C'era un'epoca in cui i francesi riuscirono a fare il noir pure meglio degli americani che l'avevano inventato.
E il migliore di tutti 'sti francesi che "volevan far gli americani" è stato il grandissimo JEAN-PIERRE MELVILLE!
Inizialmente considerato precursore ed esponente della Nouvelle Vague, per lo stile registico estremamente scarno e realistico (molte riprese in esterni, budget ridotti, utilizzo di attori semisconosciuti, rifiuto del maquillage), Jean-Pierre Melville aveva però una vera vocazione per il cinema "di genere", meno astratto e "impegnato", di quello, troppo intellettualistico, della corrente francese!
È lui stesso a rifiutare i suoi primi "discepoli", sottolineando quanto la rivoluzione si sia trasformata velocemente nello stesso "sistema" che metteva in discussione, risucchiando i suoi più convinti assertori.
Ed è sempre lui che ad un certo punto della sua carriera ricercherà con forza le grandi produzioni e quelle star, da sempre ammirate, che diventeranno una sorta di feticcio.
Guerra aperta dunque di un vero "outsider con tutti e contro tutti e ancora una volta per la volontà di professare la propria indipendenza intellettuale ed artistica.
Per questo verrà per anni privato di quel meritato consenso dovuto al suo ruolo chiave nella cinematografia francese e non solo.
Melville faceva un bel cinema “tosto”, magari lento, ma solennemente noir, anzi “polar”, come i nostri cugini d’Oltralpe hanno ribattezzato il genere a casa loro.
Innumerevoli sono i registi che si sono ispirati al suo cinema asciutto e oscuro, e si parla di gente come Fernando Di Leo, William Friedkin, Quentin Tarantino, John Woo, Takeshi Kitano, Jim Jarmush…
Per dire...
Jean-Pierre Grumbach (questo il suo vero nome) nasce a Parigi il 20 ottobre del 1917 da una famiglia ebraica originaria dell'Alsazia.
Uomo introverso, dotato di una personalità complessa e scontrosa, appassionato sin dall'infanzia di cinema, matura una profonda ammirazione per la cultura statunitense, tanto che ama proprio vestirsi alla yankee con tanto di cappelloni da cowboy e occhiali a specchio da sbirro.
Durante la seconda guerra mondiale combatte nelle fila della resistenza francese sotto il nome di battaglia di Melville, in onore dello scrittore statunitense Herman Melville (e che in seguito adotterà legalmente come cognome), e collabora all'Operazione Dragoon, ovvero lo sbarco delle truppe alleate nella Francia meridionale.
Al termine del conflitto, Melville cerca di ottenere dal Sindacato dei Tecnici una tessera di assistente-tirocinante per poter diventare un regista cinematografico.
Rivelatisi però infruttuosi i suoi numerosi tentativi di introdursi nel mondo della celluloide, decide alla fine, per essere autonomo, di finanziarsi di tasca propria i suoi film.
Dopo un primo cortometraggio in 16 mm, l'esordio cinematografico avviene nel 1947 con "Il silenzio del mare", tratto dall'omonimo romanzo di Vercors.
La povertà di mezzi, così come la sua rocambolesca produzione, non minano però il notevole esito della pellicola che gli dà subito fama di essere uno specialista di trasposizioni letterarie, al punto che lo stesso Jean Cocteau in persona lo richiederà espressamente per adattare sullo schermo il suo romanzo "I ragazzi terribili" nel 1950.
"Bob il giocatore" (1955), basato su un soggetto di Auguste Le Breton, è il suo primo film “noir”, che risente pesantemente dell'influenza dei capisaldi del genere, sia statunitensi quali "Giungla d'asfalto" di John Huston o "La fiamma del peccato" di Billy Wilder, sia francesi come "Rififi" di Jules Dassin e "Grisbì" di Jacques Becker.
Nel medesimo periodo, Melville acquista alcuni magazzini abbandonati, al fine di adibirli in dei teatri di posa per le riprese in interni delle sue pellicole, che utilizzerà fino al 1967, anno in cui un incendio ne causa la distruzione.
Crea così, nel cuore di Parigi, un piccolo ed anomalo caso di indipendenza produttiva, piuttosto audace per l'epoca ma molto ben organizzata, suscitando l'ostilità corporativa delle istituzioni cinematografiche francesi.
"Le jene del quarto potere" del 1959 è il suo secondo, ottimo, polar, all'inizio un po' sottovalutato dalla critica ma ora considerato fra le sue opere migliori.
