Buon Anno a tutti, cari amici dei Mutzhi Mambo!
Finalmente ci aspetta un anno di orrore, sesso, violenza e tanto, tanto rock'n'roll!
Un vero Anno Pulp!
E quale migliore colonna sonora per un Anno Pulp della chitarra di RON ASHETON e dei suoi Stooges?
Il grande chitarrista di Washington non ha certo bisogno di presentazioni, tanta e tale è stata la sua importanza e influenza nel mondo della musica, quindi siamo piu che lieti di inziare questo Vostro Almanacco proprio con lui!
Inoltre gli Stooges simboleggiano alla perfezione l'idea di uno spartiacque (come in fondo dovrebbe essere un primo dell'anno) fra una musica prima e una dopo di loro.
Perché sono stati veramente importanti, fondamentali e hanno precorso tutta la musica "cattiva" a venire, dal punk al noise, passando per il metal e l'industrial...
Il muro sonoro eretto dalla sei corde di Asheton è quello portante su cui si è costruita tutta la musica “estrema” successiva.
E chi pensa che la fine degli anni’ 60 sia stato il periodo del “Flower Power”, dell'amore universale ed altre fregnacce del genere, non ha mai ascoltato gli Stooges e la chitarra rabbiosa di Ron urlare contro il male di vivere!
Ma si può sempre rimediare...
Ron Asheton nasce a Washington, il 17 luglio del 1948.
Prima di iniziare a suonare la chitarra, all'età di dieci anni, erano già cinque anni che suonava la fisarmonica.
La sua carriera musicale inizia con l'ingresso nel gruppo Dirty Shames, salvo poi lasciarlo nel 1967, per entrare a far parte degli Stooges.
Il cantante James Newell Osterberg, ispirato dal Chicago Blues e da gruppi come i Doors, nel ‘65 aveva formato infatti gli Psychedelic Stooges (in omaggio ai comici "The Three Stooges"), imbarcando dopo un paio d’anni nell'impresa Ron, suo fratello Scott alla batteria e Dave Alexander al basso.
Il nome viene contratto in Stooges e il gruppo debutta all'Università del Michigan il giorno di Halloween del 1967, segnalandosi subito per il carattere oltraggioso e provocatorio dei propri show, durante i quali non di rado il front-man (che prenderà poi il nome di Iggy Pop) si procura da solo ferite sul petto e sulle braccia e si getta sul pubblico.
Nel 1968 ottengono un contratto con la Elektra Records, e pubblicano l'anno successivo il primo LP omonimo (nel quale Iggy Pop viene accreditato come Iggy Stooge), prodotto da John Cale dei Velvet Underground, gruppo che influenza decisamente il sound del disco: aspro, ruvido e "garage" nei suoni, ma assai meno spartano e rozzo di quanto si potrebbe immaginare.
Perché oltre a far esplodere le loro chitarre sature e innalzare i loro possenti muri ritmici, gli Stooges sanno anche scrivere canzoni, grazie a refrain secchi e diretti, che vanno dritti al bersaglio, atmosfere suggestive e un'interpretazione vocale che aggiunge morbosità e magnetismo.
Si parte con un proiettile come "1969": ritmo boogie ballabile, ritornello conciso rock'n'roll, un basso che pompa, Iggy che urla sguaiato la sua noia esistenziale.
Un vero inno ma è tutto ancora, in un certo senso, "classico", quasi una versione sporca di Bo Diddley.
A portare per mano l'ascoltatore nel mezzo della baraonda è la successiva "I Wanna Be Your Dog": tre semplici accordi di chitarra, e tre minuti di delirio, tra urla, feedback acidissimi e oscene profferte sessuali, in cui spicca l'assolo lancinante di Asheton.
Dopo aver tirato la tensione allo spasimo, gli Stooges rallentano con la psichedelica "We Will Fall”, oscura, asfittica, opprimente, segnata dalla viola ossessiva di John Cale che non dà tregua, i wah-wah distanti delle chitarre, il recitato straniante di Iggy e i cori d'oltretomba sullo sfondo.
L'altro pilastro del punk presente nel disco è "No Fun", ovvero il nichilismo dei Sex Pistols dieci anni prima, a infrangere per sempre i deliri “peace and love” degli hippies.
Come c’e da aspettarsi, l'album non avrà un elevato successo di vendita (raggiunge all'epoca solo 35.000 copie vendute), ma rimane una pietra miliare assoluta per una generazione di proto-punk assetati di sesso, droga e rock'n'roll.
