L’attore più mostruoso di tutti!
In tutti i sensi!
Sull’Almanacco di oggi ci sarà mooolto da discutere, cari amici dei Mutzhi Mambo, perché parleremo del mefistofelico KLAUS KINSKI, il “furore di Dio”, uno dei più grandi interpreti di sempre ma pure uno dei personaggi più controversi della storia del cinema.
Per sgombrare subito il campo a critiche e fraintendimenti, come in altri casi ma ora più che mai, vogliamo ribadire che omaggiamo Klaus Kinski in quanto attore di eccezionale carisma e di enorme talento, uno dei più prolifici di sempre, capace di impreziosire con la sua sola inquietante presenza film d’autore e di culto come le più improbabili ciofeche firmate dai peggiori registi.
Al netto di giudizi morali, non si possono certo dimenticare le sue bellissime prove di attore, sempre estreme, sempre imprevedibili, sempre ad un passo dalla follia.
E folle, Klaus Kinski lo è stato davvero: intrattabile, sprezzante, perverso, violento, malato di sesso, capace di litigare con tutti i registi ed intere troupe, …
Ma soprattutto, per la figlia Pola, è stato davvero un orco…
Non siamo certi moralisti, come ormai si spera vi siate accorti, e generalmente non siamo soliti giudicare i vizi e le virtù dei personaggi che presentiamo in questa rubrica.
Anzi sinceramente i personaggioni controversi li preferiamo pure.
In fondo qui si tratta di roba Pulp, non di collette per le suorine in missione o di trovare candidati per il Nobel per la Pace...
Certo però che gli abusi sessuali di Kinski sulla figlia, dai 5 anni in poi, sono troppo duri da digerire, anche per noi...
Quindi meglio concentrarci sull’ “artista” e lasciar stare l’ “uomo” (sempre che sia possibile farlo, in casi come questo…).
Istrione alla massima potenza, autentica icona del cinema tout-court, volto irregolare, occhi glauchi, pallati, sguardo da pazzo, labbra carnose sempre piegate in un ghigno beffardo, disperatamente febbrile e carico di un disagio selvaggio: Kinski ha spesso confuso la sua personalità debordante e diabolica con i personaggi da lui interpretati.
Aggressivo e arrogante sul set, amato e odiato dai registi che hanno avuto la sfiga di lavorarci insieme ma anche il privilegio di testare le sue doti, ha avuto una carriera davvero fuori misura, regalandoci soprattutto indimenticabili perdenti ed eroi negativi da antologia: conquistadores, soldati, banditi, vampiri, serial killer, avventurieri...
Per quarantatré anni ha attraversato il cinema internazionale con feroce aggressività e senza mai un sorriso, interpretando un numero enorme anche se difficilmente precisabile di film (tra i 150 e i 200), tra i quali la maggior parte infami prodotti di genere (horror, western, thriller, erotici), ma anche alcuni d'autore (con registi come Sergio Leone, Douglas Sirk, Roberto Rossellini, Anatole Litvak, Billy Wilder, Andrzej Żuławski, David Lean).
Il suo nome rimane tuttavia legato soprattutto (ma non per noi, sia chiaro…) alle pellicole dirette da Werner Herzog, di cui fu l'attore feticcio, e che in lui trovò un vero e proprio alter ego negativo: Kinski diede così corpo all'anima più notturna, visionaria ed espressionista del Nuovo Cinema Tedesco in ruoli che esigeva la forza titanica del suo perverso istrionismo.
Chiaramente non ci sogniamo neanche di rendere conto anche solo parzialmente della sua immane cinematografia e ci limiteremo a segnalare i titoli (per noi) più significativi.
Quindi nun rumpete se ne manca qualcuno...
Nikolaus Karl Gunther Nakszynski (così all’anagrafe) nasce a Sopot, in Polonia, nel Golfo di Danzica, il 18 ottobre 1926, da un padre cantante d’opera e una madre figlia di un pastore, in una famiglia molto povera.
Il padre lo abbandona, quando Klaus è ancora piccolo, per seguire i suoi sogni di gloria mentre la madre si trasferisce coi figli in un misero quartiere di Berlino.
Sembra che proprio le sue umili origini siano alla base della ossessione per il denaro che maturerà in seguito, una venalità patologica che, intrapresa la professione di attore, lo spingerà ad accettare qualsiasi ruolo gli venga proposto, non importa quanto misere o improbabili siano il copione e la produzione, basta che sia ben retribuito.
