Sarà che ottobre è il mese in cui i pensieri si fanno amari, sarà che il brutto tempo è sempre più deprimente, fatto sta che non c’è niente di meglio che un crudo romanzo hard-boiled, pieno di violenza e personaggi crepuscolari, per farsi passare un po’ l’uggia.
Allora, cari amici dei Mutzhi Mambo, è il momento di versarsi uno scotch liscio e leggersi un bel libro del grande JAMES CRUMLEY, l’unico, legittimo erede di Raymond Chandler!
James Crumley è stato uno dei migliori scrittori moderni di romanzi crime, un autore che, rinnovando la tradizione del noir americano, ha ispirato diverse nuove generazioni di giallisti, sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito.
Era un personaggione, un vero redneck texano (anche se era anche un brillante accademico) dal carattere focoso, un bevitore leggendario, un narratore di storie nere vissute da eroi ancora più neri.
Ha portato nuova linfa vitale ad un genere “classico” e ormai stereotipato come l’hard boiled, rinnovando la tradizione di maestri come Raymond Chandler, Dashiell Hammett e Ross MacDonald.
Proprio di Chandler si è sempre, con modestia rara, definito un discepolo, arrivando ad affermare di averlo pure copiato.
E come Chandler, nei suoi romanzi, più che la trama e l’intreccio giallo, contano le atmosfere, i personaggi, lo stile.
In poco meno di 40 anni è riuscito solo a scrivere otto romanzi (uno dei quali era il suo libro sul Vietnam “One to Count Cadence”, un adattamento della sua tesi di dottorato), ma non conta in questo caso la quantità, quanto la loro indubbia qualità!
Nei suoi romanzi Crumley celebra i valori ormai perduti dei “veri uomini” riecheggiando persino la poetica di Hemingway, e, come detto, non nasconde, anzi ostenta, i suoi debiti verso Raymond Chandler, da cui però prende anche le distanze, superandolo in cinismo e disillusione.
Per il nostro, la cattiveria è la vera natura dell’uomo, e i suoi effetti ci vengono descritti in tutta la loro durezza, senza tanti giri di parole.
Ma la bravura di Crumley risiede proprio nel modo in cui ci descrive tutto questo: come per volerci rassicurare dal suo pessimismo cosmico, il suo linguaggio è costantemente venato d’ironia (che riecheggia a volte i deliranti reportage di Hunter S. Thompson), la narrazione puntellata da dialoghi brillanti e vivaci, alternati a passaggi di una malinconia quasi dolorosa.
In effetti, tutti i personaggi dei romanzi di Crumley sono chiaramente bizzarri, con visioni pittoresche e distorte della vita.
La violenza che di solito viene loro assegnata è descritta in modo spietato ma realistico, senza trasporto sentimentale ma comunque lirico, nella sua sfacciata franchezza, facendo guadagnare all'autore il soprannome di “poeta dell’hard boiled".
I suoi primi tre romanzi polizieschi gli sono valsi un accostamento istantaneo ad altri maestri del neo-crime come Elmore Leonard, James Ellroy e James Lee Burke, oltre a guadagnargli un seguito di fan eccellenti, tra cui Dennis Lehane, George Pelecanos e Michael Connelly, che emergeranno come la generazione successiva di scrittori noir americani.
Non sarà mai un autore di best seller (si lamenterà di riuscire a campare solo grazie alle vendite in Giappone e Francia…) ma, ribadiamo, nel suo caso conta sempre più la qualità, non la quantità…
James Arthur Crumley nasce a Three Rivers, Texas, il 12 ottobre del 1939.
Suo padre è un supervisore di giacimenti petroliferi e sua madre, una cameriera.
A detta di Crumley, il papà è un uomo gentile, ma sua madre sa essere parecchio violenta; inoltre è una bigotta.
Insiste continuamente perché il figlio vada in chiesa ma poi non ce lo manda perché non può permettersi abiti abbastanza decorosi per fare la sfilata alla messa...
Mentre studia al liceo, James si fa notare come giocatore di football, nel ruolo di guardalinee offensivo.
Dopo il diploma superato a pieni voti, inizia l’università, ma la sospende per arruolarsi nell’esercito degli Stati Uniti dal 1968 sino al 1961; sotto le armi viene spedito nelle Filippine.
