“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”…
Se questo adagio dice il vero, cari amici dei Mutzhi Mambo, allora mai giocatore sarà più adatto del granitico CHARLES BRONSON!
Con il suo sguardo di ghiaccio, così impenetrabile e allo stesso tempo così incisivo, Charles Bronson è stato per lungo tempo uno dei “duri” per eccellenza del cinema americano.
A renderlo unico il contrasto tra gli occhi azzurri, da brav’uomo gentile, e la faccia segnata da pugile.
Di fisionomia grintosa e tenebrosa, era famoso per l’atteggiamento scontroso che spesso segnava le sue prove da attore, risaltato anche da un fisico eccezionale, che spesso lo relegava in ruoli d'azione per film western e polizieschi.
Con quella sua faccia un po’ così, Charles Bronson è rimasto nel cuore di tutti gli amanti del cinema, soprattutto dopo aver interpretato “Il giustiziere della notte” nell’omonima saga: un antieroe che ha segnato la storia del cinema d’azione ma anche un personaggio controverso che molti additarono come “reazionario” e che fece il paio, insieme all’ “Harry Callaghan” interpretato da Clint Eastwood, di un nuovo modo “fai-da-te” di vedere la giustizia, violento e molto, molto spiccio.
Ma Bronson non è certo solo il “giustiziere”: l’attore ha dato grande lustro anche ad alcune delle più grandi pellicole del cinema anni ‘60 e ‘70, che hanno anticipato i moderni film action.
Bronson fu una vera icona Pulp del suo tempo non solo per il suo vigilante, ma pure per i leggendari war movie e western che ha interpretato, tra cui, naturalmente il capolavoro di Sergio Leone “C’era una volta il West”.
Un anti-divo cupo era il nostro Charles, non cool come Steve McQueen, e non carismatico e belloccio come Eastwood: Bronson era, infatti, sicuramente più rozzo, legnoso, meno affascinante.
Probabilmente era proprio questo a renderlo tanto credibile, il suo non – appeal era perfetto per i ruoli che si trovava ad interpretare.
Era sul serio uno a cui non avresti mai rotto le palle…
Karolis Bucinskis, o Casimir Businskis (non è ben chiaro quale sia il suo vero nome registrato all’anagrafe) nasce a Ehrenfeld, in Pennsylvania, il 3 novembre del 1921, undicesimo di quindici figli, metà dei quali morti in tenerissima età, in una famiglia di immigrati lituani.
Le condizioni di vita della famiglia Bucinskis sono ai limiti dell’indigenza: il padre muore quando Charles ha appena dieci anni, a causa del durissimo lavoro in miniera che il piccolo finisce per ereditare.
Riesce tuttavia a ottenere la licenza di terza media, primo a raggiungere un simile obiettivo nella sua famiglia.
Lavora in miniera fino ai vent’anni, quando si iscrive al servizio militare e diventa parte di un contingente americano durante la Seconda Guerra Mondiale.
La lingua inglese la impara quando è già in età avanzata, come lingua straniera: in famiglia si parla solo il lituano.
Da qui proviene l’accento particolare che l’ha sempre contraddistinto nelle rare battute, per lo più laconiche ma sempre significative, pronunciate nel corso della carriera.
Tornato dalla guerra, decide di intraprendere un percorso per divenire attore, iscrivendosi a una scuola di arte drammatica a Philadelphia.
Per campare fa i lavori più umili: cameriere, spazzino, manovale...
Si sposa la prima nel 1949 con Harriet Tendler dalla quale avrà due figli (Suzanne e Tony) e dalla quale divorzierà dopo diciotto anni di matrimonio.
I primi ruoli sono secondari, e ad aiutare Charles in questa prima fase è il fisico prestante che gli fa trovare parti dove lo fanno recitare preferibilmente in scene a torso nudo, visto che spogliato è meglio che vestito..
L’esordio avviene con “Il comandante Johnny” (1951), di Henry Hathaway, nella parte di un marinaio polacco.
Durante gli anni Cinquanta sono innumerevoli le partecipazioni in ruoli secondari, e sono molte anche le apparizioni televisive.
Si va da noir e crime come “Omertà” (1951), di John Sturges, “Luci sull'asfalto” (1951), di Robert Parrish, “La città è spenta” (1954), di André De Toth, “Corriere diplomatico” (1952), di Henry Hathaway; western come “L'assedio di fuoco” (1954), di André De Toth, “L'ultimo Apache” (1954), di Robert Aldrich, “Rullo di tamburi” (1954), di Delmer Daves, “Vera Cruz” (1954), di Robert Aldrich, “Ombre gialle” (1955), di Harmon Jones, “Vento di terre lontane” (1956), di Delmer Daves, “La tortura della freccia” (1957), di Samuel Fuller, “La vera storia di Lucky Welsh” (1958), di Gene Fowler Jr., “Un pugno di polvere” (1958), di Philip Dunne; prison movie come “I miei sei forzati” (1952), di Hugo Fregonese, “Un pugno di criminali” (1955), di Howard W. Koch; war movie come “Uragano su Yalù” (1952), di Lesley Selander, “Immersione rapida” (1953), di Lew Landers, “Sacro e profano” (1959), di John Sturges; ma anche horror come “La maschera di cera” (1953), di André De Toth, dove il nostro interpreta Igor.
Debutta come protagonista per caso, nel crime di Roger Corman “La legge del mitra” (1958), a causa della disputa fra produttori per chi dovesse avere questo ruolo: il buon Charles viene “promosso” sul campo al rango di attore principale da Corman stesso, per evitare ulteriori discussioni.
Da qui in avanti i suoi ruoli saranno sempre di primo piano: è protagonista infatti del crime “Solo contro i gangster” (1958), di Gene Fowler Jr., nella parte di un mite insegnante tormentato da dei criminali (ruolo che anticiperà certe tematiche del “Giustiziere”), e del bellico “Quando l'inferno si scatena” (1958), di Kenneth G. Crane.
Ma è nel corso del decennio successivo che la carriera di Bronson prende definitivamente il largo, fino a diventare un’icona fondamentale del cinema americano.
La consacrazione, per il nostro Charles, avviene nel 1960, con il mitologico western “I magnifici sette”, di Preston Sturges, in cui interpreta il cowboy irlandese Bernardo O’Reilly; lo stesso regista gli affida tre anni più tardi un’altra parte che diverrà storica, quella del tenente d’aviazione Danny Velinsky, in arte “il re del tunnel”, ne “La grande fuga”, pellicola estremamente avvincente, con un cast da paura, che si basa su di un episodio reale: la più grande fuga di prigionieri alleati da un campo di internamento tedesco.
Proprio la collaborazione con Sturges lo lancia nell’Olimpo degli attori più amati: da lì in avanti la sua presenza, continuando a essere assidua come nel decennio precedente, si fa molto più pesante sul piano contrattuale e del richiamo mediatico.
Spazia attraverso generi diversi sempre mantenendo il suo peculiare atteggiamento di uomo burbero e tenebroso.
Tra le pellicole alle quali prende parte se ne possono citare alcune belle significative: il fantascientifico “Il padrone del mondo” (1961), di William Witney, tratto da Jules Verne, i western “Il ranch della violenza” (1962), di Arthur Hiller, “I 4 del Texas” (1963), di Robert Aldrich, “Il californiano” (1964), di Boris Sagal, “Quel dannato pugno di uomini” (1965), di Charles S. Dubin e Samuel Fuller, “Viva! Viva Villa!” (1968), di Buzz Kulik, “I cannoni di San Sebastian” (1968), di Henri Verneuil; il pugilistico “Pugno proibito” (1962), di Phil Karlson, con Elvis Presley; i drammatici “Castelli di sabbia” (1965), di Vincente Minnelli, “Questa ragazza è di tutti” (1966), di Sydney Pollack; i war movies “La battaglia dei giganti” (1965), di Ken Annakin, “Al soldo di tutte le bandiere” (1970), di Peter Collinson; anche commedie come “Twinky” (1969), di Richard Donner.
I pezzi forti della decade sono il famosissimo “Quella sporca dozzina” (1967), di Robert Aldrich, war movie teso e violento con un cast d’eccezione tra cui spiccano, oltre il nostro, Lee Marvin, Ernest Borgnine e John Cassavetes, “Due sporche carogne – Tecnica di una rapina” (1968), di Jean Herman, thriller in cui collabora con il già celebre Alain Delon, e il bellissimo “C'era una volta il West”, capolavoro targato Sergio Leone, con Claudia Cardinale e Henry Fonda.
Il lento procedere del proposito di vendetta nei confronti di colui che gli ha sterminato la famiglia e il confronto con Henry Fonda in versione malvagia sono di intensità straordinaria e prefigureranno la “filosofia” del vigilante (che in un contesto western ci sta pure bene, ma in uno urbano contemporaneo dà più di che pensare…).
Il secondo matrimonio lo unisce all'attrice Jill Ireland nel 1968, il grande amore della sua vita: i due hanno una figlia, Zuleika, e adottano anche un'altra bambina, figlia di un'amica di Jill, Katarina.
Charles starà vicino alla moglie nella malattia che durerà sei anni e terminerà con la morte dell'attrice nel 1990.
Il decennio successivo si apre degnamente con l’ottimo poliziesco francese “L'uomo venuto dalla pioggia” (1970), di René Clément, e il noir nostrano “Città violenta, (1970), di Sergio Sollima.
Si prosegue con due pellicole firmate Terence Young: il poliziesco “L'uomo dalle due ombre” (1971), e il bizzarro western “mondialista”, “Sole rosso” (1971), in cui divide la scena con Toshirō Mifune, Alain Delon, Ursula Andress, e Capucine.
Lo stesso anno, insieme ad Anthony Perkins, è nel cast del thriller “Qualcuno dietro la porta” (1971), di Nicolas Gessner, mentre nel successivo gira il mafia movie “Joe Valachi... I segreti di Cosa Nostra”, di Terence Young, con Lino Ventura e Walter Chiari, il western “Chato”, con Jack Palance, e il thriller “Professione assassino”, con Jan-Michael Vincent, Keenan Wynn, e Jill Ireland, entrambi di Michael Winner.
E poi la volta del western “Valdez il mezzosangue”( 1973), di John Sturges e Duilio Coletti (1973) e del bel noir “A muso duro” (1974), di Richard Fleischer, da un soggetto di Elmore Leonard, dove il nostro ha la parte del tostissimo reduce del Vietnam Vince Majestyk.
Sempre per Michael Winner interpreta “L'assassino di pietra” (1973) ma soprattutto il celeberrimo “Il Giustiziere della notte” (1974), storia di un ingegnere la cui vita viene scossa tremendamente dallo sterminio della famiglia, in seguito al quale cerca giustizia personale in un percorso alternativo a quello offerto dalle impotenti indagini di polizia.
La saga del vendicatore urbano va avanti per cinque pellicole, dal 1974 al 1994: chiaramente il primo è un film di rottura, a suo modo moralmente innovativo e, per l’epoca, brutale nel mostrare la trasformazione di un uomo mite in una bestia sanguinaria ma gli altri sequel non faranno che ripetere sempre più stancamente il cliché fino a sfiorare la comicità involontaria.
Intendiamoci sul termine “innovativo”: “Il Giustiziere della Notte” non è certo il primo film revenge prodotto ma mai prima di ora il protagonista e l’ambientazione vengono resi in modo così crudo e realistico.
Bronson, di questo ruolo così iconico, rimarrà un po’prigioniero, e si specializzerà in ruvidi film action spesso parecchio stereotipati: “Dieci secondi per fuggire” (1975), di Tom Gries, “L'eroe della strada” (1975), di Walter Hill (sul pugilato clandestino durante la Grande Depressione, forse la sua migliore interpretazione del periodo), “Io non credo a nessuno” (1975), di Tom Gries, “Candidato all'obitorio” (1976), di J. Lee Thompson, “Da mezzogiorno alle tre” (1976), di Frank D. Gilroy, “I leoni della guerra” (1977), di Irvin Kershner, “Sfida a White Buffalo” (1977), di J. Lee Thompson, “Telefon” (1977), di Don Siegel, “Tiro incrociato” (1979), di Stuart Rosenberg e, non accreditato, John Huston, “Caboblanco” (1980), di J. Lee Thompson, "L'uomo del confine” (1980), di Jerrold Freedman, “Caccia selvaggia” (1981), di Peter Hunt, “Dieci minuti a mezzanotte” (1983), di J. Lee Thompson, “Professione giustiziere” (1984), di J. Lee Thompson, “La legge di Murphy” (1986), di J. Lee Thompson, “Assassination” (1987), di Peter Hunt, “Messaggio di morte” (1988), di J. Lee Thompson, “Soggetti proibiti” (1989), di J. Lee Thompson.
Un’eccezione, a fine carriera, “Lupo Solitario” (1991), curioso debutto alla regia di Sean Penn, la cui trama è completamente ispirata da una sola canzone di Bruce Springsteen, “Highway Patrolman”, dell'album “Nebraska” del 1982.
I personaggi, le ambientazioni e lo stile narrativo sono una trasposizione fedele della canzone, di cui il film diventa omaggio ed estensione: lento e non per tutti i palati ma il nostro ci regala un’intensa interpretazione, piuttosto inaspettata per le corde a cui ci aveva abituato, nei panni del padre del protagonista.
Afflitto da numerosi problemi di salute, tra cui l’Alzheimer, Bronson si ritira dal cinema nel 1998 (anno in cui si risposa per la terza volta), per poi morire a causa di una polmonite cinque anni più tardi, a Los Angeles, il 30 agosto del 2003.
Peccato che, senza il Giustiziere a giro, ci sentiamo tutti più insicuri.
Ma la sua faccia un po’così rimarrà per sempre nel nostro immaginario, a darci conforto…
Onore a Charles Bronson!
“Ho visto tre spolverini proprio come questi tempo fa. Dentro c'erano tre uomini. E dentro agli uomini tre pallottole.”
Armonica/Charles Bronson – C’era una volta il West