Salve a tutti, coppoloni! Oggi è il compleanno di uno dei pochi cantautori italiani che stimiamo veramente, l'immagnifico VINICIO CAPOSSELA, il poeta dei bar de noantri!
Da diversi anni a questa parte Vinicio è diventato l'alfiere più credibile di un certo modo di intendere la musica (certo, non sempre messo pienamente a fuoco, non sempre riuscito ma sempre perlomeno interessante) che per noi, cari amici dei Mutzhi Mambo, merita rispetto e ammirazione.
È riduttivo e ingeneroso definirlo semplicemente un epigono di Tom Waits o la versione alcolizzata di Paolo Conte: Capossela ha dimostrato, negli anni, di essere molto di più, un artista vero che, quando va a segno, riesce a parlare all'anima come pochi altri, prima e dopo di lui.
Pochi hanno la sua capacità di trovare le parole giuste al momento giusto, di osservare la realtà sempre dal lato dei perdenti e dei dimenticati, di ricordarci come, in fondo, siamo sempre un popolo fondamentalmente arretrato e bestiale.
E questo valga per tutti...
A volte, è vero, ha peccato di leziosità e intellettualismi ma quando scava, arriva veramente fino in fondo.
È poi è veramente un magico frullatore di stili e umori diversi, riuscendo a rimanere coerente sia col repertorio popolare, sia coi leziosismi da chansonnier jazz, sia con le citazioni colte (a volte pure troppo…) sia con le storie da bassifondi: tutto assume con Capossela un senso, un'unità, un nichilismo a volte disperato, a volte ottimista e ridanciano.
Questa è la prerogativa dei grandi artisti….
Vinicio Capossela nasce il 14 dicembre 1965 a Hannover (Germania), da una famiglia di immigrati irpini.
Approda poco più che ventenne in Italia, dove si divide tra il lavoro di parcheggiatore e gli studi al conservatorio.
Ben presto lascia gli studi e si trasferisce a New York dove suona nei pub e nei night-club.
È grazie all'incontro con Francesco Guccini e Renzo Fantini (poi suo produttore) che riesce a pubblicare, supportato da musicisti di tutto rispetto come il chitarrista Jimmy Villotti e il batterista Ellade Bandini, il suo primo lavoro, "All'una e trentacinque circa" (1990).
È un ottimo album d'esordio, addirittura formidabile se si considera il desolante panorama italiano, che contiene almeno un paio di classici come "Scivola vai via" e la title-track.
Questo disco mette già in luce la peculiarità del suo sound (pur ancora acerbo e un po' troppo "pulito") e gli vale il premio Tenco come migliore opera prima.
Nonostante ciò, il successo tarda ad arrivare. Nel 1991 esce "Modì" uno fra i migliori album della sua carriera, con pezzi come "Ultimo amore", "Cadillac" e "Notti Newyorkesi", oltre alla più orecchiabile "... e allora mambo!", il suo primo vero successo.
Canzoni che sembrano uscite da qualche fumoso piano-bar di provincia, intrise di sentimenti, poesia e humour.
Capossela, nel 1992, si cimenta anche in una piccola parte nel film "Non chiamatemi Oscar", di Staino e Altan, la cui colonna sonora è tratta dallo stesso "Modì'".
Nel 1993 firma le musiche dello spettacolo teatrale di Paolo Rossi, "Pop e Rebelot" e, nello stesso anno, partecipa al disco tributo, organizzato dal Club Tenco, dedicato al grande chansonnier russo Vladimir Visotski, intitolato "Il volo di Volodja", con il brano "Il pugile sentimentale", destinato a diventare uno dei capisaldi del suo repertorio, in forza di una irresistibile combinazione tra struggente melodismo russo e ritmi contagiosi da brass-band.
L'anno della prima consacrazione è il 1994 quando Capossela pubblica "Camera a sud", trascinato dalla struggente ballata omonima e dal singolo "Che coss'è l'amor".