Dopo un’infanzia triste e caratterizzata da precoci esperienze sessuali, pare anche con la sorella, Klaus, giovanissimo, si ruolo nell’esercito del III Reich e parte per la Seconda Guerra Mondiale, dove viene fatto prigioniero dagli inglesi.
A ventisei anni viene ricoverato in manicomio, dove i medici lo definiscono un “pericolo pubblico”.
L’attore all’epoca perde la testa per una dottoressa più vecchia di lui, che però non ricambi; perciò il nostro tenterà il suicidio con la morfina.
Affetto da una grave infezione alla gola, sembra che si sia estirpato il bubbone da solo con il coltello per non pagare il medico.
Nel dopoguerra, dimesso dall’ospedale psichiatrico, debutta come attore a teatro, che abbandonerà in seguito per il cinema, dove si guadagna meglio.
Nel 1948, debutta sul set di “Morituri” (1948) di Eugene York, seguito da “I dannati” (1951) di Anatole Litvak e, dopo un buon numero di film tedeschi, è diretto da Roberto Rossellini in “La paura - Non credo più all'amore” (1954).
Nel 1955 nella pellicola di Laszlo Benedek “All’est si muore” interpreta un agente della Gestapo: sarà questa la parte che colpirà l’immaginario un giovanissimo Herzog che deciderà di fare del nostro Kinski il suo attore feticcio.
Oltretutto, per qualche mese, l’attore si trova a dividere con il futuro regista appena tredicenne un appartamento a Monaco e quest’ultimo si ricorderà di Klaus molti anni dopo.
L’inizio della carriera sarà all’insegna di parti che si sposano alla perfezione al suo volto così particolare e al suo sguardo da pazzo.
Dopo molti lavori tedeschi, recita di nuovo in un ruolo di nazista in “Tempo di vivere” (1958) di Douglas Sirk, poi arriva in Italia, dove Mario Camerini lo affianca a Senta Berger in “Kalì-Yug - La dea della vendetta” (1963).
Nel 1965, Kinski ha una parte nel film in costume di David Lean “II Dottor Zivago”, ruolo che, per quanto piccolo, gli vale comunque una nomination agli Oscar come Miglior Attore Non Protagonista.
Negli anni successivi gira diverse pellicole del genere Spaghetti-western, tra cui “Per qualche dollaro in più” (1965), secondo capitolo della “Trilogia del Dollaro”, capolavoro di Sergio Leone, e “Quien sabe?” (1966), di Damiano Damiani, entrambe accanto a Gian Maria Volontè.
A questo punto spariamo un po’ di titoli, giusto per dare un’idea del personaggio: “Le labbra proibite di Sumuru” (1967), di Lindsey Shonteff, “I 5 draghi d'oro” (1967), di Jeremy Summers, “A qualsiasi prezzo” (1968), di Emilio P. Miraglia, “Ognuno per sé” (1968), di Giorgio Capitani, “...Se incontri Sartana prega per la tua morte” (1968), di Gianfranco Parolini, “L'uomo, l'orgoglio, la vendetta” (1968), di Luigi Bazzoni, “L'assassino ha le ore contate” (1968), di Yves Boisset, “Sigpress contro Scotland Yard” (1968), di Guido Zurli.
Sempre nel 1968 è con una Rita Haywoth in declino nel gangster movie di Duccio Tessari “I bastardi” e nel bello spaghetti-western “Il grande silenzio”, di Sergio Corbucci.
L’anno dopo Klaus impersona niente popò di meno che il Marchese de Sade in “Justine, ovvero le disavventure della virtù” di quel pazzoide visionario di Jesus Franco.
Sua partner femminile è una giovanissima e piuttosto discinta Romina Power che negherà questo ruolo per tutta la vita (infatti fanno di tutto per far passare inosservata la pellicola, specie dopo il matrimonio con Al Bano e la promozione a cantante “ufficiale” del Vaticano...).
Ma non solo, sempre lo stesso anno appare anche in: “La legge dei gangsters”, di Siro Marcellini, “Sono Sartana, il vostro becchino”, di Giuliano Carnimeo, “Il dito nella piaga”, di Tonino Ricci, “5 per l'inferno”, di Gianfranco Parolini, “Due volte Giuda”, di Nando Cicero, “A doppia faccia”, di Riccardo Freda.
Sempre con Franco, l’attore girerà Paroxismus” (1969) e il “Il conte Dracula” (1970) a fianco di Christopher Lee.
