Domandina facile facile, cari amici dei Mutzhi Mambo, qual è il maggiore regista vivente?
Via da questa pagina chi risponde Spielberg!
Naturalmente la risposta non può essere che MARTIN SCORSESE!
Il regista newyorkese è il più grande esteta della violenza, il poeta della criminalità organizzata ed è il maestro indiscusso di chiunque abbia voluto raccontare il lato oscuro delle metropoli.
Nessuno però ha saputo farlo meglio di lui…
Inutile fare troppi discorsi, ci sono critici assai migliori di noi che hanno analizzato il suo lavoro, il suo impatto sulla storia del cinema e su tutti i suoi discepoli (espliciti o no).
Volevamo solo aggiungere che Martin Scorsese è uno dei pochi (o forse l'unico) in grado di conciliare sincere istanze d'autore con le esigenze di spettacolarità dei film ad alto budget e ci preme sottilineare quanto per noi, vedere una sua pellicola è sempre e comunque un esperienza.
Emozionante, profonda e (perché no?) elettrizzante…
Martin Scorsese nasce nel Queens, borough di New York, il 17 novembre del 1942, figlio di immigrati di seconda generazione.
I nonni, sia paterni che materni, sono immigrati italiani originari della provincia di Palermo giunti negli Stati Uniti agli inizi del XX secolo.
Dopo i primi anni di vita trascorsi nel Queens, la famiglia di Martin si vede costretta a tornare a Manhattan, in una delle vie principali della cosiddetta "Little Italy", quartiere dove Scorsese vive una travagliata adolescenza da nerd a causa del suo forte asma e della sua piccola stazza, che non gli permettono di inserirsi nelle gang della zona.
Parallelamente a questa sua emarginazione, sviluppa una fortissima passione per il cinema, in particolare quello neorealista e western, e una forte fede religiosa, arrivando a dire che gli unici luoghi in cui si sente davvero a suo agio sono la chiesa e il cinema.
Non possedendo una cinepresa, il giovane Scorsese realizzava storyboard di film immaginari fin dalla pre-adolescenza, mostrando i disegni solamente al suo migliore amico.
Verso il 1956 studia per diventare prete, ma cambia presto idea non riuscendo a conciliare la vita del religioso con le proprie passioni, e nel 1960 si iscrive al corso di cinematografia della New York University, dove dirige i suoi primi cortometraggi in 16 mm, tra cui "La grande rasatura", che contiene già tutte le caratteristiche ricorrenti della filmografia scorsesiana.
Nel 1965, grazie ad un prestito dell'università di New York, inizia le riprese di un film intitolato "Bring On the Dancing Girls", per poi lasciarle incompiute a causa di alcuni ostacoli nella produzione.
Nel 1967, dietro consiglio di un suo professore, riprende a lavorare al film, girando in 16 mm e intitolandolo "I Call First".
Dopo aver aggiunto una sequenza erotica, dietro consiglio del produttore, Scorsese lo fa uscire nel 1969, con il titolo definitivo "Chi sta bussando alla mia porta?".
Il film è interpretato da Harvey Keitel alla prima di una bella serie di collaborazioni col regista.
Durante le vicissitudini della realizzazione della sua opera prima, Scorsese viene chiamato a dirigere "I killers della luna di miele", ma dopo una settimana di riprese viene sostituito da un altro.
Nel 1970 partecipa alla realizzazione del film documentario "Woodstock", come assistente alla regia e come supervisore del montaggio.
Lo stesso anno dirige il documentario militante "Scena di strada 1970", riguardante le manifestazioni contro la guerra del Vietnam.
Agli inizi degli anni settanta lascia New York per Hollywood, ed entra nella factory dell'imperatore dei B-movie, Roger Corman.
Il primo lavoro che riceve una vasta distribuzione viene prodotto proprio dalla casa di Corman, "America 1929 - Sterminateli senza pietà" (1972), con Barbara Hershey e David Carradine.
Dopo questo film, Corman propone a Scorsese di girarne un altro sullo stesso stile, ma il regista rifiuta per realizzare un film al quale pensa da oltre sei anni: "Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno", girato con la stessa troupe del film precedente.
Scorsese riversa molte delle esperienze adolescenziali in questo suo lavoro, ispirandosi a persone da lui conosciute per caratterizzare i protagonisti del film: disperati di Little Italy incapaci a fuggire da quello che diventa sempre più un inferno in terra, sempre in bilico fra salvezza e peccato.
