Oggi è il momento di stare muti, cari amici dei Mutzhi Mambo, è il momento di togliersi il cappello e abbassare lo sguardo…
Perché oggi omaggiamo un vero gigante, un grande poeta e un cantante che non ha eguali e non ha bisogno di presentazioni: il venerabile LEONARD COHEN, la voce più noir di sempre!
Anzi, "la voce" del noir!
Leonard Cohen è stato uno dei visionari più prolifici e rispettati del mondo della musica, uno che con la voce ti accarezzava e ti sconvolgeva, mettendo a nudo tutta la potente fragilità dell’animo umano.
La sua era una musica da sbronze tristi, da amori perduti, da cuori infranti, da carriere rovinate, perfetta per accompagnare quei momenti di accresciuta consapevolezza dei limiti dell’esistenza che seguono sempre le sconfitte più brucianti.
Era la colonna sonora d’eccellenza per i noir più cinici e amari, per i finali meno rassicuranti, quelli dove il bene perde (o comunque fallisce) e il male rimane sempre lì, in agguato, a ricordarti quanto poco ci puoi fare…
Intendiamoci, non che i suoi pezzi fossero “noir” nel senso che parlavano di crimini, atrocità o roba del genere: i temi erano esistenziali, sentimentali, nostalgici, nichilisti…
Però era la sua voce bassa e arrocchita dal tabacco, gli arrangiamenti rarefatti, ossessivi e minimali, il tono cupo generale a renderli così adatti ad atmosfere di disperazione urbana o a sottolineare fughe notturne in macchina…
Ma contemporaneamente era anche un perfetto strumento di seduzione, di complicità: bastava metter su un pezzo di Cohen e già mezzo imbrocco era fatto…
Sornione e timido, soggetto a depressioni feroci e tombeur de femmes, ebreo di buona famiglia e monaco zen, Cohen è stato tutto e tutto il suo contrario ma con una paradossale coerenza unica!
Sicuramente è stato uno dei cantautori più influenti di tutti i tempi: rispolverando il tradizionale approccio de cantastorie, soprattutto francesi, in cui la “parola” ha più risalto che le note, Cohen rivoluzionò il concetto di musica “in” poesia e di musica “per” la poesia, sfruttando un talento naturale per le melodie semplici ma profonde, sempre con un orecchio attento al blues e alle nuove sonorità.
Mai però per moda, ma sempre in funzione del messaggio che voleva mandare…
Non aveva certo la smania di incidere dischi, ne ha pubblicati pochi, ogni due – tre anni e anche più, e in concerto si esibiva ancor più raramente (peccato perché era una vera esperienza assistere ad un suo live…).
Nemico dichiarato del business discografico, fu più volte sul punto di ritirarsi a vita privata (privatissima) per sfuggire alle sue leggi di mercato.
Ma la voglia di comunicare alla fine ha prevalso, fino al momento estremo.
L'arte di Cohen è dunque sempre stata un testardo esercizio di musica per sé, indipendente dal pubblico e dalle richieste delle case discografiche
Le sue liriche erano influenzate dai suoi studi sulla mitologia classica, dalla sua origine ebrea, dal disincanto per il mondo che solo un vero genio può avere in modo così lucido e (a suo modo) sereno.
Forte la sua predilezione per i toni simbolico-visionari: le storie che narrava si segnalano infatti per i temi ricorrenti dell'oltraggio e dell'umiliazione, per il tono romantico disperato, da ultima lettera d'addio di un suicida, per l'incedere dimesso, soffuso, e intensamente personale.
Se dovessimo fare l’elenco di chi a lui si è ispirato, chi l’ha omaggiato, copiato, plagiato, non basterebbero 10 di questi Vostri Almanacco.
Qualche nome, quelli più evidenti: a parte il nostro Fabrizio De Andrè, possiamo citare Nick Cave, Hugo Race, Jeff Buckley, Mark Lanegan... gentucola, insomma!
Leonard Norman Cohen nasce a Montreal, il 21 settembre del 1934 da una famiglia di origini ebraiche.