La sua musica vive di visionarie contaminazioni, tra swing e mambo, tango e twist, marce e ballate.
Ma i ritmi originali sono sempre stravolti e rielaborati, nel segno dell'ironia e della dissacrazione.
L'album della svolta è però "Il ballo di San Vito" (1996) definito dallo stesso Vinicio "non un disco, ma una vicenda".
Ogni traccia di questo disco è veramente centrata: canzoni come "Accolita dei rancorosi" – liberamente tratto dal libro "La confraternita del Chianti" di John Fante – "L'affondamento del Cinastic", "Il Corvo Torvo", "La notte se n'è andata", rivelano una evidente derivazione letteraria ma messa al servizio di una verve narrativa livida e corrosiva.
In particolare, in questo album, è palese la fortissima influenza di Tom Waits, già presente in modo più larvato nei dischi precedenti e che continuerà a contrassegnare fortemente Capossela, in studio e dal vivo, complice anche la presenza del chitarrista prediletto da Waits,Marc Ribot.
I toni aspri e dissonanti, ma soprattutto il ritmo, sono i veri protagonisti dell'album.
In un clima di sagra paesana, tra balli e canti di antiche contrade, si ambienta anche la possente title-track, in un magistrale connubio di musica e testo, che si fondono fino a trasmettere la vibrazione stessa del morso della tarantola!
Con la partecipazione della balcanica Kochani Orchestra, "Liveinvolvo" (1998) è il suo primo, memorabile disco dal vivo, uno dei migliori realizzati in Italia: la sua musica si fa più febbrile, tra ballatone strappalacrime al piano (la cover di "Estate" di Bruno Martino), blues sporchi e pieni di rumori sempre nello stile di Waits e cupe progressioni sonore ("L'accolita dei rancorosi"), mentre la sua voce è sempre più ruvida, come una grattugia alle prese con una noce moscata.
Una maturazione artistica che giunge a compimento nel 2000, con "Canzoni a manovella": polke, marcette, palombari e marajà si inseguono in una sorta di teatro della strada, dove, tra un giro di valzer e un sogno, si viaggia tra Lubecca, Varsavia e Salonicco.
Filastrocche, tanghi, ninnenanne e ritmi popolari dal sapore antico, che ricordano le cadenze dei vecchi organetti a manovella, si rincorrono in un disco senza tempo, pieno di foto bizzarre, sbiadite, in bianco e nero, come quella della copertina.
E Capossela affronta gli abissi esistenziali, camuffando suoni, rovistando ritmi balcanici, ricordando le allegorie marziali di Kurt Weill. I pezzi? "Polka di Warsava", "Marajà", "Marcia del Camposanto", "Suona Rosamunda": bastano?
Dopo la raccolta "L'indispensabile", del 2003 (che si segnala per la presenza della splendida cover di Celentano, "Sì è spento il Sole"), nel 2006, dopo sei anni di pausa, esce il monumentale "Ovunque proteggi".
Circondato di un supercast, con musicisti come Mario Brunello (violoncello), Roy Paci (tromba), Marc Ribot (chitarre), Stefano Nanni (piano), Ares Tavolazzi (ex-Area) al contrabbasso e Gak Sato all'elettronica, Capossela confeziona un disco “monstre”, in cui convivono Omero, le processioni siciliane, Moby Dick, i tenores sardi, Gianburrasca, (il solito) Tom Waits, i gladiatori, la Genesi e il cha-cha-cha.
Brani come la title-track, "Brucia Troia", "Medusa Cha Cha Cha", "Dalla Parte di Spessotto", "Moskavalza", "L'Uomo Vivo", "S.S. dei Naufragati", sono lì a dimostrarci qual'è l'autore italiano più importante in circolazione.
Peccato che il successivo "Da solo" (2008) sia una mezza chiavica di disco.
