Rieccoci a Voi, cari amici dei Mutzhi Mambo, con una nuova incursione nel “lato B” della nostra cinematografia!
Oggi infatti siamo lieti di festeggiare il compleanno di uno dei registi più oscuri e dimenticati del nostro cinema di genere: il valido ALDO LADO, autore di alcuni dei migliori thriller degli anni '70!
Sempre in bilico fra erotismo, violenza e critica sociale, Aldo Lado ha firmato alcuni dei film più controversi e di culto di quel periodo.
Era un cinema artigianale, povero, fatto più di incoscienza che di mezzi, ma che almeno ci provava a stare al passo coi tempi.
Quelli erano anni in cui l’industria cinematografica del nostro paese sfornava titoli mitici a iosa, coraggiosi, estremi, in cui anche il cinema di genere aveva un suo perché.
Vale la pena soffermarsi quindi su quel “perché”.
All’epoca producevano pellicole per cicli: a ben vedere, anche se oggi pare tutto un unico calderone, i film degli anni Sessanta e Settanta si possono dividere per periodi e generi, dal peplum al western, dall’horror alla fantascienza e poi dal poliziesco per finire alle commedie sexy.
L’ “offerta” variava a seconda dei profitti che poteva garantire…
L’elemento che accomuna i film di quel mitico ventennio, più che un “genere”, è l’esistenza di una vera e propria industria cinematografica che però, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, entrerà in una crisi irreversibile per poi sparire, nonostante i ciclici ma vani tentativi di riesumarla, divorata dalle TV commerciali prima e dall’home video, poi.
In quel circolo virtuoso si inserivano piccoli e grandi produttori che credevano in ciò che facevano, che si muovevano seguendo la domanda e con ciò realizzando l’offerta.
C’era una filiera di tipo “commerciale”, come una qualsiasi altra industria, e in essa erano coinvolti i produttori, i distributori (soprattutto quelli regionali) e gli esercenti.
Venivano realizzati più di 200 film a stagione: belli brutti, così – così, non importava, non si andava tanto per il sottile, bastava che si facessero e che le sale avessero sempre qualcosa di nuovo da offrire e che, naturalmente, fossero sempre il più possibile piene!
E per sale non s’intende solo le prime visioni ma anche quella selva di cinemini periferici, parrocchiali, sgangherati che per pochi spiccioli ti offrivano sogni, gassose e lupini…
E magari, imboscati nelle ultime file, qualche bella pomiciata...
Un’industria che è morta per diverse ragioni, non ultima, a parte quelle ovvie citate, è la scomparsa dei divi, attori e attrici che invogliavano ad entrare nelle sale, solo perché c’era il loro nome in locandina.
Ora il cinema commerciale italiano si costruisce viceversa, partendo proprio dagli attori e attrici che magari hanno conquistato la loro fama altrove (soprattutto in TV), e su cui viene “costruito” a posteriori il film.
In quel periodo era diverso, era il genere che “andava per la maggiore” a dettare le regole.
I giovani registi venivano tutti dalla gavetta: apprendevano il mestiere con l’aiuto regia e dopo potevano esordire, usufruendo anche di budget di un certo livello.
Erano artigiani che insistevano su un genere specifico e in quel modo potevano fare esperienza senza pensare all’autorialità e a quell’autocompiacimento che, invece, sembra affliggere i registi di oggi.
Entravano in un giro di produttori, spesso improvvisati, che chiedevano di fare delle pellicole così e cosà, dando poche possibilità di scelta.
Se volevano fare un film, dovevano sottostare alle esigenze di mercato seguendone le regole.
Il regista era sempre costretto a pensare sempre alle storie in relazione al filone che in quel momento il mercato imponeva.
Non era possibile fare quello che si voleva: era l’abilità nell’essere comunque riconoscibile e “personale” che faceva la differenza.
Ecco, Aldo Lado era uno che, pur nella povertà dei mezzi, la sua personalità è riuscito ad imporla!
Aldo Lado nasce a Fiume, in Dalmazia (allora italiana), il 5 dicembre del 1943.
Mentre frequenta le scuole medie, con la scusa di andare a studiare a casa di un amico, si rintana in piccole sale cinematografiche, parrocchiali e non, e si fa grosse scorpacciate di western, commedie musicali, gialli, commedie.
Gli piacciono tutti, da Totò a Hitchcock, da Jerry Lewis a Germi.
I film che vede sono ambientati ovunque e per girarli i componenti la troupe si erano certamente dovuti spostare in quei luoghi.
Immagina quindi che se riuscisse a lavorare nel cinema, in qualsiasi ruolo, avrebbe potuto anche a soddisfare l’altro suo grande desiderio, quello di viaggiare e conoscere il mondo.
Grazie a questa passione “bifronte”, decide allora di intraprendere la sua carriera cinematografica.
Quando debutta con la sua prima opera, il nostro ha già una grossa esperienza di aiuto regista e diretto qualche seconda unità, un mestiere imparato “rubando con gli occhi e le orecchie”, quindi da un punto di vista puramente tecnico non ha nessuna incertezza.
Aver lavorato a fianco di registi come Anatole Litvak, Marcel Carné, Bernardo Bertolucci, gli aveva fatto acquisire sicurezza e la capacità di ottenere l’interpretazione che voleva dai suoi attori.
Nel 1971 firma la prima regia, il curioso giallo “La corte notte delle bambole di vetro”, caratterizzato da atmosfere oniriche e polanskiane, che coniuga cospirazioni fantapolitiche con l'horror derivato dal filone demoniaco ed elementi di critica socio-politica suggeriti tra le righe.