Il ’70 è anche l’anno di: “La belva”, di Mario Costa, “E Dio disse a Caino...”, di Antonio Margheriti, “Dossier 212 - destinazione morte”, di Jean Delannoy, “Appuntamento col disonore”, di Adriano Bolzoni, “I Leopardi di Churchill”, di Maurizio Pradeaux.
Di nuovo per Antonio Margheriti è Edgar Allan Poe nel remake di “Danza macabra”, “Nella stretta morsa del ragno” (1971), diretto dallo stesso regista e, contemporaneamente, gira “Lo chiamavano King”, di Giancarlo Romitelli, “L'occhio del ragno”, di Roberto Bianchi Montero, “La bestia uccide a sangue freddo”, di Fernando Di Leo, “La vendetta è un piatto che si serve freddo”, di Pasquale Squitieri, “Prega il morto e ammazza il vivo”, di Giuseppe Vari,”Per una bara piena di dollari”, di Demofilo Fidani, “Giù la testa... hombre!”, di Demofilo Fidani, “Black Killer”, di Carlo Croccolo, “Il venditore di morte”, di Lorenzo Gicca Palli.
Nel frattempo, non ancora riconosciuto come star, Klaus Kinski si sposa e divorzia due volte.
Da entrambi i matrimoni ha due figlie con cui sembra avrà una relazione incestuosa, specie con Pola, che confesserà di essere stata abusata fin dall’età di 5 anni.
Anche la nota Nastassja, dalla brillante carriera cinematografica, denuncerà le morbose attenzioni di papino, e i loro rapporti rimarranno sempre disastrosi al punto che la figlia non andrà neanche al suo funerale.
Nel 1972 Kinski ha appena terminato una tournèe teatrale del “Gesù”, in cui sbraitava davanti al pubblico in delirio.
Da qui all’ambiguo Lope de Aguirre, il passo è breve.
Il film di Herzog “Aguirre, furore di Dio” (1927) è la storia di una folle spedizione dei Conquistadores a bordo di una zattera alla ricerca dell’Eldorado.
Si dice che inizialmente il set è una guerra vera e propria e diverse volte il regista arriva a puntare la pistola a Kinski, che minaccia di abbandonare il set un giorno sì e l’altro pure.
Alla fine, seppur tra tante difficoltà, questo sarà l’inizio della sua splendida carriera come attore di culto riconosciuto a livello internazionale e da questo film prenderà ispirazione Coppola per il suo “Apocalypse Now”.
Ma mica basta: lo stesso anno il nostro interpreta “Il ritorno di Clint il solitario”, di Alfonso Balcázar, “La morte ha sorriso all'assassino”, di Joe D’Amato, e “La mano spietata della legge”, di Mario Gariazzo.
L’anno successivo è fra gli interpreti del capostipite dello spaghetti-western Kung fu “Il mio nome è Shangai Joe”, di Mario Caiano, mentre nel 1974 gira “La mano che nutre la morte”, di Sergio Garrone, “Le amanti del mostro”, di Sergio Garrone, “Le orme”, di Luigi Bazzoni, “Eroi all'inferno”, di Joe D'Amato, “Chi ha rubato il tesoro dello Scià?”, di Guido Leoni.
Il 1975 annovera: “Un genio, due compari, un pollo”, di Damiano Damiani, “Che botte ragazzi!”, di Bitto Albertini, “Dove vai senza mutandine?”, di Will Tremper, “Il patto con il diavolo”, di Sandy Whitelaw.
Di nuovo con Jesús Franco è un intenso Jack lo Squartatore in “Erotico profondo” (1976), mentre l’anno successivo si segnalano “Morte di una carogna”, di Georges Lautner (1977), e “La notte dei falchi”, di Menahem Golan.
Per partecipare a questi “capolavori” del cinema di serie B, Kinski rifiuterà una parte nell'ultimo film della Hammer, “Una figlia per il Diavolo” (1976), e addirittura anche il ruolo dell'ufficiale nazista ne “I predatori dell'Arca perduta” (1981) di Steven Spielberg, troppo poco remunerato per i suoi gusti.
Il sodalizio con Herzog continua con “Nosferatu, principe della notte” nel 1979: Kinski è il principe delle tenebre in una sorta di reboot, molto visionario e “autoriale” del film di Murnau.
Grandi orecchie deformi e lunghi incisivi, il personaggio è pervaso della tristezza di chi vive ai margini del mondo
A neanche due settimane dalla fine delle riprese di ”Nosferatu”, Herzog e Kinski girano in neanche venti giorni “Woyzeck” (1979), dal dramma teatrale di Georg Buchner.