Quando torna riprende gli studi e si laurea in Storia, ma solo dopo essersi iscritto ad un master in scrittura creativa in Iowa.
Il fatto curioso è che per potersi iscrivere al master, il nostro avrebbe dovuto prima ottenere la laurea, ma avendo fretta di intraprendere una carriera letteraria e conoscendo i tortuosi percorsi della burocrazia, sa bene che ci vorrà un sacco di tempo prima che si accorgano dell’inganno.
In fondo chi se ne frega: nel frattempo, James raggiunge lo scopo di imparare i trucchi del mestiere.
E di mestieri, prima di diventare uno scrittore professionista, Crumley ne gira veramente tanti: autista di camion, barista, portuale, soldato, giocatore di football, insegnante.
All’inizio è un amante della letteratura classica, soprattutto russa (Dostoevskij su tutti), ma la folgorazione per gli autori hard-boiled avviene con un libro di Chandler, uno dei tanti con protagonista quel Philip Marlowe di cui in futuro si riconoscerà sempre debitore, tanto da dichiararsi “suo figlio illegittimo”.
In realtà non aveva letto nessun romanzo poliziesco fino a quando un poeta del Montana, Richard Hugo, gli raccomanda di studiarsi il lavoro di Raymond Chandler per la qualità della sua prosa.
Crumley alla fine raccatta una copia di uno dei libri di Chandler a Guadalajara, in Messico.
Rimane letteralmente impressionato dalle sue opere e da quelle di Ross MacDonald, e inizia così a scrivere il suo primo romanzo a tema crime che uscirà nel 1975.
Nel 1968, è uno dei firmatari del documento "Writers and Editors War Tax Protest", con cui si ripromette di rifiutarsi di pagare le tasse in segno di protesta contro la guerra del Vietnam.
Il primo libro che riesce a pubblicare, “Uno per battere il passo” (1969), è basato sul riadattamento della sua tesi di laurea, ma è solo nel 1975 che dà alle stampe il primo dei suoi lavori nati e pensati come romanzi hard-boiled: “Il caso sbagliato”.
Nel frattempo, dal 1974 al 1976, lavora come scrittore freelance.
Il protagonista de “Il Caso Sbagliato” è il detective privato Milo Chester Milodragovitch, così come in “Dalla parte sbagliata” e “La terra della menzogna”; mentre è C.W. Sughrue il personaggio principale de “L’anatra Messicana”, “Una vera follia” e “L’Ultimo vero bacio”.
E’ soprattutto quest’ultimo libro ad aprire a Crumley le porte dell’Olimpo del noir.
Uscito nel 1978, raccoglie la summa dello stile crumleyano, segnando un profondo solco nella letteratura noir tra tutto ciò che era stato scritto sino ad allora e ciò che in seguito avrebbe dovuto confrontarsi con esso.
E’ la storia di C.W. Sughrue, investigatore privato, e della sua ricerca di Betty Sue Flowers, una donna davanti a cui gli uomini si mettono “tutti in fila in attesa del turno”, scomparsa dieci anni or sono da una madre barista che non sa più a che santo votarsi.
Non è per danaro che Sughrue accetta, e non è per convenienza che sceglie la compagnia che gli starà attorno durante quel lungo viaggio: lo scrittore alcolizzato di nome Abram Trahearne, che lo stesso Sughrue era appena riuscito ad acciuffare dopo l’ennesima fuga dalle grinfie della moglie, e soprattutto un cane alcolizzato di nome Fireball Roberts.
Cosa fa de “L’ultimo vero bacio” un capolavoro riconosciuto della letteratura?
Non certo la trama, abbastanza classica, modellata su innumerevoli canovacci del genere, quanto lo spessore dei personaggi e soprattutto lo stile della narrazione e dei dialoghi.
Il libro è un lungo ed estenuante macinare chilometri, quasi sempre in macchina, lungo strade di cui non si vede mai la fine, scandito da fermate presso qualche bar a mangiare qualcosa e a buttare giù litri d’alcol.
