Domanda a bruciapelo: qual è la doccia più famosa del cinema?
Già sappiamo che molti di voi sono degli sporcaccioni impenitenti e risponderanno (al plurale) “quelle della Fenech”!
Purtroppo, cari amici dei Mutzhi Mambo, stavolta vi dobbiamo contraddire!
Pur amando anche noi le grazie insaponate della nostra Edwige, la doccia più famosa è senza dubbio quella che la bellissima JANET LEIGH ha la sventura di farsi nella camera del Bates Motel, prima di essere macellata con un coltello da cucina.
Avete capito, si sta parlando del capolavoro di Alfred Hitchcock “Psyco” e di una delle scene più tremende della storia della Settima Arte.
E davvero, gran parte del pathos della sequenza lo dobbiamo, oltre alla indubbia genialità delle riprese e del montaggio del “maestro del brivido”, alla bravura di Janet Leigh, che è riuscita nella non facile impresa di comunicare tutta la tensione e il terrore della violentissima scena.
Scena che, in realtà, non mostra niente di esplicitamente splatter ma l’urlo della Leigh, quando vede la lama, vale più di mille schizzi di sangue!
La Leigh è stata una delle più iconiche attrici degli anni ’50: bellezza aristocratica ma non priva di sex appeal, fisico longilineo, sguardo da gattona furbetta, Janet ha potuto dimostrare la sua bravura in vari generi di film, dalla commedia brillante, alle storie nere, dagli horror ai western.
Eppure non ha lavorato quanto avrebbe meritato: in realtà, pur essendo cosi bella e piuttosto brava, a ben vedere le pellicole memorabili a cui ha preso parte sono giusto un pugno.
Probabilmente quella breve ma intensa apparizione in “Psycho” le ha un po’ compromesso il prosieguo della carriera (come del resto lo fece al suo collega Anthony Perkins): un film così ti segna per sempre nel bene e nel male!
Addirittura, pare che la nostra Leigh non si sia più voluta fare una doccia dopo quella parte (speriamo che almeno il bagno, però…).
Più famoso della sua carriera cinematografica è sicuramente il suo matrimonio col simpatico Tony Curtis, da cui è nata la statuaria Jamie Lee, anche lei icona incontrastata del cinema “de paura”...
Peccato, perché in realtà, le carte la nostra c’è l’aveva tutte ma non sempre il successo è una questione di meriti…
Jeanette Helen Morrison nasce a Merced, in California, il 6 luglio del 1927, da una modesta famiglia di origini danesi che si sposta continuamente di casa in casa, e di città in città.
A 15 anni, fingendo di averne 18, scappa di casa e si sposa con un fidanzato in Nevada; ma il matrimonio viene annullato quattro mesi dopo.
Torna a casa e riesce a diplomarsi e, nel 1945, ha un gran colpo di fortuna: i suoi genitori lavorano come receptionist e come inserviente in un resort sciistico dove alloggia la diva di Hollywood Norma Shearer, che vede una sua fotografia, rimane colpita dal suo sorriso e le procura un provino con la casa di produzione MGM.
Nonostante non abbia alcuna esperienza con la recitazione, Janet ottiene un contratto da 50 dollari a settimana, e lascia quindi il college dove stava studiando per diventare psicologa.
All’inizio fa alcuni sceneggiati per la radio, ma nel giro di due anni esordisce nel suo primo film, il dramma ambientato durante la guerra di Secessione, “La cavalcata del terrore” (1947) di Roy Rowland, nel quale recita insieme a Van Johnson, una delle stelle della MGM durante la Seconda guerra mondiale.
All’inizio, per il film le assegnano il nome d’arte “Janet Leigh”, per poi tornare al suo vero nome (per via della somiglianza con Vivien Leigh): a lei però il nome d’arte piace, e decide di tenerlo comunque.
La sua carriera parte da subito con un ruolo centrale in una grande produzione e, dopo aver recitato in “Peccatori senza peccato” (1947), di Victor Saville, l’anno successivo replica con “Casa mia”, di Fred M. Wilcox, che ne fa una delle attrici emergenti più famose di Hollywood.
Sempre nel ’48 è protagonista del biopic musicale “Parole e musica”, di Norman Taurog, e del noir “Atto di violenza”, di Fred Zinnemann, mentre l’anno seguente la troviamo in ben 5 pellicole: “Piccole donne”, di Mervyn LeRoy, “Il Danubio rosso”, di George Sidney, “Il dottore e la ragazza”, di Curtis Bernhardt, “La saga dei Forsyte”, di Compton Bennett, e “Tu partirai con me”, di Don Hartman.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta lavora in un sacco di film, e diventa ancora più famosa per via del suo matrimonio del 1951 con Tony Curtis, allora a sua volta giovane e promettente attore già sulla strada per diventare una stella di Hollywood.
