IL NOBILE CAMALEONTE BIANCO
A volte capita di prendere sonore cantonate, cari amici dei Mutzhi Mambo, di dover ammettere i propri sbagli di giudizio, di riconsiderare le proprie scelte…
La morte di DAVID BOWIE per noi è stato proprio uno di questi momenti di crisi, in cui il dubbio si è insinuato e le nostre certezze si sono sfaldate…
Premesso che a noi David Bowie ci stava simpatico come una zanzara notturna nell'orecchio (troppo "prima donna" era, troppo elegante, troppo modaiolo, troppo snob, troppo sofisticato, troppo mainstream...), dobbiamo invece ammettere che la sua scomparsa ci ha posto davanti ai nostri limiti: in realtà siamo caduti come polli nel suo gioco perverso e lo abbiamo sempre considerato come lui voleva farsi considerare.
Un personaggione, volutamente o meno odioso, prima che un autore, un musicista.
E invece come autore e musicista è stato davvero un genio, un fottuto genio del rock'n'roll!
Non che abbia mai trascurato questo lato, anzi!, ma il cliché che David Bowie si è cucito addosso era quello di essere un "camaleonte musicale", un furbacchione capace di adattarsi a seconda della moda e le tendenze in voga.
Certo, non si può negare che Bowie abbia dimostrato una notevole abilità nel percepire (e talvolta anticipare) le novità musicali e di costume che via via si succedevano, adattando di volta in volta la sua produzione (nonché il suo look) a quello che il mercato richiedeva ma ha sempre offerto una versione personale, eccentrica, nel bene e nel male "d'autore", di quello che si definirebbe, lo "spirito del tempo".
Mettendo talvolta in secondo piano quello che invece era il suo massimo talento: quello di essere un songwriter eccezionale e un vero rocker di razza!
Ha saputo attraversare in modo brillante diverse fasi (mod, hippie, freak, protopunk, glam, dandy, popstar, neo-crooner) con invidiabile nonchalanche e senza mai rinunciare ad una peculiare coerenza di fondo, sottilmente underground e genuinamente anticonformista (anzi, sdoganando e imponendo come conforme ciò che conforme non era).
Anche quando era fuori moda, perso ad inseguire la moda, negli anni '80 e '90, è sempre rimasto uno dei musicisti più influenti del rock, nel bene e nel male.
Inizialmente paladino del mod e del freak style, per poi passare convintamente al glam più eccessivo, in ognuna delle sue fasi degli anni '70 ha dato poi il "la" ad una serie di sottogeneri anche in (apparente) antitesi fra loro, tra cui il punk, la new wave, il goth rock, il new romantic, il synth-pop fino alla dance e alla musica elettronica.
Pochi, pochissimi rocker possono vantare un impatto così duraturo…
Chiaramente, non tutto quello che ha fatto ci piace e soprattutto ci ha irritato la sua smania di fare l'artista a tutti i costi o meglio, di imporre il rock come forma d'arte, correndo a volte il rischio di scivolare nel barocco o nello sterile intellettualismo o addirittura nell'autoreferenzialità.
La sua ossessione di concepire il rock come "arte globale", aprendolo alle contaminazioni col teatro, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive, non era un tentativo di annullare il confine tra cultura di serie A e serie B (come diversi lo hanno interpretato) bensì di portare il rock in serie A, tradendo in fondo le origini popolari di questo genere.
Fortunatamente lui era così bravo da rimanere comunque ancorato alla musica popolare, scrivendo e interpretando dei pezzi bellissimi, al di là degli snobismi, del "famolo strano" dei narcisismi...
Inoltre, non foss'altro che per il merito di aver salvato la carriera (e probabilmente la vita…) a gente come Lou Reed e Iggy Pop, non vivremmo a sufficienza per riuscire ringraziarlo abbastanza!
David Robert Jones (così all'anagrafe) nasce nel sobborgo londinese di Brixton, l'8 gennaio del 1947.
La famiglia è una tipica della middle-class britannica: il padre è impiegato e la madre lavora come cassiera presso un cinema.
La mamma ha già un figlio dal primo matrimonio, Terry, un ragazzo "ribelle" appassionato di beat generation che influenzerà non poco il giovane David.
Purtroppo è pure malato di schizofrenia: sarà ricoverato per parecchi anni in un ospedale psichiatrico e morirà suicida nel 1985.
Questa patologia mentale del fratellastro rappresenterà a lungo un'ossessione per il nostro, che vivrà sempre con la paura di impazzire a sua volta.
Inizia a cantare nel coro della chiesa e gli regalano un sassofono nel 1959.
David si rivela da subito un ragazzino inquieto: iscritto alla Technical High School per diventare grafico pubblicitario, un giorno, all'uscita da scuola, si ritrova a fare a botte per colpa di una ragazza, con l'amico George Underwood, che gli molla un cazzotto nell'occhio sinistro.
Questo episodio lo segnerà per sempre: si guadagna una lesione alla pupilla che assumerà un definitivo colore rossastro, donandogli quell'aria "aliena" che sarà uno dei suoi segni distintivi.
Da questo momento, i ragazzi del quartiere inizieranno a chiamarlo "red orb".
Intanto le anfetamine girano a fiumi, inizia ad impazzare la "Swingin' London" e ad infuriare la "British Invasion": in giro può capitare di veder suonare i Beatles, i Rolling Stones, i Pink Floyd, gli Who, gli Animals, gli Yardbirds (tanto per dire…).
Il giovane David ne è naturalmente affascinato: sogna di diventare il nuovo Little Richard, suo idolo fin da bambino e, mentre lavora nel commercio, suona il sassofono in diverse band mod, tra cui i Manish Boys (in cui gravita anche Jimmy Page come session man), The Konrads, King Bees e Buzz.
Pubblicano anche dei singoli, che vengono generalmente ignorati, eppure il nostro continua imperterrito ad esibirsi, cambiando il suo cognome in Bowie nel 1966 dopo che Davy Jones dei Monkees è diventato una star internazionale e il manager consiglia a David di cambiare con un soprannome ispirato al coltello "bowie-knife".
Nel corso del 1966, pubblica tre singoli di beat in stile mod per la "Pye Records", senza alcun successo.
L'anno seguente, firma con la "Deram", ma l'avventura solista stenta a decollare: Bowie non sa ancora decidersi tra il folk britannico o alla Bob Dylan, le tentazioni psichedeliche californiane e il revival rhythm'n'blues.
Ne esce un album d'esordio a suo nome piuttosto acerbo, vittima delle contraddizioni e della difficoltà a trovare un registro personale, anche se dimostra di avere stoffa.
Dopo aver completato il disco, trascorre diverse settimane in un monastero buddista scozzese.
Una volta uscito dal luogo di meditazione, si mette a studiare le tecniche di mimo con Lindsay Kemp, formando poi la sua compagnia, i Feathers, nel 1969.
I Feathers avranno vita breve e nel 1969 il nostro fonda il gruppo artistico sperimentale "Beckenham Arts Lab".
Nel 1969 riedita un pezzo che aveva già registrato," Space Oddity", con gli arrangiamenti sinfonico-psichedelici di Paul Buckmaster, sfruttando la pubblicità gratuita delle celebrazioni del primo sbarco sulla Luna.
Sarà la prima seria ballata a tema sci-fi della storia del rock e la capostipite del filone fantascientifico che una costante nel repertorio del cantante inglese.
Il successo della canzone sarà tale da spingere Bowie a seguire una prassi piuttosto come in questo periodo: realizzare versioni del pezzo in altre lingue, tra cui l'agghiacciante "Ragazzo Solo, Ragazza Sola", con il testo firmato con la mano monca da Mogol, per il mercato italiano.
Il 33 giri omonimo viene originariamente pubblicato nel 1969 come "Man Of Words/Man Of Music" e riedito tre anni dopo col titolo del singolo; fra dolci ballate, suggestioni folk e sferzate punk ante-litteram, il disco non raggiunge ancora il livello qualitativo degli album che verranno.
Intanto, i "dudes", i tipi freakkettoni che vanno a giro vestiti in modo sempre più sgargiante ed eccentrico, stanno sostituendo gli hippy tutti pace, ammmore e pidocchi, mettendo in primo piano le esigenze individualiste e libertarie dell' "apparire" più che dell' "essere"; quindi pane per i denti del nostro Bowie...
Nel 1970, oltre a sposarsi con l'americana Angela Barnett (matrimonio che durerà un decennio, e che regalerà a David il figlio Zowie), col bassista/produttore Tony Visconti, il bravissimo chitarrista Mick Ronson e il batterista Cambridge forma il quartetto degli Hype, smaccatamente influenzati dai T-Rex di Marc Bolan.
La band si scioglie rapidamente, ma parte del materiale che suonano confluirà nel bellissimo "The Man Who Sold The World" (1970), album che segna l'avvio della stagione migliore di Bowie, che naturalmente si concretizzerà con il suo celeberrimo alter ego "Ziggy Stardust".
Ziggy è la maschera che mischia tutti gli stereotipi del rock (Jim Morrison, Mick Jagger, Lou Reed e quant'altri) ma anche personaggi più improbabili, come The Legendary Stardust Cowboy, il bizzarro rocker americano che ispirerà il nome del personaggio di Bowie, e Vince Taylor, un cantante inglese di rock'n'roll dalla vita drammatica che il nostro citerà proprio come diretta ispirazione della sua "creatura"; tutti ulteriormente esagerati e deformati dalla lente grottesca del glam.
Inoltre, per quanto innumerevoli altri rocker avessero ammiccato al pubblico gay (basti pensare a Mick Jagger o Lou Reed…), con Bowie che, pur essendo sposato, si dichiara apertamente e tranquillamente omosessuale, per la prima volta, il rock si libera davvero di ogni barriera di genere.
La sessualità con Ziggy perde il suo appeal "macho" e diviene un argomento sofisticato, un fattore "alieno", lascivo e indefinito.
Ma della produzione del periodo Stardust ce ne occuperemo nell'Almanacco che dedicheremo a Mick Ronson ed è superfluo parlarne ora.
Arriviamo dunque al 1973, un anno bestiale per il nostro: oltre a chiudere col personaggio di Ziggy e a sciogliere gli Spiders From Mars, produce pure due dischi storici come "Transformer", di Lou Reed, e "Raw Power", degli Stooges.
Nel primo caso si tratta di un capolavoro assoluto che non è invecchiato di un solo giorno dalla pubblicazione, nel secondo però la sua produzione fa cacare e snatura il ruvido e incendiario sound della band di Detroit ma il nostro ha almeno il merito di aver dato un'altra chance al gruppo di Iggy e soci, permettendogli di registrare un disco che comunque sia rimane un capolavoro.
Sempre lo stesso anno, regala anche ai Mott the Hoople la super hit "All the Young Dudes", e gli produce il disco.
Dopodiché si ritira dai riflettori per lavorare su un adattamento musicale del "1984" di George Orwell, ma venendogli negati i diritti, trasforma il materiale nell'album "Diamond Dogs" (1974), che ottiene recensioni generalmente scadenti, ma vanta un singolo di successo come "Rebel Rebel" e un tour di supporto in America molto elaborato e costoso.
Mentre il tour progredisce, Bowie rimane sempre più affascinato dalla musica funky, rhythm'n'blues e della nascente disco-music del Philadelphia Sound, e riadatta l'intero spettacolo affinché rifletta la sua nuova "Plastic Soul".
Assume il chitarrista Carlos Alomar come leader della band, rimodella il suo gruppo facendolo diventare band R'n'B, e si ripropone in versione sofisticata ed elegante.
Il cambiamento sorprende i fan, così come il doppio album "David Live", che contiene il materiale registrato nel tour del 1974.
"Young Americans", pubblicato nel 1975, rappresenta l'apice dell'ossessione di Bowie per il soul e il funky, e diventa il suo primo grande successo "crossover", raggiungendo la Top Ten americana e grazie al traino della sua prima hit che arriva al numero uno in classifica, "Fame".
Bowie si trasferisce a Los Angeles, dopo aver ottenuto il suo primo ruolo da protagonista nel film di Nicolas Roeg "L'uomo che cadde sulla terra" (1976).
Mentre si trova a L.A., passa uno dei periodi più brutti della sua carriera: la dipendenza dalla "neve" è sempre più forte, le paranoie sono ormai ingestibili, tanto che si isola spesso e volentieri, il matrimonio va a rotoli.
In questo clima febbricitante, registra "Station to Station", che porta la "plastic soul" di "Young Americans" in direzioni più oscure e avanguardiste, influenzate dall'occultismo e la mitologia nazi come dall'elettronica dei Kraftwerk, ma sarà comunque un enorme successo, con in testa il singolo "Golden Years".
L'album dà il battesimo al nuovo alter ego del nostro, il controverso e elegantissimo "Thin White Duke", il "Duca Bianco", che riflette la crescente paranoia e lo stato socialmente confusionale di Bowie, alimentati dai fiumi di cocaina che si sniffa.
Presto, decide che Los Angeles è troppo "noiosa" (?) e se ne torna in Inghilterra, dove da poco arrivato a Londra, si mette a salutare la folla di fans in attesa col saluto romano: il gesto, a suo dire, era ironico, provocatorio (di solito, dicono tutti così…), ma è un segnale inequivocabile della sua crescente esaltazione tossica e la gente non lo prende benissimo...
L'incidente causa enormi polemiche e Bowie lascia il paese per stabilirsi a Berlino (location perfetta per il suo mood dandy-decadente-postmoderno), insieme ad Iggy Pop, dove incontra Brian Eno e comincia fra fai due una proficua collaborazione.
Una volta a Berlino, Bowie si risveglia dallo stordimento tossico (o forse cambia semplicemente spacciatori…) e inizia a dipingere, oltre che a studiare arte.
Approfondisce anche il fascino morboso per la musica elettronica tedesca, che Eno aiuta ad innestare nella sua produzione, a partire dal loro primo album insieme, "Low".
Pubblicato all'inizio del 1977, "Low" si rivela una miscela sorprendente di elettronica, pop e tecno d'avanguardia.
Nonostante venga accolto con recensioni contrastanti, si rivelerà uno degli album più influenti della fine degli anni '70, vera pietra angolare del nascente movimento new wave.
Anche il suo seguito, "Heroes", che esce lo stesso anno, acquisterà subito una fama di culto.
Nel '77, anno della rivoluzione punk, Bowie non solo incide questi due fondamentali dischi da solista, che già "superano" il punk nell'anno della sua esplosione, e danno le direttive della musica rock a venire, ma si occupa anche del ritorno in grande spolvero dell'amico Iggy Pop, producendo i fondamentali "The Idiot" e "Lust for Life", a cui partecipa, non accreditato come tastierista.
Sempre lo stesso anno riprende la sua carriera di attore, apparendo in "Just a Gigolo", bizzarro film con Marlene Dietrich e Kim Novak, oltre ad essere il narratore in una nuova versione di "Pierino e il Lupo", diretta da Eugene Ormandy.
Tornato sul palco nel 1978, lancia un tour internazionale che verrà catturato nel doppio album "Stage".
Nel 1979, Bowie e Eno registrano il terzo disco della loro "trilogia" pop-elettronica di Berlino, "Lodger" che viene lanciato da diversi video innovativi: giudicato più debole dei due precedenti, per le sue concessioni ad un ascolto più "maistream" e alle influenze world music, rimane comunque un album fondamentale.
"Scary Monsters" (1980) è l'ultimo album di Bowie per la RCA, e di fatto conclude il suo periodo più innovativo e produttivo.
Vanta la collaborazione alle chitarre di Robert Fripp, Pete Townshend e Tom Verlaine, ed è considerato un must per il successivo sviluppo del famigerato movimento "new romantic".
Si prende poi un lungo preriodo di riflessione dalla musica per dedicarsi ad altri interessi, soprattutto il cinema.
Nel 1980, interpreta il ruolo principale nella produzione teatrale di "The Elephant Man", esibendosi in diversi spettacoli a Broadway e vincendo dei premi; appare poi in "Christiane F" (1981), di Uli Edel, nell'erotico/vampiresco "Miriam si sveglia a mezzanotte" (1982), di Tony Scott, e nel drammatico "Furyo" (1983), di Nagisa Ōshima, tornando in studio solo per la sua collaborazione nel 1981 con i Queen, "Under Pressure", e per il tema del remake di Paul Schrader de "Il Bacio della Pantera" (1983).
Nel 1983, firma un ricco contratto con la EMI Records e pubblica il commercialissimo "Let's Dance", per il quale recluta il chitarrista degli Chic, Nile Rodgers, alla produzione, che darà al disco una elegante base disco-funky; alle chitarre viene assunto un ancora sconosciuto Stevie Ray Vaughan.
"Let's Dance", pur essendo una mezza ciofeca, diventa il suo disco di maggior successo, grazie ai video sofisticati e innovativi girati per "Let's Dance" e la cover di una vecchia collaborazione con Iggy Pop, "China Girl".
Accolto da un immediato, enorme successo per la prima volta, Bowie rimane spiazzato sul come reagire, e alla fine decide di replicare lo stile "Let's Dance" con "Tonight" del 1984, scritto a quattro mani con Iggy Pop, altro album ultracommerciale e poco riuscito.
Mentre l'album vende bene, soprattutto grazie alla hit "Blue Jean", riceve recensioni pessime ed è una vera delusione per i fan che iniziano a chiedersi se David non sia già "bollito".
Nel 1985, registra solo un duetto con Mick Jagger del pezzo di Martha & the Vandellas, "Dancing in the Street", con per il "Live Aid".
Ma sembra interessarsi più al jet-set, apparendo in eventi mondani in tutto il mondo, e appare in diversi film: la commedia "Tutto in una notte" (1985), di John Landis, il musical "Absolute Beginners" (1986), di Julien Temple (di cui firma anche il bel pezzo della colonna sonora), il fantasy "Labyrinth" (1986), di Jim Henson, il controverso "L'ultima tentazione di Cristo" (1988), di Martin Scorsese.
Bowie torna a registrare nel 1987 con "Never Let Me Down", sostenuto dal leggendario tour "Glass Spider".
Il disco è un altro passo falso del nostro, vende meno dei precedenti e riceve recensioni negative.
Nel 1989 rimasterizza il suo catalogo e intraprende il tour "Sound + Vision", annunciando che sarà l'ultima occasione per il pubblico di vederlo eseguire le sue vecchie hit che ha deciso di ritirare dalla scaletta dei prossimi concerti.
Il prossimo progetto di Bowie è forse il suo più coraggioso ed insieme infruttuoso.
Prendendo spunto dall'abrasivo e dissonante rock di Sonic Youth e Pixies, Bowie riunisce i ruvidi Tin Machine, con il chitarrista Reeves Gabrels, e i fratelli Sales, il bassista Hunt ed il batterista Tony, che in precedenza avevano lavorato al disco di Iggy Pop "Lust for life".
Pubblicano un album omonimo che venderà abbastanza bene (considerando la natura assolutamente non commerciale del progetto) che però verrà recensito tiepidamente: il tour nei club di supporto avrà un discreto successo, e permetterà ai fan di vedere Bowie in una inedita dimensione, molto più sobria e defilata.
Nonostante il modesto successo, nel 1991 i Tin Machine pubblicano un secondo album, intitolato, manco a dirlo, "Tin Machine II", e un disco live, che vengono completamente ignorati da tutti.
Intanto David torna anche sul grande schermo con la commedia "The Linguini Incident" (1991), di Richard Shepard, sul cui set conosce la modella Iman che sposerà l'anno successivo, e il visionario prequel di "Twin Peaks", "Fuoco cammina con me" (1992), di David Lynch.
Nel 1993, Bowie torna alla carriera solista con il sofisticato "Black Tie White Noise", registrando l'album con Nile Rodgers e il suo collaboratore di allora permanente, Reeves Gabrels.
L'album viene pubblicato su Savage, una sussidiaria della RCA, e riceve recensioni positive, ma la nuova etichetta va in bancarotta poco dopo la sua uscita, e l'album scompare dai negozi.
Peccato perché, pur non vantando pezzi memorabili, è il primo indizio che Bowie sta seriamente cercando di rianimare la sua carriera, dato confermato anche dalla colonna sonora, in gran parte strumentale, di "The Buddha of Suburbia" (1994).
Nel 1995, si riunisce con Brian Eno per il rock pesantemente industriale di "1. Outside", influenzato dalla cultura cyberpunk e con testi molto forti.
Diversi critici salutano l'album come un ritorno alla qualità del periodo berlinese, ma in realtà, seppur coraggioso e innovativo, sembra quasi un tentativo di inseguire i suoi discepoli nel loro stesso campo, per catturare un pubblico più giovane e alternativo: a rinforzare questa idea è pure il tour in cui divide il palco coi Nine Inch Nails di uno dei suoi più geniali fan, Trent Reznor.
La sua strategia in parte fallisce: il disco sarà un altro insuccesso commerciale.
Torna velocemente in studio nel 1996, registrando "Earthling", un album fortemente influenzato da techno, jungle e drum'n'bass.
Il disco riceve recensioni generalmente positive, ma non riuscirà a conquistare al nostro un pubblico nuovo; anzi, molti puristi della musica elettronica criticano Bowie per il presunto sfruttamento della sottocultura "rave".
