L'autunno, uggioso, buio, triste e piovoso com'è, è proprio la stagione del noir per eccellenza, cari amici dei Mutzhi Mambo.
E allora, per celebrare degnamente questo tetro periodo dell'anno, nulla di meglio che ricordare la personificazione stessa del noir in salsa francese, il maestro HENRI-GEORGES CLOUZOT!
Autore di personalissimi thriller e “polar” spinti alle estreme conseguenze, fino a sfiorare il sadismo, Henri-George Clouzot si può considerare uno dei protagonisti del cinema d’Oltralpe a partire dagli anni Quaranta, il narratore di un mondo violento e colpevole, descritto con angoscia e lucidità prive di illusioni.
Pur non avendo diretto un gran numero di film, Clouzot si è affermato come autore dallo sguardo nitido, mai sentimentale, anzi a volte veramente crudele, nel quale l'eredità del naturalismo è stata prima di tutto una dichiarazione di coerenza morale, oltre che di vigore espressivo: l'affermazione cioè della verità della natura umana contro il conformismo ipocrita.
Infatti ciò che contava, per il regista, era offrire un quadro d'ambiente, la denuncia dell'opportunismo bigotto che covava nel grembo della società francese del dopoguerra, e usava gli stilemi noir come mezzo per farlo.
I suoi film migliori sono cupo miscuglio di eros passionale, vile gelosia e feroce crudeltà, sono profonde riflessioni sul significato della colpa, affreschi nichilisti sulla la noia e l'avvilimento che portano alla crudeltà.
Henri-Georges Clouzot nasce a Niort, il 20 novembre 1907.
Concluso il liceo, dopo aver frequentato la scuola navale di Brest e aver intrapreso studi di matematica e giurisprudenza, si dedica dal 1927 al 1930 al giornalismo, come corrispondente di cronaca e mondanità per il quotidiano "Paris-Midi".
Comincia quindi a lavorare in ambito cinematografico come aiuto regista di Anatole Litvak, Carmine Gallone e Jacques de Baroncelli, e come dialoghista e sceneggiatore.
Successivamente, passa all'ufficio soggetti della Société des films Osso e dal 1932 al 1933 è a Berlino per dirigere le versioni francesi di film tedeschi o realizzati in coproduzione.
Trascorre quindi un lungo periodo (1934-1938) in un sanatorio svizzero e qui vivrà un'esperienza che nonostante tutto stimolerà la sua creatività, come da lui stesso sottolineato.
Tornato in Francia, dopo aver messo in scena due suoi testi teatrali e aver scritto le sceneggiature dei film gialli (tratti rispettivamente dai romanzi di S.A. Steeman e G. Simenon) "Le dernier des six" (1941) di Georges Lacombe, e "Gioventù Traviata" (1942) di Henri Decoin, esordisce nella regia con "L'assassino abita al 21" (1942), tratto da un altro romanzo poliziesco di Steeman e sceneggiato dallo stesso Clouzot, come tutte le opere successive.
Il film, che ha subito successo, è interpretato dal suo attore più rappresentativo, Pierre Fresnay, e da Suzy Delair.
Comincia così la fase noir della sua produzione, perfetto meccanismo di esasperazione emotiva e di enfatizzazione della suspense, che Clouzot riesce a sviluppare con precisione intensa e dolente.
Nel tentare di sottrarsi alle convenzioni del modello americano, per arrivare a definire poi le caratteristiche del “polar”, il cinema di Henri usa la durezza di inquadrature scabre e nitide, quasi per film pensati senza sonoro, ma girati con logica implacabile e crudele.
"Il Corvo" (1943) capovolge, invece, il punto di vista, accettando ancora il metodo di narrazione del giallo ma per esiti e ragioni artistiche ben diverse.
Quella serie di lettere anonime firmate “Il corvo”, che scuote una cittadina di provincia, serve infatti a Clouzot per narrare la disgregazione dei rapporti umani e la furia centrifuga che disintegra la realtà, quando domina soltanto il sentimento oscuro e ingiustificato del male.
A causa dello scalpore provocato da questa pellicola, Clouzot viene allontanato dall'industria cinematografica dopo la Liberazione: il film rappresenta infatti troppo espressivamente un ritratto cupo e soffocato della provincia francese negli anni della occupazione nazista.
Torna a dirigere nel 1947 con "Legittima difesa", un grande successo di pubblico, considerato il suo capolavoro (tratto da un romanzo di Steeman): alla base vi è sempre un triangolo noir, ma il punto di tensione e la forza del film sono spostati sulla figura impassibile dell'ispettore Antoine (un grande Louis Jouvet) e soprattutto sul mondo che rappresenta, ossia la centrale di polizia.
La chiave della vicenda, più che nella soluzione del dramma poliziesco, sta nella fissità del male e nell'usura dell'umanità che diventa tanto più angosciosa, quanto più il film sembra essere l'allegoria dell'inutilità della giustizia rispetto alle tragedie umane.
Dopo alcuni film minori gira gli splendidi "Vite vendute" (1953; rifatto ottimamente da Friedkin nel 1977 col titolo "Il Salario della Paura"), e "I diabolici" (1955; anch'esso ripreso in alcuni remake fra cui, nel 1996, "Diabolique", diretto da Jeremiah S. Chechik, con Sharon Stone e Isabelle Adjani, molto inferiore all'originale), un morboso thriller, incentrato sul senso di colpa.
La storia di Christine (Véra Clouzot) che, aiutata da Nicole (Simone Signoret), uccide il marito (Paul Meurisse), verte in realtà sul paradosso di una colpevolezza in cui ambiguamente si nasconde l'innocenza.
L'anno successivo realizza "Le mystère Picasso" (Il mistero Picasso), un importante documentario d'arte in cui vengono messi in rapporto il cinema e la pittura, ovvero il quadro pittorico con l'inquadratura.
Nel 1957 dirige quindi "Le spie", sospeso tra toni grotteschi e inquietanti osservazioni sulla realtà del proprio tempo, e tre anni dopo "La vérité", con Brigitte Bardot, in cui si conferma grande regista di attori, riuscendo a far fare una figura decente perfino a BB (davanti alla macchina da presa, s'intende, per il resto non aveva certo problemi a far bella “figura”…).
Nel 1964, il nostro comincia a girare, senza concluderlo, "L'enfer" (che verrà poi realizzato con lo stesso titolo da Claude Chabrol nel 1993), talmente sperimentale che il nostro quasi perde la ragione nel tentare di portarlo a termine.
Tra il 1965 e il 1966 gira cinque film televisivi dedicati alla musica mentre la sua ultima pellicola per il grande schermo è "La Prigioniera" (1968), tragica storia a tre che si sviluppa anche come virtuosistica riflessione sul mezzo cinematografico.
Sposato una prima volta con l'attrice Véra Clouzot, si risposa nel 1963 con Inès de Gonzalez, fino alla morte, avvenuta a Parigi il 12 gennaio del 1977.
Invece di suicidarvi, se una sera novembrina vi sentite un po' giù del solito, versatevi un buon Cognac e godetevi un vecchio noir di Clouzot: vi riscalderanno un po' le budella e l'anima.
Garantito.
Onore a Henry -George Clouzot!
"Lei è ineffabile, crede ancora che un individuo sia tutto buono o tutto cattivo. Crede ancora che il bene sia ammantato di luce e che il male si nasconda nell'ombra. Ma dov'è l'ombra? E dov'è la luce? Dov'è la frontiera del male? E dov'è lei, al di qua o al di là di quel confine?"
Michel Vorzet/Pierre Larquey - Il Corvo