Perché è questo, in fondo, che offrono gli Stooges: puro rock'n'roll malato, dissonante, grezzo, violento, debitore dei Velvet Underground e dei Doors più inquietanti.
Il secondo album degli Stooges è del 1970 e prende ironicamente il nome dalla fattoria che ospita le loro deliranti session, nei dintorni di Ann Arbor: "Funhouse", la “casa del divertimento”.
Rifiutata la produzione "troppo intellettuale" di Cale a beneficio di quella più sanguigna di Don Gallucci (già con i Kingsmen di "Louie Louie"), il gruppo osa forse ancor di più nell'alzare il tiro, sfornando un album assolutamente allucinato e allucinante.
Il blues marcio di "Down On The Street" trasuda tutta la ferocia di un disco che antepone l'immediatezza e l'improvvisazione a ogni posa; il “casino” di "Loose" anticipa l'hard-rock; "T.V. Eye" è un delirio acido a velocità supersonica; i sette minuti del blues distorto di "Dirt", in un certo senso, anticipano le atmosfere morbose del lato B.
Un attacco sinistro e minaccioso di chitarra scandisce l'inizio di "1970", un assalto in piena regola alle orecchie dell’ascoltatore, letteralmente "stuprato" dall'incredibile miscela di rabbia, rantolii e istinto animale che pervade tutto il disco.
E' il trionfo della voce rabbiosa di Iggy, genialmente accompagnata dallo stralunato sax di Steven McKay, che conferisce un senso di vuoto e smarrimento totale.
Ecco che arriva il funk lascivo della title track, vero manifesto di disagio metropolitano, e poi il finale, l’indigeribile "L.A. Blues", che blues non è affatto (almeno non nel senso “canonico” del termine): un’accozzaglia di chitarre ultra-sature, di percussioni anarchiche e sax dissonante.
Si chiude, con questa celebrazione del rumore più primitivo e nichilista, il monumento alla follia e all’autodistruzione in cui i quattro giovanotti di Detroit sfogano la loro rabbia, l'epilogo di una vicenda che non avrà eguali nella storia del rock.
Durante il tour per promuovere il disco, infatti cominciano le prime frizioni all'interno della band.
Nel 1971 Iggy, Ron, Scott e Dave si lasciano in malo modo per sopravvenuti problemi di cocaina e divergenze artistiche.
Il sound furibondo degli Stooges viene, così, smorzato come un amplificatore al quale viene staccata all'improvviso la spina.
La band, tuttavia, non è ancora da seppellire.
David Bowie, che intanto, nell'estate del ‘72, aveva avuto fortuna in Inghilterra con "Ziggy Stardust", invita pubblicamente Iggy e soci a tornare in pista e li affida alle cure del suo manager, Tony DeFries.
Ecco, allora, i nuovi Stooges (ribattezzati Iggy & The Stooges) riformarsi a Londra con Ron che viene miseramente relegato al basso e James Williamson assunto alla chitarra solista.
Il gruppo, però, non si fa affatto prendere (come i Mott The Hoople o Lou Reed, per citare i due album prodotti da Bowie) dalla moda imperversante del glam e rifiuta la produzione di David, che interverrà soltanto in seguito, in fase di mixaggio (a detta di alcuni, rovinando il suono originario).
La musica è ancora terribilmente ad alto volume, depravata e animalesca come al solito, ma sarà il disco che metterà definitivamente la parola fine alle nefandezze di questi delinquenti.
Dopo l'ultimo, turbolento concerto al Michigan Palace di Detroit, immortalato nel live "Metallic Ko" (1976), arriva l’inevitabile scioglimento.
Ron Asheton forma quindi il gruppo dei New Order (da non confondere con l'omonima band inglese), gruppo con il quale pubblicherà un solo album nel 1978 intitolato semplicemente "New Order".
Asheton ritorna a bazzicare i soliti ceffi del giro “cattivo”, come Dennis Thompson, ex MC5, alla batteria e il drogatissimo pianista Scott Thurston, che già suonava dal vivo con gli ultimi Stooges.
Se ne vanno a Los Angeles, nuova capitale della musica marcia, e si uniscono all'altro chitarrista Ray Gunn, al bassista Jimmy Recca e al cantante Jeff Spry.
I New Order suonano un rock'n'roll, violento e senza compromessi ma che nonostante ciò ti aggancia come un carro attrezzi e non ti molla più.
