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La più grande attrice della storia!

La più carismatica, versatile, intensa, capace di passare dalla commedia all’orrore, dal noir al dramma, senza mai perdere di credibilità o risultare fuori posto.

È lei, cari amici dei Mutzhi Mambo, l’invincibile BETTE DAVIS!

Non una donna: una Dea, la Dea della recitazione!

Personalità potente, controversa (sua figlia, nel libro che le dedicherà la definisce un’ “isterica alcolizzata”), il suo mito sarà per sempre legato a personaggi di donne dal carattere forte e deciso, a cui darà perfettamente corpo grazie al suo carattere altrettanto forte e deciso e alle sue straordinarie doti recitative.

Vanta un palmares impressionante (ha vinto di tutto, più volte…), ha spaziato in ogni genere, ha lottato contro il “sistema” delle major (che volevano le attrici completamente succubi delle decisioni delle case di produzione) e, pur perdendo, è riuscita a dare nuova dignità al suo “mestiere”.

Pur non oggettivamente bella (almeno non nel senso canonico del termine, o almeno, senza la bellezza patinata che il cinema dell’epoca pretendeva per i suoi rappresentanti), riusciva ad emanare un fascino pazzesco; ma era anche capace di essere la più spaventosa delle streghe.

La carriera di Bette Davis, insieme a quella dell’odiata rivale Joan Crawford, legata a lei da un comune destino di “divismo” maledetto, si svolge quasi tutta nel segno dell’anomalia.

Anomalia che parte proprio dai suoi lineamenti, che le precludono da subito determinate tipologie e la costringono a costruire una serie di personaggi in perenne conflitto psichico, cosa che nel melò hollywoodiano si trasforma in eccesso passionale.

Eccesso che diventa un recitare sempre sopra le righe, visto che Bette Davis, proprio per i ruoli in cui è costretta, si rivela una delle prime grandi attrici istrioniche di Hollywood, sempre sul filo del virtuosismo, dell’arguzia e della crudeltà, fino a diventare un prototipo di dark lady.

Eccesso anche caratteriale, data la necessità di farsi luce in un ambiente che le richiede alcuni requisiti fondamentali che non ha.

Di lei si ricordano l’enorme ambizione e tenacia, ma anche le bizzarrie, gli scontri sui vari set (era una vera “bestia nera” per registi e attori), le ostilità durature, tra cui quella già citata con la Crawford, con cui comunque dividerà il set di uno dei film più estremi della Hollywood degli anni sessanta: “Che fine ha fatto Baby Jane”.

Infine, bisogna ricordare la forza di una donna che ha saputo tener testa a svariate malattie (una osteomielite, poi un tumore al seno, un ictus e un infarto), affrontate con coraggio e autoironia e alla difficile vita familiare e sentimentale.

Tra le grandi dive di Hollywood è quella che forse più di tutte ha immesso, al netto della patinatura del mondo di celluloide, tutta una serie di elementi inquietanti, che turbano il perfetto equilibrio dell’immagine della star e ne contrassegnano ancora oggi l’indiscutibile modernità.

Bette Davis è una che rimarrà per sempre…

Ruth Elisabeth Davis nasce il 5 aprile del 1908, a Lowell, un sobborgo industriale di Boston.

Suo padre è procuratore in uno studio di brevetti, sua madre una casalinga di origine francese.

A maggio del 1909, nasce la secondogenita della famiglia, Barbara, con la quale Elisabeth, detta Betty, si legherà molto.

Dopo che i genitori divorziano agli inizi del 1915, la madre va a lavorare come governante a New York, presso una famiglia che la tratta dignitosamente.

Le bambine vengono mandate in una scuola nel Berkshires ove la piccola Ruth inizia a coltivare la passione per la recitazione.

Sembra che voglia diventare attrice dopo aver visto “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” con Rodolfo Valentino e “Little lord Fauntleroy” con Mary Pickford.

In quel periodo cambia il suo nome da Betty a Bette, ispirandosi a “La cugina Betta” di Balzac.

Intanto sua madre, dopo aver terminato il servizio presso quella famiglia, inizia un corso come fotografa che aveva abbandonato quando erano nate le bambine.

Decide così di trasferirsi con loro presso Manhattan e seguire con più attenzione il corso di fotografia.

