Orgogliosissimi di essere stati nominati in questo benemerito programma! Siamo infatti stati citati, col nostro nuovo album IL MALE È DENTRO, in WONDERLAND, un programma televisivo, in onda su Rai 4...

UN ALTRO GIORNO ALMENO, il primo video tratto dall'album "Il Male è Dentro" è su YouTube! È giusto ammazzare in nome di Dio (o come vi piaccia chiamarlo)? Una domanda quanto mai attuale, cari amici...

E' uscito ed è disponibile nei migliori negozi di dischi e su tutte le piattaforme digitali il nuovo disco: Il male e' dentro il terzo album dei Mutzhi Mambo, band fiorentina fondata nel 1998,...

Stasera incontriamoci nel bar più lurido della più squallida periferia della città, e con le tasche piene, cari amici dei Mutzhi Mambo, perché dobbiamo festeggiare a lungo, fino a vomitare l'anima: oggi è il compleanno di un Maestro di sbronze e di vita, di musica e sconfitte, è il compleanno di TOM WAITS!
Uno dei pochi che, in quarant'anni di carriera, non ha mai fatto un disco brutto o inutile!
L'arte di Waits è l'arte di un cantastorie che ha sempre contemplato l'America e i suoi ideali in modo critico, preferendo raccontare la cosiddetta "wrong side" dell'immaginario a stelle e strisce, abitata da vagabondi, anime erranti senza meta ("rain dogs") e da ogni genere di reietti.
L'immaginario di Waits è il medesimo di Bukowski e di quei poeti cresciuti in seno alla controcultura underground statunitense, i quali, negli anni 60 e 70, hanno assunto un atteggiamento avverso, se non sprezzante, nei confronti dell'American way of life.
Waits narra di un sogno americano che, ammirandosi borioso negli specchi deformanti di un luna park, si riscopre improvvisamente incubo.
La nazione di Waits è abitata dal popolo dei bassifondi, rassegnato a vegetare al di sotto della soglia di sopravvivenza, tagliato fuori da una qualsivoglia possibilità di riscatto.
Sono "freak" nella condizione sociale, nati con il marchio incancellabile dei vinti. Nella sua poetica è quindi implicita la critica all'America, ma anche ai cantori che ne esaltano la presunta grandezza.
C'è di tutto nei dischi di Tom Waits, ma c'è soprattutto l'incubo americano filtrato e narrato da una miriade di influenze a loro modo coerenti: da Armstrong alle filastrocche, da Howlin' Wolf alle marcette militari, da Screamin'Jay Hawkins alla musica da cabaret, da Captain Beefheart al gospel, da Burroughs alle ballatone strappalacrime, da Dr. John alla no-wave, il tutto riprodotto da un grammofono stonato.

