GUASCONI SI NASCE
Se la simpatia meritasse un Oscar, JEAN PAUL BELMONDO ne avrebbe fatto incetta!
Carismatico e brillante, incisivo, divertente e un po' guascone, Jean Paul Belmondo sarà ricordato per sempre come il duro dal cuore d'oro per eccellenza, protagonista di molti film in cui ha messo in mostra il suo fisico aitante ma anche la sua faccia deformata dai cazzotti e il suo sguardo costantemente ironico, unendo l'aspetto poco rassicurante del pugile di periferia all'aria sorniona del filosofo di strada.
Non a caso, cari amici dei Mutzhi Mambo, è stati definito "il brutto più affascinante del cinema francese", perché di fascino, Jean Paul ne aveva da vendere!
Ma non era solo una macchietta, destinata a divertire la platea degli amanti del cinema action di poche pretese che in lui vedevano il perfetto eroe proletario, e questo l'ha più volte dimostrato anche in splendidi ruoli drammatici.
Scoperto e amato nell'ambito della pallosissima "Nouvelle Vague", Belmondo (detto Bébel) ha privilegiato i ruoli del delinquente o dello sbirro simpatico e scanzonato, che affronta la vita nei modi più spericolati affidandosi quasi esclusivamente alla dinamicità del suo corpo, asciutto ed energico (tanto che ha sempre disdegnato l'uso di controfigure), e a una recitazione fortemente mimica.
A lungo fu visto come complementare rispetto all'altro grande divo francese di quel periodo, Alain Delon con cui instaurò una celebre quanto pubblicizzata rivalità: Delon bello, tenebroso e impossibile, simbolo di perfezione estetica, per quanto velata di inquietudine, il nostro dall'irresistibile fascino macho, solare, terra-terra, magari più rozzo ma non per questo meno amato dal pubblico femminile.
In comune hanno avuto il fatto di essersi sempre divisi tra il cinema d'autore e quello commerciale di genere.
Nel primo filone Belmondo può vantare, oltre alla collaborazione con grandi registi quali Vittorio De Sica, François Truffaut e Alain Resnais, i suoi celebri ruoli nei film di Jean-Luc Godard, che hanno permesso al nostro di impersonare il perfetto contraltare francese degli eroi del cinema noir statunitense.
Sul secondo versante, l'attore, che non ha quasi mai varcato professionalmente i confini francesi, è stato diretto soprattutto da professionisti un po' incolori come Jacques Deray, Philippe de Broca e Henri Verneuil, con i quali ha messo in scena il prototipo popolare di poliziotto duro e sbrigativo, o di delinquente atletico e un po' ruvido, ricco comunque di doti umane.
Peccato che nel momento giusto gli sia mancato il coraggio (o l'occasione) di affrontare quei ruoli più cinici o truci che noi amiamo tanto e che l'avrebbero definitivamente proiettato nell'empireo del Pulp.
La stoffa, siamo sicuri, ce l'aveva, la faccia anche e il fisico pure...
Vabbé, pazienza, gli vogliamo bene lo stesso!
Jean Paul Belmondo nasce a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile del 1933, figlio di Paul Belmondo, un noto scultore di origini italiane titolare di una cattedra presso l'Accademia di Belle Arti, e di Sarah Rainaud-Richard, una pittrice francese.
Dopo un'adolescenza turbolenta e un tentativo di dedicarsi al pugilato (il naso schiacciato rimarrà un suo indelebile segno di riconoscimento), si iscrive al Conservatoire national supérieur d'art dramatique di Parigi, per poi abbandonare il teatro in favore del cinema, dopo aver comunque recitato in classici come "L'avaro" di Molière e "Cyrano de Bergerac" di Rostand.
L'esordio cinematografico avviene nel 1956 con il cortometraggio "Molière" di Norbert Tildian.