Dopo aver cambiato una serie di scuole, Bette e sua sorella si separano perché la prima desidera ardentemente studiare arte drammatica.

Si iscrive a varie scuole ove studia recitazione, pagandosi gli studi come cameriera.

Una volta diplomatasi alla “Cushing Academy”, Bette si trova sola e senza il becco di un quattrino per frequentare l'Università.

Chiede allora aiuto a sua madre che, convinta del talento di Bette, la porta nel settembre del 1928 a New York a fare una serie di provini e di domande alle migliori scuole d'arte drammatica dell'epoca, ma gli inizi sono piuttosto deludenti.

Non scoraggiata, la madre continua i suoi pellegrinaggi per varie accademie, fino a quando sua figlia viene accettata alla “Robert Milton-John Murray of the Theatre”.

Ha come insegnante di danza, la famosa Martha Graham della quale la Davis, parlerà in seguito molto bene.

Considerata “ingenua”, viene scritturata dal regista Cukor per una serie di tournee, che hanno un enorme successo e aprono le porte per la gloria alla Davis, la quale sfrutta al meglio le parti che le vengono date per fare del tirocinio.

Il grande successo ottenuto per le sue interpretazioni teatrali (“The Earth between”, “L'anitra selvatica”) le permette, agli inizi del 1931, di fare un provino cinematografico per la Paramount che però sarà un fiasco a causa del produttore Samuel Goldwyn.

Passa qualche altro mese e dopo aver interpretato con successo a teatro, “Solid South”, Bette ha nuovamente la possibilità di fare un provino per un film, questa volta per l'Universal Pictures, che va molto meglio e permette alla Davis di interpretare il suo primo film: “Bad Sister” che lei considera un insuccesso anche se le viene lo stesso rinnovato il contratto.

Per il film “The man who played God”, ottiene una notevole affermazione professionale e la sua carriera comincia finalmente a decollare.

Pur molto differente dai canoni della bellezza classica hollywoodiana, viene apprezzato il suo volto particolare, interessante, oltre che il suo indubbio charme.

Gira con registi come Curtiz (“Tentazioni”,1932, “20000 anni a Sing Sing”, 1932) e Le Roy (“Three on a match”), registrando lentamente il suo personaggio.,

Nel frattempo, il 18 agosto del 1932, all'età di 24 anni, Bette Davis aveva sposato un suo collega, Harmon O. Nelson jr. e nel giro di un anno e mezzo, era rimasta incinta.

Un “incidente di percorso” che secondo il marito e la madre della Davis, avrebbe potuto distruggere per sempre la carriera appena sbocciata della nostra.

Sceglie così, di abortire e continua ad interpretare film per tutto il 1934, tra cui il poliziesco “The Big Shakedown”, di John Francis Dillon, e il noir “Nebbia a San Francisco”, di William Dieterle

Il suo primo vero ruolo spartiacque è in “Schiavo d’amore” (1934), di John Cromwell, tratto da una novella di Somerset Maugham.

Questa interpretazione di Mildred Rogers, una dark lady complessa, supera la banale bellezza patinata imperante e le garantisce un notevole successo di critica.

Anche se quell'anno non riceverà l'Oscar (che era andato a Claudette Colbert), il successo di questo film le permette di interpretare nel 1935, la parte di un'ex-attrice di teatro alcolizzata nel film “Paura d'amare” che le vale l’ambita statuetta: secondo la stessa Davis, è un Oscar di “compensazione” per non averlo preso nel film precedente.

Sempre lo stesso anno gira il poliziesco “Il grande nemico”, diretto da William Keighley, e il dramma “Il selvaggio”, di Archie Mayo ma dopo il successo del noir “La Foresta Pietrificata” (1936), sempre di Mayo, con Leslie Howard e un emergente Humphrey Bogart, e “Satan Met a Lady” (1936), nuovo adattamento del romanzo “Il falcone maltese” di Dashiell Hammett, diretto da William Dieterle, la Davis, insoddisfatta del modo in cui è utilizzata, decide di rompere clamorosamente con la Warner.

A Bette infatti vengono offerti vari ruoli per i quali sarebbe costretta ad essere seguita da un'altra casa di produzione.

Questo causa uno scandalo all'interno degli Studios della Warner, che reclamano l'attrice, ricordandole che non può girare film con altri fino alla fine del contratto.