Viene ben presto considerato un precursore dai giovani emergenti della pallosissima Nouvelle Vague, come François Truffaut, Jean-Luc Godard (che lo chiama simbolicamente ad interpretare il ruolo dello scrittore Parvulesco in "Fino all'ultimo respiro"), e Claude Chabrol, ma non si dimentica di produrre pellicole sempre destinate ad un vasto pubblico.
Questa sua mancanza di snobismo intellettualoide lo allontana gradualmente dal movimento, finché nel 1968, sentendosene concettualmente sempre più estraneo, interrompe polemicamente i rapporti con la Nouvelle Vague, attirandosi un prolungato ostracismo da parte dei Cahiers du cinéma e della critica radical-chic ad essa collegata.
"Léon Morin, prete" (1961), pervaso da una riflessione irrisolta su laicismo e religione, introdusse diversi mutamenti di prospettiva in quanto finanziato e distribuito secondo canoni industriali ed interpretato da divi affermati come Jean-Paul Belmondo.
Col simpatico attore francese è il primo film di un trittico, seguito dal ritorno al noir con gli altri due da esso interpretati: "Lo spione" (1962), considerato uno dei migliori film del genere in assoluto, e "Lo sciacallo" (1963), tratto da un romanzo di George Simenon.
Attraverso queste pellicole, Melville sviluppa ulteriormente alcune delle sue peculiarità stilistiche, quali l'atmosfera priva di speranza (derivata dall'hard boiled), la geometria dell'intreccio e l'idealizzazione del "maschio" (spesso erroneamente scambiata per misoginia).
"Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide" (1966) con Lino Ventura protagonista, è un noir eccezionale, secco ed amaro, in cui la forma minimalista ed il rigore dei toni raggiungono una piena maturità artistica e stilistica.
Si definiscono i temi distintivi del suo cinema: l'assenza di motivazioni nelle azioni delle figure, il codice di lealtà dei suoi antieroi, la prevalenza degli aspetti psicologici e spirituali sul ritmo narrativo, il confronto-scontro tra malavitosi e poliziotti in un intricato gioco di alter ego.
Dall'interno delle predeterminate strutture del genere, Melville inizia così un percorso di innovazione linguistica, sottile ma incisivo.
"Frank Costello faccia d'angelo" (1967), è considerato il suo capolavoro. Vi si concentrano tutti gli elementi dell'universo melvilliano con una tale secchezza di stile e perfezione, da creare un film dalla bellezza implacabile e glaciale.
Lo spietato e nichilistico mondo della delinquenza viene ritratto in maniera spoglia ed astratta, in un'atmosfera da tragedia greca. La pellicola segna inoltre l'avvio del rapporto professionale con Alain Delon, interprete esemplare dei personaggi melvilliani, rassegnati ad un destino fatale ma al contempo fieri e irriducibili.
Basato sulla sua esperienza nella resistenza, "L'armata degli eroi" (1969), è un originale film bellico, accolto in maniera discordante ed accusato di essere filo-gollista, ma in realtà è un lavoro cinico ed antiretorico sulla guerra partigiana che non manca di raccontare episodi crudeli e realistici.
"I senza nome" (1970) è l'opera di maggior successo di Melville, summa-testamento della sua filosofia cinematografica basata sul determinismo senza speranza.
Impostato quasi come se fosse un western, grazie ad una sceneggiatura meticolosa, ad un ottimo cast (Delon, Volontè e Montand bastano?) e ad un uso sapiente del colore e della colonna sonora, il film raggiunge l'apice della maestria formale dell'autore.
Rivalutato anche dagli esperti dopo più di un decennio d'oblio, "I senza nome" è oggi universalmente riconosciuto come uno stracult movie del cinema poliziesco.
L'ultima pellicola, considerata dalla critica solo parzialmente riuscita, ma in realtà un altro fulgido esempio di freddo ed inesorabile noir francese, è il solenne (e un filino noioso, diciamocelo...) "Notte sulla città" (1972), amaro apologo sulla vendetta e sulla giustizia, interpretato da Alain Delon, Richard Crenna, Riccardo Cucciolla, Michael Conrad e Catherine Deneuve.
Il tiepido riscontro al botteghino e il poco entusiasmo della critica rappresentano una cocente delusione per l'autore parigino.
Mentre sta lavorando alla sceneggiatura del suo prossimo film, muore improvvisamente il 2 agosto del 1973 in seguito ad una crisi cardiaca sopraggiunta durante una cena in un hotel della capitale.
Anche se la sua influenza è stata ammessa da fior fiori di registi, peccato che di degni eredi non ne abbia avuti...un vero peccato!
Onore a Jean-Pierre Melville!
"Lei vuole scherzare, commissario: sono anni che non sparo più."
"Già: perché i tuoi avversari sono tutti morti!"
Commissario Blot/Paul Meurisse - Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide