Gennaio, il freddo ci attanaglia le ossa, ci fa battere i denti e tremare dentro.
Meglio scaldarsi con un po’di whisky e rock’n’roll, magari con un bel gruppo di quelli genuini, monolitici ed energici in sottofondo.
È finalmente tornata l’ora di parlare di rock, cari amici dei Mutzhi Mambo, di quello bello tosto e grintoso.
Quindi niente di più adatto che omaggiare quel cespuglione di PHILIP LYNOTT, il leader dei Thin Lizzy, la più importante hard rock band irlandese.
Ma Philip Lynott non è stato solo un tamarrone fatto e rifinito, di alta genealogia, di classe sopraffina: insieme a Bob Dylan, Jim Morrison, Van Morrison, Patti Smith e Bruce Springsteen, Phil Lynott è stato uno dei primi e migliori a coniugare la poesia col rock’n’roll.
Nonostante un singolo di grande successo nella metà degli anni '70, "The Boys are back in town”, e il fatto di essere una delle band live preferite dai fan dell'hard rock e dell’heavy metal, i Thin Lizzy sono ancora, fra i gruppi fondamentali degli anni '70, piuttosto sottovalutati.
Formatisi alla fine degli anni '60 intorno alla magnetica figura del cantante/compositore/bassista irlandese Phil Lynott, i Lizzy combinavano in modo assolutamente originale e inedito per questo genere testi che esprimevano i sentimenti melanconici della working class con il loro feroce attacco di chitarre.
Come forza creativa del gruppo, Lynott era uno scrittore più perspicace e intelligente di molti dei suoi simili, preferendo parlare dei drammi umani della classe operaia, di odio e d’amore, influenzato inizialmente da Bob Dylan, Van Morrison e praticamente tutta la tradizione letteraria irlandese.
Inoltre, essendo un nero, Lynott era una vera anomalia nel mondo dell'hard rock (ma si può dire del rock tout court), che vantava la quasi totalità dei musicisti e del pubblico bianco.
I neri, all’epoca, ormai si erano già dati al soul, al funky, al reggae, alla disco, al limite, quelli più “conservatori” continuavano a fare jazz o blues, dimenticandosi più o meno volutamente che il rock’n’roll lo avevano inventato loro…
Che ci volete fare, sono i paradossi della Storia…
Per Philip questo produceva un senso di alienazione che si rifletterà in gran parte del suo lavoro; lui era l'estraneo, il ragazzo sensibile, il poeta degli innamorati e degli oppressi.
Va detto che questa vena romantico – letteraria a volte gli prendeva un po’ troppo la mano, producendo canzoni a volte francamente pretenziose e melense (chiaramente, per i nostri insindacabili gusti), ma il carisma senza limiti di Lynott ha reso anche questi brani così fuorvianti meritevoli perlomeno di farsi ascoltare.
Peccato per lui che il modello dei poeti che ha preso a prestito fosse quello “maledetto”, e una vita a modo suo coerente con questo cliché fatto di abusi e autodistruzione ce l’abbia portato via troppo, troppo presto…
Philip Parris Lynott nasce il 20 agosto del 1949 a West Bromwich, vicino a Birmingham, in Inghilterra.
È figlio di Philomena Lynott, una cattolica bianca irlandese, e Cecil Parris, un brasiliano di colore, che abbandona la famiglia quando il piccolo ha solo tre settimane. Lo conoscerà solo verso la fine degli anni ’70.
Phil viene inizialmente cresciuto a Moss Side, presso Manchester, e si trasferisce in Irlanda mentre frequenta ancora la scuola.
Vive a Crumlin, vicino a Dublino con i suoi nonni.
Il suo essere un mezzosangue senza padre in una società parecchio conservatrice come quella irlandese, lo porta a sentirsi un reietto e a sviluppare un carattere chiuso, duro ma anche sensibile.
I suoi eroi giovanili sono i cattivi dei film western che divora senza posa nei cinemini di quartiere e, a livello musicale, Elvis e Jimi Hendrix.
Durante l’adolescenza si unisce alla sua prima band, "The Black Eagles", come cantante.
Il batterista della band è un vecchio amico di scuola di Phil, Brian Downey.
Piu tardi, sempre alla voce, Lynnott si unisce al gruppo fondato dal chitarrista Brush Sheils, gli "Skid Row", già noti a livello locale, durante il quale inizia anche a imparare a suonare il basso.
Nel 1968, un ragazzino di Belfast, il futuro guitar hero Gary Moore, sostituisce il secondo chitarrista Bernard Chivers e un anno dopo esce il loro primo singolo indipendente, "New Faces, Old Places".
Il rapporto fra Lynott e Moore sarà uno di quei lunghi tira e molla di amore e odio che durerà anni, fra incomprensioni, litigi e rappacificamenti, e che fa tanto tanto rock’n’roll…
Quando Brush Sheils decide di mandare avanti la band come un trio, Phil lascia il gruppo per fondare gli "Orphanage" con Brian Downey alla batteria, Pat Quigley al basso e il chitarrista Joe Staunton.
Adesso suonano anche diverso materiale originale e un bel po’ di melodie che finiranno nel primo album dei Thin Lizzy, nascono proprio ora.
Ma la struttura “liquida” del gruppo, strutturato come una jam-band in progress, con i musicisti che possono andare e venire a piacere, dopo un po’ inizia a scontentare Lynott, che desidera avere un progetto più solido e serio.
Alla fine del 1969 vengono contattati da Eric Bell, un chitarrista già esperto che aveva suonato pure nell’ultima incarnazione dei Them di Van Morrison, che suggerisce di formare una nuova band con Phil e Brian, e insieme a Eric Wrixon alle tastiere (proveniente anche lui dai Them), viene creata la prima formazione dei Thin Lizzy.
Phil è il cantante ed il bassista del nuovo gruppo, nonché lo scrittore della maggior parte dei pezzi.
Il primo singolo, “The Farmer”, esce nel 1970 ma non vende manco 300 copie; visto lo “strepitoso” successo, Wrixon molla e se ne torna coi Them.
Nonostante le scarsissima vendite del primo 45 giri, la Decca li mette sotto contratto per la produzione di due album: i nostri vanno così a Londra per registrare il proprio omonimo debutto, un robusto album di proto hard rock psichedelico, influenzato dai Cream e Jimi Hendrix, che esce nel 1971.
Anche questo però si rivela un fiasco, come un fiasco è pure l’EP di 4 tracce successivo, “New Day”.
Ma la Decca è di parola e produce anche il secondo album, “Shades of the Blue Orphanage” (1972), musicalmente in linea col precedente.
Finalmente il disco ha successo, anche se solo in Irlanda; in Inghilterra infatti, i Thin Lizzy non se li fila nessuno…
I nostri, per tirare a campare, finiscono anche per registrare, a nome Funky Junction, un album di cover dei Deep Purple.
L’etichetta decide, senza consultarli, di pubblicare la loro versione del brano popolare irlandese “Whiskey in the Jar” come singolo.
Phil è gli altri inizialmente ci rimangono male, soprattutto perché non lo ritengono certo il loro pezzo più rappresentativo, ma il brano arriva in testa alle classifiche irlandesi e raggiunge il sesto posto in quella del Regno Unito.
L’anno successivo esce “Vagabond of the Western World” che, pur trainato da un singolo killer come “The Rocker”, e pur ottimamente recensito, vende comunque pochino.
Eric Bell, afflitto da problemi di salute e schifato dall’industria musicale, a questo punto molla e al suo posto arriva il talentuoso Gary Moore ma rimane giusto il tempo di finire il tour e di registrare tre pezzi.
Alla fine i superstiti Lynott e Downey assumono due chitarristi, il diciottenne di origini scozzesi, Brian Robertson, e il californiano Scott Gorham, con cui registrano “Nightlife” (1974), album dalla produzione orrenda della Phonogram Records (la Decca, intanto, li aveva scaricati…) ma che fa intravedere i primi passi verso quel suono bello hard a doppia chitarra che li caratterizzerà da lì in poi.
Inutile dire che anche questo è un mezzo fallimento commerciale ma fortunatamente in tour i Lizzy funzionano alla grande e piano piano si guadagnano una solida fama di ottima live band.
Nel 1975 esce “Fighting”, il primo a raggiungere le classifiche inglesi degli album (anche se nelle zone basse), in cui raffinano ancora il loro sound peculiare, mentre l’anno successivo finalmente trovano il singolo giusto per sfondare: “The Boys are Back in Town” diviene un vero e proprio inno da stadio e arriva al numero 8 delle classifiche inglesi e al 12 di quelle USA.
Il disco che lo contiene “Jailbreak” presenta, oltre alla title track, altri due altri singoli di successo come “Emerald” e “Warriors”.
Al culmine del successo, in pieno tour mondiale, Philip si ammala di epatite e rimane fuori gioco per qualche mese ma quando si rimette in forze iniziano ad incrinarsi i rapporti con Robertson, soprattutto per questioni di crediti sui pezzi.
Esce, sempre nel 1976 “Johnny the Fox”, che torna a presentare elementi tratti d folklore celtico tanto cari a Lynott e soci ma Robertson si ferisce ad una mano durante una rissa e non può partecipare al tour.
Philip la prende male e richiama il vecchio Moore per i concerti ma questi però, nonostante le richieste pressanti, continua a rifiutarsi di entrare in pianta stabile nella formazione del gruppo del suo amico/nemico preferito.
In “Bad Reputation” (1977), Robertson figura praticamente come un turnista ed abbandonerà definitivamente la band nel 1978.
I Thin Lizzy ormai girano alla grande con una reputazione inattaccabile come fantastica band dal vivo (testimoniata da “Live and Dangerous” del 1978, uno dei più energici e viscerali dischi live in assoluto mai pubblicati) nonostante il posto di chitarra principale somigli sempre più ad una porta girevole (si alterneranno Eric Bell, Gary Moore, Brian Robertson, Snowy White e John Sykes; l’unico a rimanere sempre al suo posto sarà il buon Scott Gorham).
I loro dischi successivi, per carità, suonano sempre veloci e furiosi ma, nonostante i tentativi di ricreare un singolone tamarro e acchiappa-cori come "Boys", Lynott inizia a scrivere canzoni più ambiziose e ad inserirle in album concept sempre più articolati.
Ma il vero casino è l'ascesa del punk rock, che pure Lynott ha sostenuto con vigore, collaborando ad esempio con Steve Jones e Paul Cook dei Sex Pistols al progetto The Greedy Bastards (che purtroppo produrrà solo la simpatica “A Merry Jingle”), che fa sembrare i Thin Lizzy ormai un gruppo di vecchi tromboni che suonano un hard rock troppo tradizionale e sorpassato.
Verso la metà degli anni '80, assomigliando sempre più a quel dinosauro del rock che il punk voleva annientare, i Thin Lizzy finiscono la loro corsa: del 1983 il loro ultimo album “Thunder and Lightning” e dell’anno successivo il definitivo scioglimento.
Lynott aveva intanto registrato “Solo in Soho” nel 1979, un album solista dalle sonorità più morbide, che si avvale di collaboratori come il solito Gary Moore e i suoi compagni di band, ma anche di Mark Knopfler, Midge Ure e Jimmy Bain, in cui esamina in modo più esplicito i problemi di classe e razza.
Il nostro pubblica pure un libro di poesie ormai fuori stampa e ci riprova con un disco solista nel 1982, “The Philip Lynott Album”, dagli arrangiamenti veramente loffi.
Cerca di mettere su una nuova band, i Grand Slam, con i giovani e semisconosciuti Laurence Archer alle chitarre, Robbie Brennan in batteria, Doish Nagle alla chitarra ritmica e Mark Stanway alle tastiere; debuttano a Londra nel giugno 1984, e vengono ben accolti, continuando a suonare per tutto l'anno e finendo con uno spettacolo al Marquee di Londra il 4 dicembre.
Ma alla fine Lynott dovrà arrendersi: dopo un ricovero di urgenza per un’overdose di eroina la notte di Natale del 1985, il suo corpo, ormai indebolito da anni di abusi cede definitivamente pochi giorni dopo, il 4 gennaio del 1986, per insufficienza cardiaca e renale.
Ha solo 35 anni.
Viene seppellito nel cimitero di St. Fintan a Sutton, nei pressi di Dublino.
L’ultimo singolo, “Ninteen”, lo aveva pubblicato solo poche settimane prima.
Se passeggiate per il centro della capitale irlandese, vi capiterà di imbattervi in una statua di bronzo realizzata in suo onore.
Giusto tributo degno di un vero eroe!
Onore a Philip Lynott!
“The paper called it suicide
A bullet from a forty-five
Nobody cared and nobody cried
Don't that make you feel sad?
Peter Brent combed his hair
And sent for the police
Policeman came, took Peter's name
God, may he rest in peace
No one saw the note beside the body
No one knew the problems
But my God
Suicide…”
Thin Lizzy - Suicide