Ci perdonino i numerosi fan del cantautore italo-tedesco, ma questo album è veramente palloso e inconcludente, irritante quasi per il suo mal celato narcisismo di fondo...
Ma nel 2011, con "Marinai, profeti e balene", Capossela torna abbandonando completamente ciò che restava del suo (già esiguo) senso della misura: si imbarca addirittura in un'opera epica, anzi "ciclopedica", suddivisa in due tomi-cd - "uno oceanico, l'altro omerico e mediterraneo" - in bilico tra musica e letteratura.
Un musical teatrale, più che un album, lungo un'ora e mezzo e traboccante 19 canzoni, intrise di miti, poesia e salsedine.
Capossela, novello Ulisse, naviga tra vascelli fantasma, sirene, polpi, foche barbute, balene, squali bianchi, madonne delle conchiglie e serafini "con occhi di biglie".
Un'odissea letteraria e filosofica, a conferma dell'accresciuta vocazione spirituale del Capossela recente.
Non tutto fila liscio, alcuni pezzi sono proprio pesanti, ma più del dettaglio conta l'insieme.
Dopo il passo falso di "Da solo", Capossela si riscatta con un'opera titanica e straripante, a tratti barocca, a tratti compiaciuta ma comunque ricca di inventiva e suggestioni.
Dopo tutto 'sto popò di roba, Vinicio si rilassa un po' con un disco non irresistibile ma simpatico.
Registrato negli storici studi Sierra in Atene su nastro analogico, "Rebetiko Gymnastas" (2012) contiene quattro inediti, una ghost-track e otto classici caposseliani reinterpretati in chiave rebetika, la musica tradizionale greca, con un contorno di musicisti di tutto rispetto, come alcuni illustri rebetes greci, tra cui Manolis Pappos, gran maestro del bouzuki.
Ripetiamo, nulla di indispensabile ma si fa ascoltare, sempre che piacciano i dischi un po' bizzarre.
Altro progetto bizzarre è la produzione, nell'ottobre dello stesso anno, di "Primo Ballo" il primo album della Banda della Posta, un complesso di anziani musicisti del paese di origine della famiglia di Vinicio, Calitri, Alta Irpinia, che sin dagli anni Cinquanta suona agli sposalizi del paese esibendo un repertorio musicale energico e vitale, ricco di mazurke, polke, valzer, passo doppio, tango, tarantella, quadriglia e fox trot e con cui aveva già collaborato per il concerto contro l'apertura di una discarica al Formicoso.
Il repertorio che il musicista di Hannover porta poi in tour con questi arzilli vecchietti comprende i classici ballabili da sposalizio anni Cinquanta registrati dalla banda nel disco più recente, una selezione di brani di Capossela riarrangiati con ritmi ballabili, alcuni omaggi a cantanti da emigrazione ferroviaria come Salvatore Adamo, Rocco Granata e Adriano Celentano, brani provenienti dalla tradizione e esotismi western mariachi.
Dopo una lunghissima gestazione, nel 2016 è uscita la sua ultima fatica, il doppio "Canzoni della Cupa", quasi un concept di folk pervaso da atmosfere rarefatte e mediterranee.
Non per tutti ma sicuramente interessante (anche se qualcuno dovrebbe dire a Vinicio che si possono fare anche dischi più brevi, volendo...).
Il nostro è pure un valente scrittore dalla vena surreale e lo ha dimostrato con i suoi tre romanzi: "Non si muore tutte le mattine" (2004), "Tefteri" (2013), "Il paese dei coppoloni" (2015).
Ovvia, ogni tanto, con artisti così, di essere nati nello Stivale fa pure piacere…
Tanti auguri, Vinicio!
"...la notte se n'é andata
come una fucilata
il cielo è grave e gonfio adesso
come una colpa presa addosso
il buco che la notte riempie
il mattino lo trivella
finché arriva come niente
la spugna che tutto cancella"
Vinicio Capossela - La notte se n'è andata