiato dall’Fbi per le sue sospette simpatie socialiste, il suo incontro alla Baia di San Francisco con il movimento della “Beat Generation”.
Poco dopo si unisce a un bizzarro gruppo di intellettuali dalle inclinazioni apocalittiche che vede in Claudia Hambro la sua incontrastata leader.
Questa signora è certa che il giorno del giudizio arriverà il 22 aprile 1959.
Philip è assolutamente succube della dama ma, fortunatamente per lui e gli altri seguaci, la profezia si dimostrerà fasulla...
Nel 1961 pubblica “La svastica sul sole”, famosissima ucronia basata sull’idea che le forze dell’Asse abbiano vinto la II Guerra Mondiale.
La schiavitù è di nuovo legale, i pochi ebrei sopravvissuti si nascondono dietro falsi nomi, l’Africa è ridotta a un deserto, mentre in Europa i nazisti si preparano a inviare razzi su Marte.
In questo scenario da incubo due libri segnano il destino dell’umanità: un testo antichissimo, il millenario “I Ching”, l’oracolo utilizzato come arma morale di ogni volontà di riscatto, e un misterioso best-seller moderno, che minaccia di sovvertire il Reich hitleriano perché preconizza la sconfitta di Germania e Giappone per mano degli Alleati.
Si tratta forse della sua opera più matura che ci fa veder quanto la realtà che ci circonda potrebbe essere invece una specie di sfondo di cartapesta costruito a nostra immagine e somiglianza.
Nelle intenzioni di Dick, il romanzo dovrebbe fungere da trampolino di lancio verso quella letteratura mainstream a cui l’autore aspira da tempo.
Vince un premio prestigioso, ma senza modificare il suo status.
Il matrimonio con Kleo va in crisi quando Dick si trasferisce nella zona rurale di Point Reyes, a nord di San Francisco, in quella Marin County che sarà l'ambientazione di diverse opere (tra tutte “Cronache del dopobomba”).
Lì conoscerà Anne Williams Rubinstein, la sua terza moglie (rimarranno sposati dal 1º aprile 1959 all'ottobre 1965), una donna colta e di forte personalità, vedova e madre di tre figlie, che, nel 1960, gli darà a sua volta una figlia.
Dick si trasferisce a casa di Anne, e per mantenere la famiglia e il tenore di vita della moglie abbandona la fantascienza, che rendeva poco in termini monetari, per tentare di occuparsi di narrativa mainstream.
Nel solo arco degli anni '50 aveva già scritto undici romanzi oltre settanta racconti, al di fuori del genere fantascientifico e tutti ricevono il rifiuto alla pubblicazione (soltanto uno viene poi pubblicato, "Confessioni di un artista di merda").
Dick pubblica comunque una buona quantità di racconti e romanzi di sci-fi tra i quali ricordiamo "Il disco di fiamma" (1955), "Autofac" (1955), "Noi marziani" (1963/64).
Tra i tanti, citiamo ovviamente "Il cacciatore di androidi" (titolo originale: "Do the Androids Dream of Electric Sheeps?", 1968), dal quale Ridley Scott ha poi tratto il film "Blade Runner", e "Ubik (1969), forse il suo romanzo più significativo.
Il suo insuccesso come scrittore non di genere lo vive come una sconfitta, di cui considera responsabile la moglie.
Addirittura, Dick si convince che la moglie avesse assassinato il precedente marito e che avrebbe fatto lo stesso con lui.
Divorziano nel 1965 e Dick si trasferisce a San Francisco.
Dick assume amfetamine fin dai primi anni Cinquanta, seguendo le indicazioni di uno psichiatra che gli aveva diagnosticato una lieve forma di schizofrenia.
Le usa per combattere gli stati depressivi di cui soffre occasionalmente.
Piano piano il nostro sviluppa una vera e propria tossicodipendenza dalla sostanza, la cui assunzione lo aiuta a sostenere altissimi ritmi produttivi nella stesura delle sue opere.
Negli anni '60 scrive diciotto romanzi e venti racconti: un ritmo di scrittura forsennato, al limite dello stress psicofisico (oltre sessanta pagine al giorno) che finirà col distruggere la sua vita familiare e il suo fisico.
L'abuso di stimolanti raggiunge livelli allarmanti durante la seconda metà degli anni Sessanta, proprio nel periodo in cui l'autore scrive due dei suoi romanzi più importanti (“Il cacciatore di androidi” e “Ubik”).
Dick si farà ricoverare in una comunità di recupero per tossicodipendenti, la X-Kalay, un'esperienza breve che però lo aiuterà a chiudere con le anfetamine.
Molti eventi e situazioni risalenti a questo periodo avranno un ruolo importante nel suo romanzo “Un oscuro scrutare”.