Dal punto di vista umano, i protagonisti sono non solo persone comuni, ma veri e propri antieroi emarginati, mentre dal punto di vista artistico Scorsese ricorre ad una fotografia cupa, resa ancor più claustrofobica dalla regia sperimentale e dalla musica popolare (compresa una versione della canzone napoletana "Maruzzella").
Tra le altre cose il film segna l'inizio della prolifica collaborazione di Scorsese con Robert De Niro, presentatogli da Brian De Palma, che diventa l'attore-feticcio di Scorsese e protagonista di alcuni dei suoi film più importanti.
Dopo aver subito alcune critiche per le quali non avrebbe saputo girare un "film con protagonista una donna", filma come risposta “Alice non abita più qui” (1974) con protagonista Ellen Burstyn, che, per questo ruolo, vince il Premio Oscar come Miglior attrice protagonista nel 1975.
Successivamente Scorsese gira il documentario "Italoamericani" (1974), che ha sempre dichiarato essere una fra le preferite delle sue opere.
Si tratta di una lunga intervista ai suoi genitori, che lancia uno sguardo sulla vita degli immigranti italiani a New York, in particolare nella Little Italy.
Tornato a New York, Scorsese decide di lavorare a una sceneggiatura scritta da Paul Schrader dal titolo di "Taxi Driver" (1976), un'immersione nella mente distorta di un reduce dal Vietnam che non riesce a reinserirsi nella società a causa degli orrori vissuti durante la guerra; rappresentato come una discesa all'inferno è gran parte frutto del periodo di forte depressione vissuto da Schrader.
Acclamato da critica e pubblico come un capolavoro fin dalla sua prima apparizione, è considerato uno dei film cardine della New Hollywood oltre che uno dei più disturbanti, radicali e rappresentativi dei cupi anni che stava passando non solo l'America ma gran parte del mondo occidentale.
Nel ruolo del protagonista viene scelto di nuovo Robert De Niro, ed il film vince la Palma d'oro al Festival di Cannes del 1976 aggiudicandosi anche quattro nomination ai Premi Oscar, lanciando il nome di Scorsese fra i registi più promettenti della sua generazione.
Successivamente Scorsese dedica alla propria città un intero film, “New York, New York” (1977), un musical che vede ancora Robert De Niro, affiancato da Liza Minnelli, nel ruolo del protagonista.
Nonostante il progetto ambizioso ed un cast in grande forma, questa pellicola non ottiene un buon riscontro di pubblico, e viene addirittura considerato da molti un film non pienamente riuscito rispetto ai precedenti del regista, il quale in seguito al suo flop sprofonda in una grande depressione che lo spinge all'abuso di droghe e psicofarmaci.
Scorsese realizza comunque un documentario su l'ultima esibizione live del gruppo musicale The Band, ovvero “L'ultimo valzer” (1978) nel quale appaiono volti celebri come Muddy Waters, Bob Dylan, Van Morrison, Eric Clapton, Neil Young e molti altri.
Il film riscuote un grande successo nei festival e tra gli amanti della musica, facendo risalire mediaticamente il nome di Scorsese, che però continua a navigare sempre di più nella depressione e nella tossicodipendenza, culminando nel settembre 1978 quando viene ricoverato in ospedale, per un'emorragia interna a causa dell'abuso di stupefacenti.
Dopo una lunga convalescenza si riprende grazie all'amico De Niro (sempre lui) che gli propone di girare "Toro scatenato" (1980), la biografia del pugile italo-americano Jake LaMotta.
Girato per ragioni artistiche interamente in bianco e nero, diviene in breve un vero e proprio film cult, nel quale Scorsese riversa tutta la sua sofferenza realizzando la pellicola che ha definito il suo stile radicale, e che si aggiudica due Premi Oscar (ma non per la regia...).
Nello stesso anno il regista si sposa con Isabella Rossellini e fa pure un indimenticabile cameo nel mitico, delirante film di Renzo Arbore "Il Pap'occhio", nella parte del regista designato a dirigere la televisione ufficiale del Vaticano.
Da qui in poi si succederanno gli stranoti capolavori del nostro Martin: inutile elencarli tutti, tanto li conoscete e sono troppi, ci limitiamo a citare quelli che preferiamo, senza giudizi sulla qualità (sempre altissima, per non dire eccelsa) di quelli non citati.
