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Capita che quando si raggiunge il fondo possa capitare di scavare.
E oggi scaviamo davvero, cari amici dei Mutzhi Mambo, per parlare di uno dei più scalcinati ma interessanti registi del nostro Paese, l’inqualificabile CESARE CANEVARI!
Da molti chiamato "genio all’avanguardia”, "maestro del cinema di genere" e considerato uno dei registi meno etichettabili del cinema italiano, Canevari ha diretto solamente nove film in poco meno di vent'anni, tutti piuttosto deliranti; tanto che rimane un mistero il "perché" gli abbia girati!
Spesso caratterizzato da uno stile insolito, bizzarro, i suoi film, per quanto pochi, spaziano attraverso diversi generi, tra cui noir, nazisploitation, spaghetti western, giallo e melodramma: la créme de la créme insomma.
Le sue pellicole sono state girate e prodotte quasi esclusivamente a Milano, visto che il nostro Cesare non amava troppo spostarsi.
Regista, sceneggiatore, autore di fotoromanzi e persino attore, Canevari si ricorda soprattutto per l’erotico a sfondo sociale “Io, Emmanuelle” (1969), interpretato da Erika Blank.
Tutta la sua produzione viene ricompresa nell’arco temporale 1964 – 1982, dopo di che il regista scompare nel nulla e torna nell’oblio.
Fortuna che la “qualità” dei suoi lavori e il rinnovato interesse per il cinema minore, lo ha preservato dal dimenticatoio in cui molti film di serie B finiscono inesorabilmente.

