Verrebbe da ridere a pensare che l'icona della "Nouvelle Vague", il "volto" di Godard, il simbolo del cinema francese "per eccellenza", sia in realtà un'attrice ammerigana...
Verrebbe da ridere, dicevamo, se la storia della povera JEAN SEBERG non fosse così maledettamente tragica.
Non c'è nulla da ridere infatti nella tristissima vicenda di questa meravigliosa attrice, una delle più belle degli anni '60.
A parte il fatto che, solo a parlare di "Nouvelle Vague", ci si rizzano i peli sulla schiena (e ci gonfiano i testicoli a dismisura), tanto troviamo questo stile intellettualoide fastidioso e mortalmente palloso, dobbiamo però ammettere che la bellezza di Jean Seberg era veramente fuori misura, tanto da rendere interessante qualsiasi pellicola abbia interpretato.
Ha incarnato lo spirito libero del cinema d’autore di quegli anni, diventando suo malgrado una sorta di eroina, figura perfetta per rappresentare e incarnare le inquietudini di una generazione incapace di definirsi.
Fortunatamente, cari amici dei Mutzhi Mambo, ha partecipato anche a più modeste ma succose produzioni di genere, quel tanto che basta ad assicurarle un posto in prima fila in questo Vostro Almanacco, senza dover forzare troppo la mano.
A parte gli scherzi, la Seberg era veramente una gran topa: viso dall'ovale perfetto, angelico ma velato di malizia, occhi grandi e labbra carnose, fisico minuto ma ben carrozzato, sensualità a go-go.
Però dietro il suo bel faccino si nascondeva un'inquietudine pazzesca, una voglia di indipendenza veramente sopra le righe, un anticonformismo vissuto con vero coraggio da leonessa.
Peccato che leonessa in fondo non era e che l'ambiente fosse ancora troppo immaturo, ostile alle sue sacrosante istanze di vivere una vita affettiva come cazzo le pareva, e le abbia messo i bastoni fra le ruote, relegando la sua carriera ai margini.
È stata invece una donna fragile, spesso vittima dei suoi sentimenti, delusa molte volte da un mondo che la voleva solo come "personaggio" e che l’ha privata della sua umanità.
Una figura oltremodo complessa: le sue travagliate storie amorose, le sue osteggiatissime posizioni politiche estreme, e soprattutto la tragica perdita di una figlia appena nata, le toglieranno alla fine la voglia di vivere.
In questo, condividendo il triste destino di un'altra Jean, Norma Jean Baker, più nota come Marylin, anche lei schiacciata da una società che non poteva sopportare tanta libertà nella bellezza...
E, come vogliono i copioni dei più cinici racconti Pulp, certe storie non possono che finire male...
Oltretutto in modo mai del tutto chiaro!
Jean Seberg nasce il 13 novembre del 1938 a Marshalltown, un piccolo paese del Midwest, in una famiglia luterana di origini svedesi.
Appassionata di recitazione fin da giovane, debutta al cinema a diciannove anni nei panni di Giovanna D’Arco per il dispotico Otto Preminger (che durante l'interminabile casting aveva visionato oltre 18 mila aspiranti!), in "Santa Giovanna" (1957), dal dramma omonimo di George Bernard Shaw.
Un battesimo del fuoco di certo non molto tenero, quello attuato dal severo regista austriaco che durante le riprese sottopone la ragazza ad un tour de force estenuante; peccato che né il film, né soprattutto la prova della nostra, siano particolarmente memorabili.
Ma il suo bel musetto lascia da subito il segno...
Per Jean si aprono cosi le porte dello showbiz: prima il dramma "Buongiorno tristezza" (1958), sempre per Preminger, con Deborah Kerr e David Niven, poi il satirico "Il ruggito del topo" (1959), di Jack Arnold, con Peter Sellers.
Nel 1958 il primo matrimonio, con l’avvocato François Moreuil (che lascerà qualche anno dopo per lo scrittore e regista Romain Gary) e nel 1960 il fortunato incontro con Jean-Luc Godard e la partecipazione al noir "Fino all'ultimo respiro", film manifesto della "Nouvelle Vague".
Un ruolo così potente, quello di Patricia, ambigua compagna del malvivente Michel, interpretato da Jean-Paul Belmondo, che quasi metterà in secondo piano tutta la futura carriera della nostra.
Certo la pellicola è assolutamente innovativa, piena di invenzioni visive e di sceneggiatura, ed è fondamentale per l'operazione di destrutturazione operata dal regista delle convenzioni narrative e formali del cinema classicamente inteso.
Però ammettiamolo: al di là delle sperimentazioni, il film è una palla pazzesca (poi, vabbè, son gusti...).
In seguito gira (tra gli altri) "Che nessuno scriva il mio epitaffio" (1960), un melodrammone a tinte noir con Shelley Winters, di Philip Leacock; il torbido "Desideri proibiti" (1960), di Jean Valère; l'interessante "Congo Vivo" (1962), di Giuseppe Bennati, ambientato in un convulso Congo post-coloniale; l'episodio "Le Grand Escroq", diretto da Godard, de "Le più belle truffe del mondo (1964); il poliziesco "Scappamento aperto" (1964), di Jean Becker; il dramma ambientato in un manicomio "Lilith, La dea dell'amore" (1964), di Robert Rossen, con Warren Betty, dove la nostra offre una delle sue più riuscite interpretazioni.
Sono comunque anni difficili, in cui la Seberg vive le prime profonde crisi depressive.
L’unico vero raggio di luce è la nascita del figlio Diego, avuto da Romain Gary nel 1962, ma tenuto segreto perché l’uomo è sposato.