La commedia "Re per una notte" (1983), sempre con De Niro e uno strepitoso Jerry Lewis, un ritratto impietoso degli atteggiamenti paradossali dettati dalla ricerca del successo nel mondo dello star system, all'uscita è un insuccesso ma con gli anni è diventato un cult mantenendo inalterate le sue qualità di critica sociale e la sua profonda inquietudine celata sotto un'apparenza di commedia leggera; il grottesco, kafkiano "Fuori orario" (1985), una rappresentazione vicina all'incubo della vita notturna dei quartieri di New York, che prende vita dall'avventura del protagonista che cerca in ogni modo di tornare alla sua abitazione, senza riuscire a fuggire dal quartiere nel quale è finito; lo scandaloso (e un filo kitsch) "L'ultima tentazione di Cristo" (1988), con Willem Dafoe nei panni di Gesù, che fin dalle sue prime apparizioni solleva forti proteste e minacce di boicottaggio, con picchetti dei cristiani davanti ai cinema; lo stracapolavoro ultramega assoluto "Quei bravi ragazzi" (1990), con Robert De Niro e Joe Pesci e l'allora misconosciuto Ray Liotta, in cui Scorsese, sulla base di un romanzo di Nicholas Pileggi, rilegge completamente le regole dei film gangster e si discosta nettamente dall'epopea classica raffigurata da "Il Padrino di Coppola", grazie a uno stile nevrotico e virtuoso mai visto prima, a un uso pazzesco della violenza, a una colonna sonora da antologia e a una morale molto ambigua; il miracolosamente riuscito remake di "Cape Fear - Il promontorio della paura" (1991), mitico film del 1962 con un satanico Robert Mitchum, con protagonista ancora una volta Robert De Niro, nel ruolo di un fanatico che perseguita un avvocato e la sua famiglia per averlo condannato al carcere per quattordici anni, a causa di uno stupro; il potente "Casinò" (1995), basato su una storia vera e adattato per lo schermo insieme a Nicholas Pileggi, con protagonisti Sharon Stone, Robert De Niro e Joe Pesci, epopea sulla nascita ed il declino delle bande criminali a Las Vegas dagli anni settanta in poi; il non pienamente riuscito (anche per problemi di produzione) "Gangs of New York" (2002), il primo del sodalizio con Leonardo Di Caprio, film quasi epico sulla violenza che fin dalle origini ha da sempre caratterizzato la Grande Mela, che più che altro si segnala per lo straordinario Daniel-Day Lewis; il capolavoro crime "The Departed" (2006) remake del film di Hong Kong del 2002 "Infernal Affairs", con il fido DiCaprio, e un superbo Jack Nicholson (e finalmente gli danno un Oscar al nostro Martin!); la quarta collaborazione fra il regista e Leonardo DiCaprio, "Shutter Island" (2010), un thriller psicologico con tratti horror, tratto dall'omonimo romanzo di Dennis Lehane; il fantastico "Hugo Cabret" (2011), un appassionato e visionario omaggio ai primordi del cinema, tratto dalla graphic novel "La straordinaria invenzione di Hugo Cabret" di Brian Selznick, il primo film di Scorsese girato in 3D; lo spietato, divertentissimo "The Wolf of Wall Street" (2013), sempre con Di Caprio, un grottesco, crudele ritratto del mondo degli yuppies; il converso "Silence" (2016), rievocazione ricca di violenza e dubbi teoligici sul destino dei primi missionari cattolici nel Giappone medioevale.
Finalmente è finita la trepidante attesa per “Irishman” (2019), costosissimo kolossal del genere gangster movie prodotto da Netfix, con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci e Harvey Keitel, film davvero "monstre" (come durata e come contenuti) che narra 40 anni di storia americana vista dalla lente deformata del crimine.
Sinceramente dobbiamo ancora vederlo ma si parla di ennesimo capolavoro.
Peccato che al cinema abbia fatto solo una fugace apparizione: ma ormai bisognerà abituarsi al fatto che le cose migliori finiranno sempre più sullo smartphone e andranno viste un po' alla cazzo…
Così vuole il mercato!
Comunque, a parte questa polemica da vecchi tromboni nostalgici, con titoli così (e non li abbiamo detti tutti!) è inutile fare discorsi o aggiungere altro: Scorsese è il più grande in assoluto!
E basta!
Senza discussioni!
Viva il nostro Martin! Cento e cento di questi filmoni!
Tanti auguri, Maestro!
"Mio padre era incazzato perché sapeva quello che succedeva lì e ogni tanto mi dovevo sorbire una bella razione di botte, ma non me ne fregava più niente, da come la vedevo io tocca a tutti prendere le botte prima o poi. Ma io ero il ragazzo più fortunato del mondo perché sarei diventato un gangster."
Henry Hill/Ray Liotta - Quei Bravi Ragazzi