Compaiono insieme in quattro film, tra cui “Il mago Houdini” (1953), di George Marshall, “Lo scudo dei Falworth” (1954), di Rudolph Maté, e “In licenza a Parigi” (1958), di Blake Edwards (1958), ma divorziano nel 1962, mentre la Leigh sta girando il fanta-thriller “Va’ e uccidi”, di John Frankenheimer, con Frank Sinatra (sembra che il buon Tony non riuscisse proprio a non mettergli continuamente le corna…).
Di questo periodo citiamo il classico western “Lo sperone nudo” (1953), di Anthony Mann, con James Stewart, la commedia “Più vivo che morto” (1954), di Norman Taurog, il noir “Senza scampo” (1954), di Roy Rowland, l’epico “Il principe coraggioso” (1954), di Henry Hathaway, tratto l fumetto “Prince Valiant” di Hal Foster, il crime “Tempo di furore” (1955), di e con Jack Webb, la commedia “Mia sorella Evelina” (1955), di Richard Quine, con Jack Lemmon, l’avventuroso “I vichinghi” (1958), di Richard Fleischer, e il divertente “Chi era quella signora?” (1960), di George Sidney, con Dean Martin e Jerry Lewis.
Ma i due titoli più importanti sono il capolavoro noir “L'infernale Quinlan” (1958), di Orson Welles, e, naturalmente, “Psyco” (1960), di Alfred Hitchcock.
Nel film di Welles la nostra interpreta Susan, la moglie di Charlton Heston, ma la settimana prima che cominciassero le riprese si rompe un braccio, e si trova costretta a recitare mascherando l’arto con un cappotto e facendolo ingessare con un angolo di 45 gradi, invece che di 90.
In “Psyco”, il suo personaggio, la protagonista femminile Marion Crane, muore a circa un terzo del film, in una scelta allora inconcepibile che probabilmente si poteva permettere solo Hitchcock.
Ma in quel terzo c’è la scena dell’accoltellamento sotto la doccia, destinata a diventare tra le più famose di sempre nella storia del cinema anche grazie all’iconica colonna sonora di Bernard Herrmann (zin zin zin zin…).
Ci vogliono sette giorni e 70 telecamere per girare quei maledetti 45 secondi: la povera Leigh passa ore e ore sotto la doccia, che Hitchcock si assicura getti perlomeno acqua calda.
Leigh viene candidata all’Oscar per il film, che la fa entrare nella storia della celluloide ma le chiude le porte per future collaborazioni con Hitchcock.
Il regista inglese sa benissimo che se l’avesse utilizzata per altre pellicole, gli spettatori l’avrebbero immediatamente identificata con “Psyco”, quindi discorso chiuso.
E in realtà il discorso sembra chiudersi in generale per la nostra Leigh: non che abbia terminato qui la sua carriera, ma nulla di ciò che farà successivamente sarà minimamente paragonabile a “Psyco”.
Della filmografia successiva, vale la pena di ricordare il bel noir “Detective's Story” (1966), di Jack Smight, con Paul Newman, la commedia “3 sul divano” (1966), di Jerry Lewis, l’heist-movie “Ad ogni costo” (1967), di Giuliano Montaldo (1967), il monster-movie a base di conigli giganti ed assassini “La notte della lunga paura” (1972), di William F. Claxton,
Dalla seconda metà degli anni Settanta smette praticamente di fare cinema, comparendo solo in quattro film: in due di questi, gli horror “Fog” (1980), di John Carpenter e “Halloween 20 anni dopo” (1998), di Steve Miner, recita insieme a Jamie Lee Curtis, sua figlia minore diventata a sua volta una famosa attrice.
Un po’ più spesso si fa vedere in TV, recitando in serie come “Colombo”, “Ai confini della realtà”, “Il brivido dell’imprevisto”, “La Signora in Giallo”.
Nel frattempo la Leigh si era pure risposata con un broker, insieme al quale rimarrà fino alla sua morte, avvenuta il 3 ottobre del 2004 a 77 anni per vasculite, un’infiammazione dei vasi sanguigni.
La sua ultima apparizione, postuma, è nella commedia “Bad Girls” (2005), di John T. Kretchmer.
Anche se non è più tra noi, il suo urlo riecheggerà per sempre…
Onore a Janet Leigh!
“A volte ci gettiamo deliberatamente nella trappola.”
Marion Crane/Janet Leigh - Psyco