Viene visto ormai come un businessman miliardario, che gioca a inseguire le tendenze musical-tecnologiche più disparate, che si quota in Borsa (con la sfortunata avventura dei titoli "Bowie Bonds"), e lancia in rete perfino la sua "Bowie Bank".
Si dimostra sensibile a varie iniziative umanitarie ma non si spaccerà mai, come altri suoi colleghi, per un "buonista" impegnato (la ggente in fondo gli fa sempre un po' schifo…).
Interpreta il suo mentore Andy Warhol in "Basquiat" (1996), di Julian Schnabel mentre nega al collega-produttore Michael Stipe le sue canzoni per il film "Velvet Goldmine", sentito omaggio all'epoca d'oro del glam, definendolo solo "un buon trailer per il mio film su Ziggy Stardust".
Rimane un vero "mistero della fede" il motivo della sua partecipazione al tremendo "Il mio West" (1998), di Giovanni Veronesi, in cui si trova a fronteggiare niente popò di meno che Leonardo Pieraccioni (?).
Segue l'album "Hours" nel 1999, in cui torna in terreni più sicuri, alle ballate malinconiche, anche se mancano ancora dei pezzi memorabili.
Nel 2002, Bowie, dopo tanti anni, si riunisce al produttore Toni Visconti e pubblica "Heathen", che ottiene recensioni molto positive ma continua a vendere pochino.
Con Visconti firma anche il successivo "Reality" nel 2003, che ancora una volta viene caldamente recensito ma somiglia alla solita minestra riscaldata.
Bowie intraprende un lungo tour a supporto del disco ma è costretto ad interromperlo nell'estate del 2004, quando viene ricoverato per un'angioplastica di emergenza ad Amburgo, in Germania.
Dopo questo spavento, Bowie si ritira silenziosamente dal pubblico.
Negli anni successivi appare occasionalmente in concerti di beneficenza o in eventi di gala e a volte canta in studio per altri artisti (in particolare, è apparso in "Tomorrow", il tributo a Tom Waits di Scarlett Johansson nel 2008).
Si rivede anche al cinema con l'ottimo "The Prestige" (2006), di Christopher Nolan, e il drammatico "August" (2008), di Austin Chick.
Escono pezzi d'archivio, ma non fa nuove registrazioni fino a quando non mette fine improvvisamente al suo ritiro non ufficiale in occasione del suo 66esimo compleanno, l'8 gennaio 2013, pubblicando un nuovo singolo intitolato "Where Are We Now?" e annunciando l'arrivo di un nuovo album.
Intitolato "The Next Day" e ancora una volta prodotto da Visconti, il disco viene pubblicato nel marzo del 2013.
Accolto ancora una volta con recensioni generalmente positive, "The Next Day" debutta direttamente ai primi posti in classifica in tutto il mondo.
L'anno seguente, Bowie pubblica una nuova compilation intitolata "Nothing Has Changed", che contiene la nuova canzone "Sue (Or in a Season of Crime)", che anticiperà il prossimo progetto di Bowie, "Blackstar".
Arrivato nei negozi l'8 gennaio 2016, l'album rinnova ancora la collaborazione di Bowie con Tony Visconti, ma questa volta è un prodotto più ispirato e coraggioso, come si può sentire dal suo singolo principale, la scurissima "Blackstar".
Purtroppo, appena due giorni dopo la sua uscita, viene annunciato che David Bowie è morto per un cancro al fegato.
In un post di Facebook, Tony Visconti rivela che Bowie sapeva della sua malattia da almeno 18 mesi e ha scritto "Blackstar" come "suo regalo di addio".
L'8 gennaio 2017, a quasi un anno esatto dalla sua scomparsa, esce l'EP "No Plan", contenente le versioni di Bowie delle canzoni composte per il musical "Lazarus".
Nuovi dischi di materiale inedito sono annunciati a breve: speriamo solo che non sia l'ennesima, squallida cannibalizzazione postuma della rockstar di turno.
Ziggy, lassù da Marte, non ce lo perdonerebbe mai…
Onore a David Bowie!
"We passed upon the stair
We spoke of was and when
Although I wasn't there
He said I was his friend
Which came as some surprise
I spoke into his eyes
I thought you died alone
A long, long time ago…"
David Bowie - The Man Who Sold The World