L’anno seguente esce probabilmente in suo lavoro migliore, il thriller “Chi l'ha vista morire?”, ambientato a Venezia, che narra di omicidi di bambine e misteri nascosti nel passato dei protagonisti.
Successivamente abbandonerà le suggestioni dei suoi thriller visionari per dedicarsi ad uno stile più violento o ad atmosfere più morbose.
Sempre nel 1972 gira la commedia a sfondo erotico “La cosa buffa”, tratto dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto, con Ombretta Colli e Gianni Morandi (!?).
È poi la volta del melodrammone “Sepolta viva” (1973), un fuilletton in costume con elementi stranianti che, nonostante faccia oggettivamente cacare, avrà un notevole successo e lancerà la bellissima Agostina Belli come star.
“La cugina” (1974) è un erotico a sfondo incestuoso (secondo la moda del periodo) con Massimo Ranieri e quella stratopa di Dayle Haddon.
Finalmente, nel 1975, Lado firma la sua pellicola (giustamente) più famosa: il violentissimo “L'ultimo treno della notte”, esponente di spicco dell’infame filone rape & revenge, con Flavio Bucci, Enrico Maria Salerno, Macha Méril e Irene Miracle (che rivedremo in “Inferno” di Dario Argento).
Morboso, claustrofobico e disturbante, il film racconta di uno stupro su un treno compiuto da due giovinastri e la conseguente vendetta del padre della vittima.
Voyeuristico fino al compiacimento, la critica sociale sottintesa nella trama (la solita messa sotto accusa della “viziosa” e deviante borghesia), sembra più un pretesto per giustificare la messa in scena di nefandezze, come spesso succedeva ai film di questo tipo.
Subito dopo è la volta del drammatico “L’ultima volta” (1976), storia di due scippatori nella Milano pre-da-bere degli anni ’70, che si ritrovano a fare uno sgarro ad un delinquente “vero”; con Massimo Ranieri, Joe Dallesandro e una Eleonora Giorgi splendida come sempre.
Operazione originale e puro esercizio di stile è “Delitto in Via Teulada” (1979), ovvero dei frammenti diretti da Lado per la trasmissione “Variety” della Rai, al fine di inscenare un vero e proprio giallo in stile argentiano.
Le musiche di Fabio Frizzi sono riciclate da quelle composte per “Paura nella citta dei morti viventi” di Lucio Fulci e le riprese sono caratterizzate dalla presenza di volti noti della TV (Baudo, Pambieri, Binarelli, Smaila, Bracardi, Fede…); alla fine resta un prodotto bizzarro, da vedere se si è curiosi, anche se la vera suspence latita…
Dello stesso anno è l’incredibile (nel senso che non si può credere che sia stato girato un film del genere…) “L’Umanoide”, la risposta nostrale a “Guerre Stellari”, firmato con lo pseudonimo di George B. Lewis.
Inutile dirlo: kitsch, trash e poverismo all’ennesima potenza, in cui non si salva neanche il discreto cast, composto dalla prosperosa Bond girl Barbara Bach, da Richard Kiel (lo “Squalo”, l’indistruttibile nemico sempre di 007), Corinne Cléry e Ivan Russimov.
Comunque, chapeau al coraggio...
Negli anni ottanta, dopo aver diretto il noioso “La Disubbidienza” (1981), tratto da Alberto Moravia, con la procace Stefania Sandrelli, il nostro Aldo si dedicherà a film per la TV come “Figli dell'ispettore” e “La città di Miriam”, per poi tornare agli erotici con due lavori dimenticabili come “Scirocco” (1987) e “Rito d’Amore” (1989).
Nei primi anni Novanta ci riprova coi thriller, ma i risultati sono assai modesti: lo scombinato “Alibi perfetto” (1992) e “Venerdì nero” (1993), che non riesce neanche a trovare un distributore, e il noir “La Chance” (1994), neanche così malvagio se non fosse troppo “televisivo”.
Ormai la vena del miglior Lado è indubbiamente persa…
…o no?
Nel 2012, a quasi vent’anni di distanza dall’ultima prova, Lado torna a dirigere l’interessante “Il Notturno di Chopin”, storia di una bambina rapita nelle grinfie del suo aguzzino.
Realizzato con pochissimi mezzi (sembra quasi un prodotto amatoriale) e non totalmente riuscito, il lavoro di Lado, tutto incentrato sulla bambina, risulta comunque coraggioso e piuttosto disturbante, segno che qualcosa di buono nel film c’è.
Ultimamente il nostro sembra però più interessato alla scrittura.
Il suo racconto “Il gigante e la bambina”, dedicato al cantante Lucio Dalla di cui era amico, è contenuto nell'antologia “Nuovi delitti di Lago” uscita nel 2016.
Nel 2017 partecipa all'antologia “Delitti di Lago vol. 3” con il racconto “Cold Case sul Lago Maggiore”.
Il 26 giugno 2017 esce il suo libro “I film che non vedrete mai”, una raccolta di storie che Lado aveva scritto per il cinema tra gli anni sessanta e novanta e mai arrivate sullo schermo.
Vista l’età e i suoi “ritmi” di produzione, sperare in un ritorno dietro la macchina da presa ci sembra un po’utopico…
Non resta quindi che recuperare qualche suo film del periodo d’oro, godendosi ancora una volta le sue malate atmosfere.
E soprattutto ammirando un modo di fare cinema che ora ce lo sogniamo!
Tanti auguri, Aldo!
“Mi sorprende pensare oggi al successo che questi film stanno avendo, e mi sorprende pensare che attraverso quel cinema si pensi di raccontare quegli anni. Io, per quanto possibile, cercavo di mettere per immagini le storie che mi interessavano e divertivano.”
Aldo Lado