La rottura con la quarta moglie, Nancy Hackett (una malata di mente sposata dal 6 luglio 1966 al 1972), che lo abbandona assieme alla figlia Isolde, e la morte del suo carissimo amico Jim Pike, mandano Dick alla deriva; lo scrittore si trova a vivere in una specie di squat con altri sbandati.
La situazione arriva al punto di non ritorno quando, in sua assenza, la sua abitazione subisce un'effrazione durante la quale sconosciuti forzano il suo schedario blindato.
Philip farà innumerevoli ipotesi sulla loro identità, arrivando a sospettare che fossero agenti dell'FBI; a tutt'oggi la questione non è mai stata chiarita.
Il suo messaggio letterario intende trasmettere la sua paranoia sul fatto che “non possiamo essere certi di nulla di ciò che definiamo reale”; tema che verrà sviluppato in uno dei suoi romanzi più famosi, “Ubik” (1969), un’ incandescente commedia metafisica, un tour de force narrativo tra farsa soprannaturale e orrore sfrenato, ambientato in un pianeta in cui non è mai chiaro quali sono i vivi e quali sono i morti.
Quando viene concepito, anche a causa del fallimento del terzo matrimonio, Philip è afflitto da una forte depressione, lenita soltanto dagli allucinogeni e dai dischi dei Rolling Stones.
Riceve un invito dalla Vancouver Science Fiction Convention e, nel 1972, si trasferisce in Canada dove il suo discorso alla University of British Columbia viene accolto da un’ovazione, soprattutto quando suggerisce con ironia agli scienziati, invece di studiare le macchine per comprendere il comportamento umano, di studiare gli esseri umani per comprendere il comportamento delle macchine.
Rientrato negli Stati Uniti, Dick cade nel baratro della follia e della paranoia più schizoide.
Inizia ad essere soggetto a visioni, da lui denominate "2-3-74" (abbreviazione di febbraio-marzo 1974), affermando di vivere una doppia vita: una come Philip K. Dick e una come Thomas, un cristiano perseguitato dai Romani nel I secolo d.C.
Impressionato dalla lettura di Roger Caillois, “Le maschere di Medusa” (1964), in cui creature aliene sono in grado di camuffarsi fra noi per non essere scoperte, il nostro arriva a sentirsi minacciato da oscure presenze che avverte nella sua casa.
Si convince che tali “presenze” altri non sono che i nunzi di “Valis”, acronimo che sta per “Vasto sistema di intelligenza vivente attiva”.
Per lui questo Valis non è un parto della sua fantasia ma è reale, una sorta di satellite che invia sulla Terra comunicazioni che attendendono di essere decrittate.
Infatti uno dei suoi romanzi più complessi e allusivi si intitolerà proprio “Valis” (1981).
La critica arriva a paragonarlo a Dickens e Kafka per il suo agghiacciante umorismo, mentre le sue storie surreali gli fanno guadagnare il soprannome di Salvador Dalì della penna.
D’altronde, solo lui può plasmare un eroe da una muffa gelatinosa chiamata “Lord Running Clam”, nativa di Ganimede, la luna di Giove.
Il suo prodigioso ritmo lavorativo non gli impedisce però di coltivare la sua grande passione per le donne: le sue relazioni sentimentali (soprattutto con ragazze dai capelli scuri che trova assolutamente irresistibili) possono essere romantiche o tenere, tempestose o violente ma è raro che un’amante, legittima o adultera che sia, non sia attratta dal suo eccezionale carisma intellettuale e dal suo spiccato senso dell’umorismo (era pure un bell’uomo, a dirla tutta…).
Dei suoi innumerevoli amori Dick parlerà anche in un monumentale diario, “Esegesi” (pubblicato postumo nel 2011).
Quasi ottomila pagine, di cui la maggior parte dedicata all’analisi delle sue esperienze mistiche e ai suoi deliri paranoici.
Il genio della fantascienza moderna muore a Sant’Anna, in California, il 2 marzo 1982, stroncato da un ictus, proprio quando i diritti delle sue opere cominciano a dargli per la prima volta una certa sicurezza economica, e mentre è in lavorazione il primo film basato su una delle sue storie: “Blade Runner”, di Ridley Scott, che Dick non potrà vedere completato, anche se riuscirà a visitarne il set.
Dopo il funerale, la sua salma viene cremata e le ceneri sepolte nel cimitero di Fort Morgan, accanto a quelle della sorellina Jane.
Per molti era un paranoico inguaribile ma lui si considerava un filosofo che scrive romanzi.
Per lui “la realtà è davvero un casino, un casino emozionante. La questione fondamentale è: quanto ci spaventa il caos? E quanto ci rende felici l’ordine?”.
Difficile davvero rispondere.
Comunque, meglio non avere paranoie quando si leggono i romanzi di Dick.
Potrebbero peggiorare la faccenda.
Seriamente…
Onore a Philip K. Dick!
“Ma a un androide non gli si può far niente, perché se ne strafregano.”
Philip K. Dick – Ma gli Androidi sognano Pecore Elettriche?