I personaggi che popolano il romanzo sono uomini disincantati che la vita non riesce più a sorprendere, orfani malinconici del sogno americano, gente nata dalla parte sbagliata del paese che tenta di tirare avanti come meglio può.
In mezzo a tutto questo, l’unico barlume di vera umanità è rappresentato proprio dal protagonista, l’anti eroe per eccellenza, un uomo che fa del sarcasmo il suo scudo, che ostenta quel suo non credere più in niente e in nessuno, che guarda sprezzante il mondo con il gomito perennemente appoggiato al bancone di un bar, ma pronto a mettersi in viaggio e a intraprendere una ricerca disperata per solo “ottantasette dollari, due birre e un sorriso”.
E’ la summa della filosofia di Crumley.
Anticonformista nel suo essere sciatto, debordante, a tratti volgare e così nostalgicamente disincantato ma sa essere eroe vero in quella sua ostinata convinzione, nascosta prima di tutto a se stesso, che alla fine di tutto è la bontà che paga, è l’amore che continua a far muovere il mondo.
Gli eroi di Crumley agiscono per un ineluttabile senso di giustizia, magari del tutto personale e non sempre coincidente con la legge, ma di certo coerente e sorretto da una personale e incrollabile etica.
Alcune cose sono permesse, altre non si possono nemmeno pensare.
Ci sono valori che non si possono tradire, o non si è più uomini, come l’amicizia per esempio, quello strano legame che può sorgere all’improvviso, quando scoccano le tre del mattino e anche l’ultimo bar ha chiuso…
Sughrue e Milodragovitch sono le proiezioni su carta del loro creatore.
Entrambi veterani di guerra, entrambi forti bevitori, entrambi pessimisti.
Sono persone su cui si può contare, pieni di lealtà sino al midollo, generosi nel restituire dieci volte quanto hanno ricevuto.
Scrive ancora, con protagonista Sughrue, nel 1999, “La scrofa messicana”, racconto apparso nell'antologia "The Dark Side", e il romanzo “Una vera follia” (2005); con Milodragovitch, una sorta di “crossover” con entrambi i suoi personaggi, “Il confine dell'inganno” (1996).
Ma il nostro può vantare anche una solida carriera accademica: dopo una precedente esperienza presso l'Università del Montana (1966-1969), è “visit professor” in una serie di altre università, tra cui l'Università dell'Arkansas (1969-1970), la Colorado State University (1971-1974), il Reed College (1976 -1977), la Carnegie-Mellon University (1979-1980) e l'Università del Texas a El Paso (1981-1984).
Col cinema ha un po’sfiga (forse anche per questo non ha mai “sfondato”…): il regista Walter Hill progetta di trarre un film, che non verrà mai realizzato, da “L’Ultimo vero bacio”, del quale lo stesso Crumley scrive la sceneggiatura.
Scrive inoltre molte sceneggiature e testi teatrali, in gran parte rimasti inediti.
Nel 1995 si cimenta con la prima sceneggiatura di “Judge Dredd”, tratto dall'omonimo fumetto e affidato al regista Danny Cannon, ma la produzione, dopo una lunga serie di modifiche, finisce per affidare la versione definitiva a William Wisher Jr. e Steven E. de Souza.
Negli ultimi anni soffre di diversi problemi di salute: dopotutto, dopo essersi fatto di cocaina sei giorni alla settimana, dopo aver mangiato schifezze cinque volte al giorno, dopo aver bevuto quotidianamente una bottiglia di whisky, il fisico chiede per forza il conto…
Ma a lui poco importa: “Questo è il modo in cui mi piace vivere, se vivo 10 anni in meno, che problema c’è?"
James Crumley si spegne il 17 settembre del 2008.
Lascia in eredità i suoi meravigliosi romanzi che ci raccontano la sua personale e schietta visione del mondo, senza ipocrisie o inganni.
Un mondo in cui vivere è un’esperienza terribile, ma dove è sempre possibile trovare un bar aperto, e un amico seduto al bancone pronto a offrirti una birra fredda e una spalla su cui appoggiarti…
Onore a James Crumley!
“Qualcosa ho imparato. Che la vita moderna è una guerra senza fine: non prendere prigionieri, non lasciare feriti, mangiarsi i morti è sano dal punto di vista ambientale.”
James Crumley