L’attore è per la prima volta nel ruolo della vittima e la sua maschera tragica è assolutamente indimenticabile: il personaggio è un poveraccio maltrattato da tutti che ucciderà la moglie.
Nel 1981, è un ironico psicoanalista nell’ultima commedia di Billy Wilder “Buddy Buddy” con Jack Lemmon e Walter Matthau.
Nel frattempo gira anche il thriller “Schizoid” (1980), di David Paulsen, l’erotico “Les fruits de la passion” (1981), di Shūji Terayama, e l’horror “Venom” (1981),di Piers Haggard.
L’idea apparentemente senza senso di trascinare un battello su per le montagne per portare l’Opera nel cuore dell’Amazzonia è al centro della nuova opera visionaria di Werner Herzog, “Fitzcarraldo” (1981).
Kinski subentra a inizio lavorazione a Jason Robards ammalatosi gravemente e all’inizio nel cast c’è anche Mick Jagger dei Rolling Stones, che però si ritira quando si rende conto del delirio dell’operazione.
Del resto, l’attore stesso afferma che nessuno poteva conoscere meglio il personaggio di lui.
Le riprese sono travagliatissime e durano quattro ann, Kinski si rifiuta spesso di recitare, tratta male le persone del posto che aiutano nella produzione, e addirittura una di loro propone a Herzog di ucciderlo.
Alla fine, il regista, nonostante tutto, porta a termine un bellissimo film con un fantastico Kinski accanto a Claudia Cardinale.
Herzog e il genio maledetto gireranno insieme il loro ultimo film sei anni dopo.
Sul set di ”Cobra verde” (1987), il caratteraccio di Kinski arriva al punto di far sostituire il direttore della fotografia Thomas Mauch, collaboratore storico del regista.
Aggredisce persino Herzog con in mano una pietra.
È la fine del loro sodalizio.
Anni dopo, il regista dedicherà al suo amato-odiato Klaus il film dall’emblematico titolo “Kinski - Il mio nemico più caro” (1999).
La carriera di Kinski si può dire che finisca proprio con “Cobra verde”.
Passerà gran parte dei suoi giorni rimanenti a scrivere la sua spietata (e un po’sbruffona) autobiografia dal titolo "All I Need Is Love", che verrà poi ritirata dalle librerie per una disputa sul contratto con l'editore italiano che lo aveva fatto pubblicare.
Citata in tribunale la casa editrice, il libro, all'interno del quale Kinski si ritrae come un mostro alla continua ricerca di prede femminili e maschili sulle quali sfogare i suoi istinti perversi (la sorella, attrici, maestranze varie, prostitute, scolarette, vicini di casa, lesbiche e perfino ufficiali dell'esercito israeliano), riempiendo le pagine di risse, orge e critiche su tutti, viene poi ristampato nel 1997 con il titolo "All I Need Is Love - Uncut" (riempiendolo di materiale che era stato escluso nella prima versione del libro).
Kinski lascerà definitivamente la scena dopo aver diretto “Paganini” nel 1989, presentato a Cannes.
L’attore stesso è il violinista, in una storia dalle atmosfere deliranti e soft-porno, accanto alla givanissima moglie, la burrosa Debora Caprioglio, qui accreditata Kinski.
Il cast comprende Marcel Marceau e pure una spaesata Donatella Rettore, oltre a Nikolai, figlio della terza moglie Minhoi Genevieve Loanic.
Il risultato è tremendo, talmente kitsch e sconclusionato da diventare un cult trash, di cui si salvano solo le tette della Caprioglio e la colonna sonora firmata da Salvatore Accardo.
Dopo questo film e l’ultimo divorzio, Kinski si ritira in California dove morirà il 23 novembre del 1991, per un attacco cardiaco.
Il solo membro familiare presente al funerale sarà il figlio Nikolai che spargerà le ceneri paterne nell'Oceano Pacifico.
Anche se la sua impronta nella storia del cinema rimarrà per sempre come una pietra miliare, e a prescindere dal fatto che lo ammireremo sempre come uno dei migliori “cattivi” in assoluto, in questo caso, la solita frase “onore a…” la evitiamo.
Ci vediamo all’inferno, Klaus!
“Si dovrebbe giudicare un uomo per le sue depravazioni. Le virtù possono essere simulate. Le depravazioni sono reali”
Klaus Kinski