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“Cialtrone” o “Autore”?

Domanda che ci poniamo spesso, cari amici dei Mutzhi Mambo, specie quando abbiamo a che fare con registi difficilmente inquadrabili come l’inquietante ALBERTO CAVALLONE, autore di alcuni dei più bizzarri titoli della nostra filmografia degli anni ’70.

Uomo di grande cultura (e le sue pellicole/mattone lo dimostrano anche troppo), appassionato lettore di Bataille, Lautréamont, Nietsche, Fanon, Celine, cultore di Jodorowsky, Antonioni e Pasolini, surrealista convinto e autore non convenzionale, Alberto Cavallone non ha girato tantissimi film nella sua carriera, tutti non ben identificabili in un genere preciso e tutti sinceramente mal realizzati.

Ma con quel non so ché di geniale, di genuinamente spiacevole, di disturbante che fa passare in secondo piano i (notevoli) difetti della regia.

Storie sconclusionate, sceneggiature piene di buchi, attori inadeguati, povertà di mezzi, situazioni esageratamente morbose: questa la cifra stilistica messa in campo da Cavallone (tanto che vien quasi da pensare che sia più una scelta “artistica” che una reale inadeguatezza).

Ciò non toglie che i suoi film siano sovente proprio un pugno nello stomaco e mettano realmente a disagio lo spettatore, tanto che viene a volte indicato come precursore di una certa cinematografia alla Lars Von Trier, nei suoi momenti più “improvvisati” e pesanti, per intenderci, proprio grazie a questo mix malato di messe in scena scarne (quasi “amatoriali”) e contenuti morbosi, al limite della pornografia, al fine di denuncia sociale.

Pornografia che poi il nostro Alberto abbraccerà in toto, nell’ultima parte della sua infame carriera.

Per alcuni è un regista sottovalutato, colto ed anticonformista, per altri un millantatore dallo scarso talento, con troppe velleità e poche idee (ma confuse).

Di sicuro, all’epoca in cui uscirono, i suoi lavori non furono apprezzati granché, visto che diverse sue opere risultano perdute o addirittura se ne mette in dubbio l’effettiva esistenza!

Per noi, visto anche lo spirito di questo Vostro Almanacco, è un autore senza dubbio curioso, da riscoprire…con cautela e ben preparati, però!

Alberto Emilio Franco Cavallone nasce a Milano, il 28 agosto del 1938.

La sua carriera inizia dal teatro: il suo primo impiego è infatti quello di aiuto regista al Piccolo Teatro di Milano ma si dà da fare anche come autore di pubblicità, sceneggiatore, documentarista e regista televisivo.

In realtà, dopo l’esperienza con il teatro, i suoi primi lavori sono proprio dei documentari (“La sporca guerra” - 1959, “Lontano dagli occhi” - 1962) che però rimangono inediti e oggi risultano scomparsi.

Il suo lavoro di sceneggiatore comprende due buoni film del 1964: “La lunga sfida” di Nino Zanchin e “Per amore… per magia” di Duccio Tessari.

Il primo film di fiction da regista, invece, è “Z2 Operazione Circeo”, prodotto per la Rai nel 1966, un bizzarro musicarello con elementi di parodia delle pellicole alla James Bond: simpatico ma sconclusionato.

L’esordio al cinema è con l’erotico “Le salamandre” (1968), un esotico “ménage à trois” interracial, che ottiene un buon successo commerciale grazie alla trama ricca di momenti saffici, ma anche il plauso della critica per via degli omaggi a Jodorowsky e Fritz Fanon, senza considerare la messa in accusa del colonialismo e un originale finale metacinematografico, con gli attori che finiscono a riprendere sé stessi.

Chiaramente anche qui i difetti dei lavori di Cavallone ci sono tutti, anche se contenuti: lentezza, illogicità, attori incapaci…

Purtroppo le opere successive non rispetteranno le buone premesse del debutto.

“Dal nostro inviato a Copenaghen” (1970), narra le (dis)avventure di un paio di reduci del Vietnam fuori di testa nella capitale danese: uno diventerà un attore porno, l’altro impazzisce del tutto.

Nonostante la trama e il messaggio possano risultare interessanti, e la regia in stile mockumentary, con svariati inserti di repertorio presi dal fronte, offra qualche spunto originale, è in realtà un film poco riuscito che vorrebbe denunciare i danni psicologici provocati dalla “sporca guerra imperialista” ma si perde in dialoghi interminabili e soluzioni talmente paradossali da sfiorare il comico involontario.

“Quickly (Spari e baci a colazione)” (1971) è anche peggio: film velleitario e folle, di fatto sinceramente inguardabile, che vorrebbe ironizzare sui film di genere (gangster movie, western, spy, inserti animati) ma si rivela troppo illogico per poterlo seguire.

Comunque, tanto di cappello al coraggio…

Non male, invece, “Afrika” (1973), a lungo considerato perduto e recentemente ritrovato, la prima pellicola italiana a fare un discorso serio sull’omosessualità maschile, girata in un insolito contesto esotico inserito in una cornice noir - poliziesca.

In questa pellicola ritorna anche al tema del colonialismo affrontando il problema Etiopia, nazione da poco libera, con intelligenza e originalità, inserendo parti da “mondo movie” e immagini scioccanti (un po’ a casaccio, purtroppo).

“Zelda” (1974), un erotico con venature di giallo, viene definito da Cavallone stesso come “un’operazione di cassetta”: come al solito non è un film completamente riuscito, ma si salva l’ambientazione esotica ed è interessante l’intreccio di rapporti tra uomini e donne costruito dal regista anche se il montaggio con inserti a caso confonde non poco lo spettatore.

“Spell (Dolce mattatoio)” (1976), a.k.a. “L’Uomo, la Donna e la Bestia”, è forse il film migliore del regista, un lavoro assutamente surreale che risente dell’influenza di De Sade, Lautréamont, Bataille, Pasolini e chi più ne ha più ne metta.

Una festa paesana diventa il pretesto per mettere in piazza deviazioni sessuali e repressioni psicologiche, con scene veramente assurde (un pasto sulla tazza nel water, una masturbazione con un trancio di manzo ed altre amenità ..).

Grazie a immagini veramente scioccanti ci racconta lo sfacelo delle ideologie ma anche il degrado della provincia, tra vizi privati e pubbliche virtù.

In questo caso (come anche in altri suoi film) l’erotismo è funzionale ad aumentare il senso di inquietudine e a disturbare lo spettatore: per sconvolgere, quindi, mai per eccitare.

“Maldoror” (1976), leggendario film perduto di cui si sono salvate solo alcune immagini prese sul set, avrebbe dovuto essere ancora più estremo, assicurano i protagonisti e i pochissimi che hanno avuto la fortuna (?) di vederlo; proprio per questo, probabilmente, non è stato mai fatto uscire.

Crudele e trasgressivo, definito “un film chimera”, anche se viene montato e approntato per una visione pubblica nei laboratori Technicolor, come sostiene Jane Avril (Maria Pia Luzi), moglie del regista, sembra sia stato proiettato solo una volta.

Il successivo “Blue Movie” (1978) è un altro film strano, allucinato, costruito sul niente, ispirato alle idee di Andy Warhol ma anche al “Blow Up” di Antonioni.

Cavallone attacca le ideologie, il consumismo, la mercificazione dei corpi, rinnova la denuncia contro la guerra in Vietnam, aggiunge parti da “mondo movie” a una storia di segregazione estrema che vede una donna prigioniera costretta a cibarsi dei suoi escrementi mentre il fotografo protagonista non riesce più a distinguere realtà da fantasia.

Un film girato in otto giorni fatto apposta per disturbare, una pellicola anticonsumistica e nichilista che serve al regista per esprimere il suo disprezzo nei confronti delle ideologie e per accusare la società di aver ridotto l’uomo a un oggetto.

Malgrado tutto, “Blue Movie” ha un discreto successo, grazie ad alcune scene di sesso esplicito, e per la bellezza inquietante di Dirce Funari, costretta a scene degradanti.

Sembra che ne esista una versione con inserti hard ma anche qui l’intento non è certo quello di eccitare…

“Blue Movie” è l’ultimo film interessante girato da Cavallone, pur nel suo estremismo assoluto, anche se motivi tipici della sua poetica tornano anche in “Blow Job” (1980), un allucinato erotico ai confini con il porno, per sparire del tutto in un thriller inutile come “La gemella erotica” (1980) che il regista abbandona a metà lavorazione.

Nel mezzo, l’interessante documentario sul disagio giovanile “Dentro e fuori la classe” (1979).

“Il padrone del mondo” (1982) è l’ultimo film per il mercato non a luci rosse di Cavallone, girato dopo aver scritto la sceneggiatura del trashissimo fantasy “La guerra del ferro (Ironmaster)” (1982) di Umberto Lenzi

Ispirato a “La guerra del fuoco” di Annaud, “Il padrone del mondo” (firmato con lo pseudonimo di Dirk Morrow), è una sorta di affresco sulle società primitive: muto (i personaggi, tutti culturisti raccattati in qualche palestra di periferia, giustamente si esprimono a grugniti), arricchito da crude scene cannibali, in omaggio alla moda del periodo, non esce neppure nelle sale a causa del fallimento del distributore.

Gli ultimi lavori conosciuti del nostro sono tre film porno, due firmati Baron Corvo, attribuiti al regista solo dopo la morte: “E il terzo gode” (1981) (inedito in Italia e reperibile, se proprio uno vuole, come “Schreie der Lust” in versione VHS tedesca), “Il nano erotico” (1982) e “Pat, una donna particolare” (1982).

Pur essendo hardcore, sono anche qui film sgradevoli, insoliti e disturbanti, per la presenza di un nano dedito a follie sadiche e perverse con le protagoniste femminili (in primis Sabrina Mastrolorenzi, la pornostar preferita dal nostro Alberto).

Cavallone girerà altri hard tra il 1984 e il 1985 ma non è possibile individuarli.

Il regista meneghino muore a Roma, il 12 novembre del 1997.

Se proprio ve la sentite, dategli uno sguardo ai suoi film: non è certo roba per tutti, ma a volte può essere un pregio…

O no?

Onore ad Alberto Cavallone!

“Essere estremo per me significa essere a-normale, cioè fuori dalla norma. La norma è sopore, staticità, accettazione passiva dell’esistente. La norma è immorale perché vuole essere morale. La norma disconosce l’etica universale. Essere normali significa non progredire e accettare soltanto ciò che protegge i meccanismi dell’esistenza. L’anormalità è desiderio di progresso, è ricerca e scoperta di nuove etiche e morali adeguate ai cambiamenti che la norma nega. Sono anormale, non estremo”.

Alberto Cavallone

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