Peccato che non hanno uno straccio di contratto discografico e i gioiellini hard del disco sono praticamente degli infami demos salvati con un registratore tascabile.
I quattro brani, che compongono la prima facciata del vinile edito dalla Fun francese nel 1977, sono la cosa più interessante dell’unico album prodotto, perché i tre pezzi della seconda facciata sembrano meno brutalmente spontanei, legati ad esigenze radiofoniche soprattutto in virtù del nuovo cantante Dave Gilbert, ex Amboy Dukes, altro gruppo della Motor City, dalla voce meno aspra e più convenzionale di Jeff Spry.
Un rock meno disturbante e aggressivo, più adatto ad essere sparato via etere, roba che spopolerà in seguito a Los Angeles una decina di anni dopo con i gruppi street metal tipo L.A. Guns e Faster Pussycat.
Successivamente, Ron entra a far parte dei Destroy All Monsters e, lasciato anche questa band, fonderà, insieme a Deniz Tek e Rob Younger dei Radio Birdman, il supergruppo New Race, con il quale pubblicherà un unico album dal vivo intitolato "The First and The Last".
Dopo essersi preso una lunga pausa, Ron ritorna sulle scene intorno alla metà degli anni Novanta, registrando con gli Empty Set il disco "Thin, Slim and None" coprodotto dall'italiana Flippaut Records.
Partecipa anche alle registrazioni dell'album "The Last Great Ride" con il gruppo Dark Carnival.
Insieme a Mike Watt, J Mascis dei Dinosaur Jr., Thurston Moore dei Sonic Youth e Mark Arm dei Mudhoney lavora alla colonna sonora del film del 1998 "Velvet Goldmine".
Farà anche qualche apparizione come attore nei film "Mosquito" (1990), "Frostbiter: Wrath of the Wendigo" e "Legion of the Night".
Nel 2007 arriva anche la clamorosa reunion degli Stooges.
I prodromi, in realtà, c'erano stati quattro anni prima, quando gli ex-Stooges si erano già riuniti (Pop alla voce, i fratelli Asheton alla chitarra e batteria, e il nuovo bassista Mike Watt, ex-componente di Minutemen e Firehose, visto che Dave Alexander era morto nel 1975, a 27 anni, per una polmonite sopraggiunta dopo anni di eccessi alcolici), partecipando alle registrazioni dell'album solista di Iggy Pop "Skull Ring" e riprendendo l'attività live, a cui aveva preso parte anche MacKay.
In "The Weirdness", prodotto da Steve Albini, Iggy, gli Asheton e Mike Watt giocano a fare gli Stooges e si divertono molto.
Ma gli anni passano… Ron domina, Iggy gigioneggia come sempre ma in questo caso calca la mano, Watt c'è e non c'è; c'è McKay con il suo sax sì, ma qui sembra più che altro un turnista da piano bar, melodioso quando serve e spompato quando occorre esagerare.
Le canzoni migliori sono "My Idea", il ritornello becero di "Free & Freaky", "Greedy Awful People", la scontatissima ma efficace "I'm Fried", "Mexican Guy", che azzarda un ritorno alle sonorità di “Funhouse”, e un paio di pezzi più morbidi: "The Weirdness", una ballata caracollante adatta a un ritrovo di Hell's Angels in pensione, e "Passing Cloud", classico brano d'atmosfera a fine scaletta.
Poi altri riempitivi, che non aggiungono granché a un disco tutt'altro che imperdibile.
Ma ciò che più di ogni altra cosa non convince è l'idea che una leggenda possa rimettersi in moto.
Troppo si è detto, pensato, immaginato, riguardo agli Stooges, troppo erano eccezionali (nel senso letterale del termine) quando uscirono, per non risentire impietosamente dell' "effetto delusione" quando sono tornati insieme, pur non essendo questo l'album affatto male.
Ma "niente male" non puo essere un aggettivo adatto per gli Stooges…
Poi chissà che sarebbe successo se il 1 gennaio del 2009 Ron non fosse rimasto stroncato da un infarto nella sua casa di Ann Arbor in Michigan.
Chissà…
Onore a Ron Asheton!
...e ancora auguri ancora di un Buon Anno bello Pulp da i vostri Mutzhi Mambo!
"No fun my babe
No fun
No fun my babe
No fun
No fun to hang around
Feelin' that same old way
No fun to hang around
Freaked out for another day…"
The Stooges - No Fun