Proprio in questo periodo Jean inizia a maturare una coscienza politica molto forte.
Si schiera contro la guerra in Vietnam, si dichiara sostenitrice del "Che" Guevara e abbraccia la causa delle Pantere Nere, finendo per questo sotto stretta osservazione dell' FBI.
Si può comunque ammirare nell'heist movie "Allarme in cinque banche" (1965), di Nicolas Gessner; nell'originale war movie "La linea di demarcazione" (1966), di Claude Chabrol; nella commedia "Una splendida canaglia" (1966), di Irvin Kershner, con Sean Connery; in "Avventurieri per una rivolta" (1967), di Jacques Besnard, con Serge Gainsburg; in "Criminal story" (1967), di Claude Chabrol, poco riuscito tentativo di fondere gangster movie e commedia; nel cervellotico "Gli uccelli vanno a morire in Perù" (1968), di Roman Gary.
Nell’ottobre del ’68, l’incontro con l’attivista afroamericano Hakim Jamal, cugino di Malcolm X, uomo di spicco del Black Power Movement.
Per molti, Jamal è solo un profittatore ricco di fascino ribelle, alla ricerca di una pollastra ricca da cui farsi mantenere (e forse la cosa non è troppo distante dal vero...).
Ma Jean si prende comunque una bella scuffia; una relazione la loro che persino nei tolleranti anni intorno al '68 viene osteggiata dall’opinione pubblica e soprattutto dall’FBI che mal sopporta tutte le “contaminazioni” tra esponenti di fazioni potenzialmente eversive (o tali percepite) e personaggi dello spettacolo o della cultura.
Jamal rappresenta l'uomo ideale con cui una come la Seberg può dimostrae al mondo il proprio anticonformismo: affascinante, amato dalle donne e politicamente visionario, passato indenne (?) dall''inferno dell’ospedale psichiatrico, dalla personalità instabile e dalle frequentazioni ambigue (tanto che finirà assassinato nel ’73 dai suoi stessi compagni).
Amando una persona che non avrebbe dovuto amare (per il colore della pelle, per il fatto che sia già sposato, per le posizioni politiche) la Jean si pone di fatto in un atteggiamento di sfida e polemica contro tutte e tutti.
Addirittura la stessa moglie di Jamal chiamerà il padre della Seberg, uno stimato farmacista di Marshalltown, per supplicarlo di spingere la figlia a lasciarle il marito.
La relazione comunque dura poco e la nostra continua la sua attivita cinematografica con il poliziesco di taglio televisivo "Pendulum" (1969), di George Schaefer; lo scanzonato musical western "La ballata della città senza nome" (1969), clamoroso flop di Joshua Logan, con Clint Eastwood e Lee Marvin; il kolossal "Airport (1970), prototipo di mille disaster movie diretto da George Seaton, con Burt Lancaster e Dean Martin; il violentissimo e delirante western "Macho Callahan" (1970), di Bernard L. Kowalski.
E proprio sul set messicano di questo film nasce un nuovo scandalo: conosce l’attivista Carlos Navarra con cui ha una relazione e rimane incinta.
L’FBI decide di utilizzare l’informazione per mettere in cattiva luce l’attrice tramite la stampa, visto che almeno ufficialmente è ancora sposata con Gary (che comunque decide di accollarsi la paternità del nascituro).
La Seberg, infangata dai media, è ormai allo limite del suo fragile equilibrio psichico e cade in un esaurimento nervoso.
Riesce a dare alla luce una bambina, Nina, che però muore dopo soli 3 giorni.
Il trauma per la donna è insopportabile: tenterà per dieci volte il suicidio, ad ogni anniversario della scomparsa della figlia.
Ciò però non interrompe la sua carriera di attrice: il giallo "Ondata di calore" (1971), di Nelo Risi; lo psichedelico poliziesco "Kill!" (1971), di Romain Gary, con James Manson; il sentimentale "Questa specie d'amore" (1972), di Alberto Bevilacqua, con Ugo Tognazzi; il mafia movie "Camorra" (1972), di Pasquale Squitieri, con Fabio Testi; il bellissimo film di denuncia "L'attentato" (1972), di Yves Boisset, con Gian Maria Volonté, Jean-Louis Trintignant e Michel Piccoli; il thriller "L'altra casa ai margini del bosco" (1973), di Juan Antonio Bardem; il cortometraggio (di cui Jean è anche regista) "Ballad for Billy the Kid" (1974): il thriller "Il gatto e il topo" (1974), di Daniel Petrie, con Kirk Douglas; il tremendo lacrima movie "Bianchi cavalli d'agosto" (1975), di Raimondo Del Balzo; il caustico e divertentissimo "Prossima apertura casa di piacere" (1975), di Dennis Berry.
La sua ultima parte, dopo tre anni di silenzio, è nello sperimentale "Le bleu des origines" (1979), di Philippe Garrel.
Sempre piu depressa, si sposerà altre due volte, con Dennis Berry e Ahmed Hasni, prima di togliersi la vita, il 30 agosto del 1979, a soli 41 anni, con un overdose di barbiturici.
Anche sul suo tragico destino si addenseranno nubi complottiste, viste le sue scomode posizioni e frequentazioni politiche...
Comunque sia andata, purtroppo il mondo ha dovuto rinunciare troppo presto alla sua straordinaria bellezza.
Peccato...
Onore a Jean Seberg!
"Non so se sono infelice perché non sono libera o se non sono libera perché sono infelice."
Patrizia Franchini/Jean Seberg - Fino all'ultimo respiro