Cesare Canevari nasce a Milano il 13 ottobre del 1927.
Inizia la sua carriera poco dopo la seconda guerra mondiale come comparsa, occasionalmente anche interpretando ruoli minori.
Si specializza negli anni Cinquanta come attore "amoroso", ovvero interprete di ruoli di ragazzino innamorato, per poi proseguire sui sentieri impervi della produzione e della distribuzione.
Tanto che il suo esordio registico nasce dal fatto che il regista Oscar De Fina decide di non girare più “Per un dollaro a Tucson si muore” (1964) e così Canevari, che produce il film, decide di mettersi lui dietro la macchina da presa per non perdere tutti i soldi.
È un western all’italiana all’insegna del risparmio, girato nelle Prealpi lombarde, un’opera dilettantesca firmata con lo pseudonimo D. Browson, che il nostro interpreta pure con il nome d’arte di C. Iravenac.
Segue il tremendo “Agente 070: Un Tango dalla Russia” (1965), un fantaspionistico realizzato con mezzi insignificanti e diretto in maniera svogliata e confusa sotto lo pseudonimo di Berwani Ross.
Il lavoro successivo, “Una Jena in Cassaforte” (1967), è un vero cult, un heist movie incentrato sulla storia di sei rapinatori che si contendono il bottino di una rapina e finiscono per diventare vittime e carnefici di loro stessi.
Vi ricorda forse qualcuno?
Budget modesto, scrittura poco originale a quattro mani con Alberto Penna, montaggio frammentario ma ricco di svolazzi psichedelici che gli conferiscono un tono assolutamente bizzarro, questo film rimane come manifesto del suo modo weird, inadeguato e assolutamente unico di affrontare il cinema; il regista però tenta almeno un approfondimento psicologico dei personaggi e si dimostra un abile artigiano nel gestire la vicenda.
“Io, Emmanuelle”, il suo film più “famoso” è del 1969: incentrato sulla noia di vivere di un’affascinante signora borghese, interpretata da una appetitosa Erica Blank (a.k.a. Erica Bianchi Colombatto), scelta dal regista al posto di Edwige Fenech perché costava meno: la signora in questione cerca nel sesso uno spiraglio di vitalità, ma le sue gesta vorrebbero anche criticare i vizi privati e le pubbliche virtù della classe dirigente e della piccola borghesia.
Per l’epoca ardita, la pellicola risulta ora irrimediabilmente datata anche se mantiene un suo certo fascino grazie alle atmosfere lisergiche, alle inquadrature azzardate, tra specchi giganteschi e scenografie spoglie, e ai personaggi assurdi e ridotti a macchiette (c’è pure uno spaesato Adolfo Celi).
La sceneggiatura fa acqua da tutte le parti ma bisogna riconoscere a Canevari il merito (?) di aver anticipato “Emmanuelle” di Just Jaeckin (1973) e tutti gli apocrifi targati Albertini, D’Amato, Pinzauti, Vari, Mattei e Fragasso, anche se il film non ha niente a che vedere con il personaggio del libro di Emmanuelle Arsan, se non l’intenzione di sfruttare il successo di pubblico riportato dopo l'uscita del romanzo.
“Matalo!” (1970) è uno coproduzione italo – spagnola che segna il ritorno di Canevari al western, ma questa volta in chiave più originale, quasi pop e psichedelica, creando situazioni, ambienti e personaggi ai limiti del fumettistico (c’è pure un boomerang!); Lou Castel e Corrado Pani ne sono gli interpreti principali.
“Il romanzo di un giovane povero” (1974) è la versione canevariana del romanzo di Feuillet che verrà riproposto nel 1995 da Ettore Scola con interprete Alberto Sordi.
Il protagonista, Raffaele Cur,i è del tutto inespressivo ed il film viene ripudiato dallo stesso regista che lo giudica “brutto” e non vuole neppure sentirne parlare.
“La principessa nuda” (1976) è un vero delirio che travalica i limiti del trash.
Ajita Wilson (a.k.a. George Wilson), un trans di colore scomparso prematuramente nel 1987, è l’interprete principale, ma divide la scena con Tina Aumont che si abbandona a tentazioni lesbiche.
Si parte con intenzioni satiriche ma poi predominano erotismo e voyeurismo, orge, comicità involontaria, sequenze assurde ispirate a Fellini.
Come da prassi per l’epoca, ne esiste una versione con inserti hard destinata al mercato estero.
Non poteva mancare il nazisploitation nella breve carriera di Canevari, che nel 1977 gira il mitico “L’ultima orgia del Terzo Reich”, un erosvastika che si ricorda soprattutto per le generose grazie di Daniela Poggi (alla sua seconda prova, sotto lo pseudonimo Daniela Levy) e Antiniska Nemour.
Il film, pur essendo ricco di crudeltà (cannibalismo, prigioniere mestruate date in pasto a dobermann famelici e altre gettate nella calce viva, la Poggi calata in una teca piena di topi vivi) e di scene al limite del porno (anzi, proprio esplicite!), resta comunque uno dei meno superficiali del genere (sinceramente ci vuole poco…).
Certo, rimane una pellicola per sadici guardoni ma presenta qualche spunto di riflessione in più rispetto agli altri epigoni di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, il capostipite firmato Pasolini.
“Allarme nucleare” (1979) viene firmato da un certo Leslie Martinson, ma la mano è quella di Canevari: si tratta di un fantanucleare improbabile e dimenticato, interpretato da Karin Schubert e John Carradine.
“Delitto carnale” (1982) è l’ultimo film di Canevari, uno dei pochi che non si produce da solo, in ogni caso povero e girato in dieci giorni in un albergo di Monopoli. Si tratta di un giallo classico, non molto originale, memorabile solo per alcune sequenze erotiche che vedono protagoniste Moana Pozzi e Sonia Otero.
Tra l’altro, rimontato in versione hard, incassa molto sul mercato Home Video con il titolo “Moana la pantera bionda”.
La storia porno che funge da cornice non è girata da Canevari e le scene aggiunte vengono inserite malamente.
In ogni caso il regista disconosce la versione porno da lui mai autorizzata, provocando nel nostro un vero rigetto nei confronti dell'industria cineatografica.
Schivo come pochi, il regista abbandona i set dopo questo popò di “capolavoro” e di lui si perdono le tracce.
Canevari muore a Milano il 25 ottobre del 2012, dimenticato pressoché da tutti.
Non ha fatto granché, e quel poco sono essenzialmente schifezze, ma almeno si impegnava…
….e il mondo del Pulp è fatto proprio di "eroi" del genere!
Onore a Cesare Canevari!

“Ehi, gente! È più facile amare Dio che il prossimo, perché Dio non ti frega mai.”
Burt/Corrado Pani – Matalo!

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