All’età di 17 anni fa le sue prime esperienze musicali formando con alcuni compagni di scuola un trio di genere country&western, i Buckskin Boys.
La sua prima passione, però, è la poesia ed è con quella che si fa conoscere ed apprezzare a livello internazionale quando, nel 1961, l’antologia “The spice box of earth” ottiene ampi riconoscimenti.
Cohen inizia poco dopo una vita di viaggi e di spostamenti che lo portano spesso in Europa; insieme alla compagna Marianne Jensen e al di lei figlio decide di trasferirsi sull’isola greca di Idra.
Pubblica intanto i suoi primi racconti, l’autobiografico “The favorite game” (1963) e “Beautiful losers” (1966), riscuotendo con entrambi grande successo di critica e di pubblico.
Nel 1967 torna in Nord America e decide, a 33 anni, di debuttare professionalmente nel mondo della canzone: partecipa quello stesso anno al Festival Folk di Newport, dove il produttore John Hammond (scopritore di Billie Holiday, Aretha Franklin, Bob Dylan e, in seguito, di Bruce Springsteen) lo nota e lo mette sotto contratto con la Columbia. Alla fine dell’anno esce “The Songs of Leonard Cohen”, il primo LP contenente classici come “So long, Marianne”, “Sisters of mercy” e “Suzanne” (già nota nell’interpretazione di vari artisti, tra cui Judy Collins; in Italia verrà tradotta da Fabrizio De André).
I toni dark e pessimistici dell’album, piuttosto inusuali per l’epoca, gli procurano la fama di menagramo e il disco inizialmente non riscuote granché successo..
I successivi “Songs from a Room” (1969) e “Songs of Love and Hate” (1971), che il regista Robert Altman utilizzerà come colonna sonora per il suo western “I compari”, ne rinsaldano la fama di performer originale e di straordinario autore, saccheggiatissimo dagli interpreti del tempo come da quelli successivi (innumerevoli le cover di titoli come “Bird on a wire”, “Story of Isaac”, “Joan of Arc” e “Famous blue raincoat”).
“A New Skin For the Old Ceremony” nel 1973 segna una svolta musicale innestando sonorità orchestrali sullo stile solitamente spartano di Cohen, seguono cinque anni di silenzio interrotti solo dalla pubblicazione di un “Greatest hits”: l’atteso ritorno si rivela tuttavia problematico e "Death of a Ladies’ Man” viene disconosciuto dall’autore dopo che l”eccentrico produttore Phil Spector lo esclude totalmente dalle fasi finali di lavorazione snaturandone l’opera.
Dopo “Various Positions”, un disco che rivela il cammino interiore e le nuove preoccupazioni religiose di Cohen (spicca “Hallelujah”, ripresa poi anche da Jeff Buckley), esce “I’m Your Man”, un album che coniuga il cabaret dark della berlino anni’30 con le sonorità sintetiche più moderne, che segna nel 1988 uno dei momenti più fortunati della produzione musicale del canadese, fruttando nuovi classici come “Ain’t no cure for love”, “Tower of song” e “First we take Manhattan”.
Fioccano intanto gli omaggi: l’interprete americana Jennifer Warnes, che era stata sua corista, gli dedica un intero album di cover (il fortunato “Famous blue raincoat”, 1987), e successivamente colleghi celebri come Nick Cave, John Cale, Pixies e R.E.M. interpretano sue canzoni in “I’m your fan” (1992), antologia realizzata per iniziativa di Christian Fevret, editore della rivista rock francese “Les Inrockuptibles”.
Cohen, che continua in parallelo l’attività di poeta e scrittore, sta nel frattempo meditando il gran ritiro: dopo il tour che fa seguito alla pubblicazione di “The Future” (1993) scompare in un centro Zen sul Monte Baldy, in California, dove il 9 agosto 1996 verrà consacrato monaco con il nome di Jikan (“Il silenzioso”).
“The Future” sarà comunque il suo album più venduto di sempre, grazie anche all’uso che ne farà Trent Reznor per colonna sonora di “Natural Born Killers”.
Quest’apocalittica analisi della società contiene pezzi ancor più lunghi (l’ossessionante “The future”, l’orchestrale “Waiting for the miracle”) che mescolano arrangiamenti ancor più strani a ritmi dance ancor più forti, reinquadrando Cohen come un artista concettuale (la marziale “Democracy”, la celtica “Closing time”).
Malgrado l'escursione romantica di “Light as the breeze”, è il suo album più dark, come ben s'intende nella luttuosa e spirituale “Anthem”, ricca di archi neoclassici e cori da requiem.
Il nostro riemerge dall’isolamento della meditazione buddhista nel gennaio del 1999 (sembra che in monastero gli mancassero troppo le sigarette…) e si stabilisce a Los Angeles, tornando sulla scena col primo album di nuove canzoni in nove anni, “Ten New Songs”, molto più “leggero” del precedente.
Nel 2003 il produttore Hal Willner allestisce un concerto tributo che va in scena a Brooklyn con la partecipazione di Cave, Laurie Anderson, Kate & Anna McGarrigle, Rufus & Martha Wainwright, Linda & Teddy Thompson, trubuto che avrà varie repliche con altri artisti, fra cui Joe Cocker, coinvolti.
Nel 2004 esce “Dear Heather”, coprodotto dalle cantanti e sue ormai abituali collaboratrici Sharon Robinson e Anjani Thomas.
Nel 2006 (dopo una serie di controversie legali con la sua manager Kelly Lynch) Cohen ritorna come autore per l’ album di Anjani Thomas “Blue Alert”, a cui segue a un paio di mesi di distanza la pubblicazione di un nuovo libro di poesie intitolato“Book of longing”, che diventa un enorme successo di critica e di pubblico.
A febbraio 2008 il musicista annuncia di essere pronto per un nuovo tour mondiale (il primo dopo quindici anni di assenza) in partenza a maggio.
Un mese più tardi, viene ammesso nella Rock and Roll Hall of Fame per aver ispirato molti musicisti nella composizione delle loro canzoni.
Il tour mondiale continua fino al 2010 e viene documentato nell'autunno dello stesso anno da “Songs from the Road” contenente 12 brani estratte da varie tappe.
Agli inizi del 2012 “Old Ideas”, primo album di inediti in quasi otto anni, ne conferma pienamente un ritrovato e sorprendente stato di grazia ribadito, due anni dopo, anche da “Popular Problems”, scritto quasi interamente con il produttore Patrick Leonard e pubblicato due giorni dopo il suo ottantesimo compleanno.
Subito dopo viene annunciato “Live in Dublin”, registrato all’Arena della capitale irlandese, il 12 settembre del 2013 e in uscita ai primi di dicembre.
Un nuovo album dal vivo, seppur particolare, arriva nel 2015: "Can’t Forget: A Souvenir of the Grand Tour”, raccolta fatta di registrazioni rare e inedite, realizzate nell'arco di due anni tra soundcheck e spettacoli dal vivo durante l' "Old ideas World tour".
All'interno del disco sono contenuti anche due brani inediti di Leonard Cohen: tra questi anche il singolo "Never gave nobody trouble".
Nel 2016 esce il suo 14° album, il cupissimo, agghiacciante capolavoro "You want it darker", un tetro concept sull’impossibilità di conoscere Dio e il destino umano, coprodotto dal figlio Adam.
Muore poche settimane dopo la pubblicazione del disco, il 7 novembre, nella sua casa di Los Angeles, mentre, infaticabile, ancora lavorava a nuovi pezzi.
Purtroppo, ci dovremo rassegnare al fatto che la sua voce, calda e spettrale insieme, non la sentiremo più.
Non ci accompagnerà più nei momenti bui, nei momenti tristi, nelle parentesi sensuali,
E questa è una cosa insopportabile!
Onore all’immenso Leonard Cohen!
“If you want a lover
I'll do anything you ask me to
And if you want another kind of love
I'll wear a mask for you
If you want a partner, take my hand, or
If you want to strike me down in anger
Here I stand
I'm your man…”
Leonard Cohen – I’m Your Man