Tom Waits nasce a Pomona, in California, il 7 dicembre del 1949, unico figlio maschio di una famiglia di origini scozzesi, irlandesi e norvegesi.
Dopo il divorzio dei genitori, trascorre l'infanzia con la madre e le due sorelle.
Sin da adolescente, coltiva la passione per la musica, soprattutto per il jazz degli anni trenta, imparando a suonare il pianoforte.
Contemporaneamente, si appassiona alla letteratura beat, cimentandosi, pure, nella scrittura di poesie.
La carriera artistica di Tom Waits nasce anche dalle difficoltà economiche della sua infanzia.
Ancora adolescente, è costretto a fare umili lavori per guadagnarsi da vivere.
Sono gli anni in cui vagabonda tutta la notte per le strade di Los Angeles, ascoltando storie di prostitute, di ubriaconi, di barboni, di piccoli e grandi poeti beat, storie che torneranno nelle sue canzoni.
Comincia infatti a lavorare come lavapiatti, a 14 anni, prima nel ristorante "Napoleone Pizza House", poi in un Club di San Diego, l'"Heritage Coffeehouse", dove una sera, bello imbenzinato, comincia a strimpellare un vecchio piano.
La gente ascolta le sue storie strampalate, partecipa, ride, si commuove e dialoga con la sua voce da bluesman rancido.
Il gestore ne comprende il talento e propone al giovane cameriere di intrattenere ogni sera il pubblico.
Waits guadagna pochi dollari, ma riesce a mettersi in luce cantando vecchie canzoni degli anni '40 e '50, ascoltate da bambino.
Il padre infatti gli aveva dato i primi rudimenti musicali e trasmesso la passione per il jazz, in particolare per il grande batterista Gene Krupa.
Nel 1971, durante un concerto in un nightclub di Los Angeles, il Troubadour, frequentato, all'epoca, da artisti come Tim Buckley, Bruce Springsteen e Rickie Lee Jones, suscita entusiasmo nel noto produttore Herb Cohen, che lo ingaggia per produrre un album.
E' la fine dei lavori umili e delle squallide camere prese in affitto.
Il primo disco, "Closing Time", esce nel 1973, seguito da "The Heart of Saturday Night", nel 1974 e da "Nighthawks at the Diner", registrato dal vivo in un locale nel 1975.
Questi primi lavori, caratterizzati da atmosfere notturne, fumose e romantiche, riscuotono un buon successo di critica, ma non commerciale.
"Small Change", del 1976, è il suo primo album a vendere bene, seguito da "Foreign Affairs" nel 1977, "Blue Valentine" nel 1978, e "Heartattack and Vine", nel 1980.
È in questo periodo, con questi ultimi due ultimi album, che la voce di Tom si trasforma, si imbastardisce, si sciupa, si incatrama sempre più, assumendo definitivamente quel particolare tono rauco che la renderà inconfondibile.
Nel 1977, intanto, conosce la giovane cantautrice Rickie Lee Jones, presto divenuta musa per la sua musica, con la quale comincia una relazione amorosa conclusasi nel 1980.
Nei primi anni ottanta, si sposa con Kathleen Brennan, con la quale ha avuto tre figli (e che l'ha rimesso in riga...).
In questi anni, comincia a interessarsi al cinema, scrivendo la colonna sonora per "One from the Heart", il megafloppone di Francis Ford Coppola.
Firma, quindi, con la Island Records, per cui produce tre nuovi album, noti anche come "La trilogia di Frank": "Swordfishtrombones" nel 1983, "Rain Dogs" nel 1985, e "Franks Wild Years" nel 1987 (progettato come opera teatrale).
Questi tre dischi sono ampiamente considerati i suoi lavori più importanti, fondamentali, soprattutto per la varietà di generi citati (che rielaborano il suo retroterra jazz e blues in una bizzarra musica sperimentale influenzata da artisti come Harry Partch, e Captain Beefheart, con ampio uso di arrangiamenti insoliti e strumenti autocostruiti) e per i testi molto ricercati e surreali.
Per assurdo Tom Waits diventa, con la sua voce "infernale", una sorta di Frank Sinatra (cui rifà il verso in "I'll Take New York") dell'altra faccia americana, quella underground.
Marimbe, banji, percussioni, una pattuglia di ospiti d'eccezione, come John Lurie, Robert Quine, Marc Ribot, e Keith Richards e l'amore per la musica del grande Kurt Weill creano una geniale fusione di elementi apparentemente distanti tra loro, facendo di Waits uno dei più originali musicisti rock americani di sempre.
Anche la sua scrittura diventa sempre più concisa, scarna, allusiva, quasi cinematografica, mentre il corredo strumentale si arricchisce di percussioni homemade, vecchie chincaglierie e persino un corno di bue usato per filtrare la voce.
Negli anni novanta mette in fila due nuovi capolavori: "Bone Machine" nel 1992 e "Mule Variations" nel 1999 (ospiti Keith Richards, il bassista dei Primus Les Claypool, David Hidalgo dei Los Lobos, Ralph Carney, l'armonica di Charlie Musselwhite e il debutto del figlio Casey alla batteria), nonché la colonna sonora del film di Jim Jarmusch "Night on Earth", nel 1993.
In questo periodo instaura una profonda amicizia col regista teatrale Robert Wilson, con cui collabora alla pubblicazione di "The Black Rider", nel 1993 (a cui partecipa anche lo scrittore William S. Burroughs), e dell'accoppiata "Blood Money/Alice", del 2002.
Nel 2004 esce "Real Gone", disco molto sperimentale in cui per la prima volta Tom decide di non servirsi del suo strumento-simbolo, il pianoforte, portando avanti invece la sua ricerca sui campionamenti e il vocal beat box.
Il triplo album "Orphans: Brawlers, Bawlers & Bastards", è una raccolta di pezzi inediti e rari, quest'ultimi ripresi da colonne sonore di film e da live.
Il 24 ottobre 2011 è uscito il suo ultimo, splendido album dal titolo "Bad as Me", una sorta di summa della sua poetica su cui spicca il delirante ritmo di "Chicago".
Nel 2013, la canzone "Shenandoah", registrata con Keith Richards, viene inclusa nella bellissima compilation "Son of Rogue's Gallery: Pirate Ballads, Sea Songs & Chanteys", una pregevole raccolta di reinterpretazioni di canti pirateschi fatta da alcuni dei più importanti autori del rock passato e attuale.
Ultimamente ha offerto una cupa reinterpretazione del canto partigiano "Bella Ciao", reintitotlata "Goodbye Beautiful", nell'album di Marc Ribot "Songs of Resistance" (2018).
Waits ha anche lavorato parecchio nel cinema: da "Taverna Paradiso" di Sylvester Stallone (1978), a "Un sogno lungo un giorno" (1982), "I ragazzi della 56ª strada", (1983), "Rusty il selvaggio" (1983) e "Cotton Club" (1984) di Francis Ford Coppola, da "La leggenda del re pescatore" (1991) e "Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo" (2009), di Terry Gilliam, a "Domino" di Tony Scott (2005), da "America oggi" di Robert Altman (1993), a "7 psicopatici", di Martin McDonagh (2012), da "Old man & The Gun" (2018), di David Lowery, a "La ballata di Buster Scrooge" (2018), dei fratelli Coen.
Ma i suoi ruoli più significativi sono nei capolavori di Jim Jarmusch, "Daunbailò" (1986), a fianco di Benigni e John Lourie, e, in coppia con Iggy Pop, nell'episodio "Da qualche parte in California" di "Coffee and Cigarettes" (2003); poi nel "Dracula di Bram Stoker", di Francis Ford Coppola (1992), nel ruolo del servitore folle Thomas Renfield.
Per ora, l'ultima occasione di vederlo, con tanto di barbone posticcio, è nell'inspida parodia degli zombie movie diretta da Jim Jarmusch, "The Dead don't Die" (2019).
Caro Maestro, aspettiamo con ansia tue nuove, sicuri che il tuo prossimo disco (semmai avessi voglia di farlo…) sarà per forza degno della tua produzione.
Tanti, tanti auguri, Tom!

"...Well I know karate, Voodoo too
I'm gonna make myself available to you
I don't need no make up
I got real scars
I got hair on my chest
I look good without a shirt..."
Tom Waits - Goin'out west


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