Scoppia, così, il caso pubblico: “Davis contro Warner”.

Bette sa benissimo che sta mettendo in ballo la sua carriera, ma tenta lo stesso e si batte fino alla fine.

Perde la causa ma non il suo orgoglio di donna, aprendo di fatto la strada ad un nuovo modo di intendere la dignità del ruolo di attrice.

La sua carriera non risente eccessivamente di questo incidente, anzi, due anni dopo, nel 1938, l’incontro con William Wyler le frutta il suo secondo Oscar con “Figlia del vento”.

Alla fine degli anni 30, infatti le era giunta la notizia che stavano cercando un'attrice per la parte di Rossella O'Hara in “Via col vento” ed è molto entusiasta.

Quando capisce che per la parte del “macho" Rhett Butler la Warner ha scelto Errol Flynn (poi sostituito da Clark Gable), rifiuta il ruolo che andrà a Vivien Leigh, la quale resterà per sempre “intrappolata” in quel personagfioo.

Al posto di “Gone with the wind” all'attrice viene allora proposto il ruolo di protagonista in “La figlia del Vento” che le fa conquistare il sua seconda statuetta e che ancora oggi è considerato un cult movie.

Non gli è andata poi male…

Alternando ruoli di donna fortemente passionale a personaggi ambigui, se non decisamente negativi, fra cui la prostituta di “Le cinque schiave” (1937) di Lloyd Bacon, la Davis ha oramai definito l’ambito psicologico in cui racchiudere i suoi personaggi e può permettersi anche bizzarre evasioni come nel dramma in costume “Il conte di Essex” (1939) di Curtiz, in cui interpreta nientemeno che la parte di Elisabetta I.

Si lascia con il primo marito, Harmon Nelson nel 1939, mentre il secondo, Artur Farnswort, muore nel 1943.

Gli anni in cui raccoglie a piene mani i frutti della sua popolarità sono tutti gli anni ‘40, nei quali la Davis, in veste di donna fatale e “allucinata", continua a ricevere critiche favorevoli e a conquistare candidature all'Oscar.

Gira “Ombre malesi” nel 1940 e “Piccole volpi” nel 1941 con Wyler e “In questa nostra vita” nel 1942 con Houston.

Ha un breve momento di appannamento, coincidente con un altro sfortunato matrimonio con William Grant Sherry e la nascita della figlia: infarti il 1°maggio del 1947, a trentanove anni, Bette dà alla luce una bambina, Barbara Davis Sherry, chiamata affettuosamente “B.D.".

Ma, dopo aver saputo che non potrà mai più avere dei figli, si rimette al lavoro.

La nostra torna così alla ribalta col noir “Peccato” (1949), di King Vidor, e soprattutto con “Eva contro Eva”, capolavoro di Joseph L. Mankiewicz e sottile autoanalisi del mestiere di attrice, grazie al quale ottiene una nomination all’Oscar.

Il film riceve complessivamente quattordici candidature all'Oscar e ne vince sei, inclusi quello per il miglior film dell'anno e quello per la migliore regia.

Ma per quanto riguarda quello di migliore attrice protagonista, le rivali della Davis quell'anno sono troppe: il premio viene dato ad una giovane attrice comica, Judy Holliday, per l’interpretazione di “Born Yesterday”.

L’ennesimo divorzio è contraddistinto da forti ripensamenti e la Davis inizia seriamente a valutare l’idea di rimanere sola.

Ma il 28 luglio del 1950, Bette sposa il suo collega Gary Merrill, con il quale gira alcuni film di poco rilievo (“La fossa dei peccati”, “Telefonata a tre mogli”, etc.).

Il secondo film che in quel periodo ha notevole successo di critica, è “La Diva” (1952), di Stuart Heisler, che dà alla Davis la possibilità di interpretare una vecchia stella che fa di tutto per tornare alla ribalta.

Per il ruolo era stata scelta l’odiata Joan Crawford che, invece, accetta la parte di protagonista in “Sudden Fear”.

Probabilmente la rivalità fa sì che la Davis metta tutta se stessa nella parte, conquistando le lodi del Times e un'ennesima candidatura all'Oscar.

Verso la fine degli anni cinquanta, adotta due bambini con il marito Gary e inizia una serie di tournee teatrali, visto che erano più di vent'anni che non saliva su un palcoscenico.