Tra il 1957 e il 1958 appare in diverse commediole di carattere giovanilistico, tra cui "Peccatori in blue jeans" (1958) di Marcel Carné, e "Fatti bella e taci" (1958), di Marc Allégret, che si segnala perché appare anche il suo futuro collega/rivale Alain Delon.
La svolta della carriera si ha con una delle prime opere della famigerata Nouvelle Vague, il drammatico "A doppia mandata" (1959) di Claude Chabrol, dove interpreta László Kovács, personaggio ai limiti della legalità, cialtrone e sfrontato, che non solo anticipa un po' il futuro stereotipo di Belmondo, ma che egli stesso riproporrà, con lo stesso nome ma con tratti più sfaccettati e complessi, nel film d'esordio di Jean-Luc Godard, "Fino all'ultimo respiro" (1960), il manifesto definitivo della "Nuova Onda" francese.
In questo noir sui generis, girato in stile innovativo e minimalista, Jean Paul si presenta sin dall'inizio come un bizzarro delinquente, tanto disinvolto nell'esprimere i propri pensieri con lo stile degli slogan pubblicitari quanto capace di sparare a bruciapelo a un poliziotto.
Fatta eccezione per episodi isolati, quali "Lettere di una novizia" (1960), di Alberto Lattuada, dove Belmondo ha la parte di un amante di una vedova e di sua figlia novizia in un convento, "La ciociara" (1960) di Vittorio De Sica, in cui interpreta un intellettuale occhialuto, "La viaccia" (1961), di Mauro Bolognini, nel ruolo di un giovane scapestrato che si innamora di una prostituta, e "Léon Morin, prete" (1961), di Jean-Pierre Melville, dove indossa i panni di un sacerdote, l'attore troverà nel "personaggio" delineato nei film di Chabrol e Godard, la maschera a lui più congeniale, che saprà adattare in diverse occasioni.
Dai noir come "Moderato cantabile" (1960), di Peter Brook, "Quello che spara per primo" (1961), e "Scappamento aperto" (1964), entrambi di Jean Becker, "Asfalto che scotta" (1960) di Claude Sautet, "Lo spione" (1963), e "Lo Sciacallo" (1963), entrambi di Melville, "Rapina al sole" (1965), di Jacques Deray, fino alle commedia d'azione come "Buccia di banana" (1963), di Marcel Ophüls, "Cartouche" (1962), "L'uomo di Rio" (1963), e "L'uomo di Hong Kong" (1964), di Philippe de Broca, "100.000 dollari al sole" (1964), di Henri Verneuil, "Il ladro di Parigi" (1967), di Louis Malle.
Ci sono poi le commedie come il bizzarro e parodistico "Confetti al pepe" (1963), di Jacques Baratier, e una serie di pellicole leggere girate dalle nostre parti, come "Mare matto" (1963), di Renato Castellani, con Gina Lollobrigida, e "Il giorno più corto" (1963), di Sergio Corbucci, con tutto il gotha della commedia all'italiana: da Totò a Raimondo Vianello, da Franco e Ciccio a Ugo Tognazzi, da Eduardo e Peppino De Filippo a Walter Chiari...
Ma è soprattutto il sodalizio con Godard che fisserà il cliché di Belmondo, connotandolo di una vena ironica e anticonformista, e consentendogli di delineare uno stile che l'attore avrebbe fatto completamente suo successivamente, nell'ambito del cinema di genere.
Oltre al già citato film d'esordio del regista, il nostro lavorerà con Godard in "La donna è donna" (1961), e ne "Il bandito delle undici" (1965), un viaggio metacinematografico e letterario in cui Jean Paul, dimostrando ammirevoli qualità atletiche e canore, passa attraverso citazioni e personaggi, non tanto recitando un ruolo, ma esibendo la finzione stessa della recitazione.
Nel 1963 pubblica pure un'autobiografia, "Trente ans et vingt-cinq films".