Di questo periodo si ricorda il thriller “Il capro espiatorio” (1959), con Alec Guinness, di Robert Hamer

Il 6 luglio del 1960, l'attrice divorzia pure da Merrill per una serie d'incomprensioni e torna ad essere indipendente, ma con tre figli a carico.

Dopo la morte di sua madre, avvenuta per un infarto agli inizi del 1961, la Davis gira il mieloso ma divertente: “Angeli con la pistola”, di Frank Capra.

A corto di proposte interessanti, fa pubblicare su un giornale un ironico annuncio in cui si propone per dei ruoli, come fosse una debuttante…

Accetta di fare la parte della “pazza” Jane Hudson con la sua rivale di sempre, Joan Crawford, nel capolavoro di Aldrich “Che fine ha fatto Baby Jane?”, forse il ruolo più iconico e “perfetto” della sua insuperabile carriera.

La grottesca, spaventosa ex-diva bambina, malata di mente, che sottopone a continue angherie la sorella disabile (ma niente è come sembra…) è una parte che non si dimentica facilmente..

Questo morboso thriller gotico consegue un notevole successo di critica e d'incassi, tanto da far candidare ancora una volta la Davis all'Oscar.

L'odio nascosto e represso tra le due dive ormai attempate, che già aveva funestato le riprese di “Baby”, non permette certo la durata della loro partneship lavorativa, neanche quando ad entrambe viene proposto di recitare nuovamente insieme nell’angosciante “Piano…piano, dolce Carlotta” (1964), sempre di Aldrich, che deve essere terminato da Olivia De Havilland a causa di una lite molto accesa tra le due prime donne.

La nostra trova il tempo per venire in Italia dove gira “La noia” (1963), di Damiano Damiani, tratto (maluccio) dal romanzo di Moravia.

Interpreta poi due gemelle nel thriller “Chi giace nella mia bara?” (1964), di Paul Henreid e una perfida tata in “Nanny, la governante” (1965), di Seth Holt.

Dopo una serie di relativi insuccessi, tra cui il thriller “L'anniversario (1968), diretto da Roy Ward Baker, trascorre molto del suo tempo a casa con i bambini a scrivere la sua biografia, aspettando che le venga proposto qualcosa di decente.

Il suo ruolo più bello è quello della perfida giocatrice di carte nell’amarissimo “Lo scopone scientifico” (1972), di Luigi Comencini, accanto ad Alberto Sordi (leggendari gli scontri sul set fra la Davis e l’Albertone nazionale).

Inizia a prendere parte ad una serie di film per la televisione (soprattutto di genere horror) e anche se malata, continua ad usare la sua “verve” d'attrice per “alzare di livello” film, spesso, mediocri.

Si ricordano il ruolo di una specie di Fu Manchu al femminile in “Agente segreto al servizio di Madame Sin” (1972), di David Greene, l’horror “Ballata macabra” (1976), di Dan Curtis, il fantascientifico “Ritorno dall'ignoto” (1978), di John Hough, il giallo tratto da Agatha Christie “Assassinio sul Nilo” (1978), di John Guillermin, l’horror “Gli occhi del parco” (1980), di John Hough, prima produzione Disney nel campo del terrore (e infatti ebbe diversi problemi in fase di produzione…)

La nostra torna al successo, dopo una serie di ricoveri e operazioni gravi, nel 1987, con lo struggente “Le balene d'Agosto” di Lindsay Anderson, assieme ad un cast eccezionale: Lillian Gish, Vincent Price, Mary Steenburgen e Ann Sothern.

Trasferitasi in Francia con le figlie, nel 1988 partecipa ancora a un film, “Strega per un giorno”, di Larry Cohen, nel ruolo di Miranda, una vecchia megera.

La divina muore all'età di 81 anni per un male incurabile in ospedale il 6 ottobre 1989.

Solo due giorni prima dalla morte, aveva ritirato il premio alla carriera al Festival di San Sebastiano.

Di solito quando muore una divinità succedono fatti straordinari: poco più di un mese dopo, il 9 novembre, crollerà il Muro di Berlino…

Sarà un caso?

Onore a Bette Davis!

“Il momento migliore che ho passato con Joan Crawford è stato quando l’ho buttata per le scale”

Bette Davis

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