Nella seconda metà degli anni '60, si segnalano il bellico "Parigi brucia?" (1966), di René Clément, il poco riuscito tentativo di parodizzare la celebre spia "James Bond 007 - Casino Royale" (1967), di Val Guest, Ken Hughes, John Huston, Joseph McGrath e Robert Parrish, il crime italiano "Criminal Face - Storia di un criminale" (1968), di Robert Enrico, il drammatico "Un tipo che mi piace" (1969), di Claude Lelouch, il divertente "Il cervello" (1969), di Gérard Oury, il noir "La mia droga si chiama Julie" (1969), di François Truffaut, tratto da un romanzo di Cornell Worlich.
La consacrazione del pubblico arriva con lo scanzonato "Borsalino" (1970) di Jacques Deray, a fianco di Alain Delon, film sulla malavita marsigliese degli anni Trenta.
Insieme all'antagonista Alain Delon e a Jean-Louis Trintignant, Belmondo farà parte della sacra "trimurti" del thriller e del poliziesco francese degli anni '70: grazie a un duro allenamento, il nostro mette su un vero fisicaccio che gli permette di rilanciarsi come divo del cinema d'azione.
"Il clan dei marsigliesi" (1972), di José Giovanni, "L'erede" (1973), e "Lo sparviero (1976), di Philippe Labro, "Il Polizitto della brigata criminale" (1975), e "Il cadavere del mio nemico" (1976), di Henri Verneuil, "L'animale" (1977), di Claude Zidi, "Poliziotto o canaglia (1979), e "Joss il professionista" (1981), di Georges Lautner, "Professione: poliziotto" (1983), di Jacques Deray, sono alcuni titoli di quel periodo, con i quali Belmondo è riuscito a diventare il duro per eccellenza del cinema francese, anche se imbriglierà la sua carriera in un unico ruolo, per quanto declinato con bravura e professionalità.
È talmente calato nel "suo" personaggio, da potersi permettere di cimentarsi nella parodia di sé stesso, come in "Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo" (1973) di de Broca, anche se non disdegna prove d'autore come "Stavisky il grande truffatore" (1973), di Resnais, e "Trappola per un lupo" (1972), con cui torna a lavorare con Claude Chabrol.
L'identificazione con il cinema d'azione e con un unico personaggio, quando l'età per fare il superatletico sbirro ormai è tramontata, si traduce per il nostro in un drastico calo di lavoro negli anni '80, e in una progressiva trasformazione dei ruoli negli anni '90.
Inizia a scegliere parti più mature, lontane dal suo standard, come nel crepuscolare "Una vita non basta" (1988), e ne "I miserabili" (1995), entrambi di Claude Lelouch, nella commedia nostalgica "Uno dei due" (1998) di Patrice Leconte, in cui è nuovamente in coppia con Delon per una storia di sessantenni alla ricerca della figlia perduta.
Dal 1987 riprende inoltre l'attività teatrale con diverse performances; si ricordano, tra le altre, le interpretazioni di "Kean" di Dumas padre e di "Cyrano de Bergerac", di Rostand, diretto da Robert Hossein, con cui riscuote un grande successo.
Un'ischemia cerebrale che lo colpisce nel 2001, lo tiene lontano dal grande schermo fino al 2008, quando torna a recitare come protagonista nel remake transalpino di "Umberto D.", per la regia di Francis Huster.
Ha tre figli: Paul Alexandre (ex pilota automobilistico) e Florence, avuti dalla prima moglie, la ballerina Elodie Constantin (dalla quale era nata anche Patricia, morta nel 1994 in un incendio); e Stella, avuta dalla seconda moglie Natty Tardivel
Il 18 maggio del 2011, Belmondo riceve la Palma d'Oro alla Carriera al Festival di Cannes e nel 2016 il Leone d'Oro, sempre alla carriera, alla Mostra del Cinema di Venezia.
Premi sacrosanti anche se tardivi, per omaggiare a dovere un vecchio leone del grande schermo!
Tanti auguri, Jean Paul!
"Posso non essere un modello da seguire ma certo sono un combattente nato"
Jean Paul Belmondo